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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 11/02/2020 in tutte le aree
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L’app di Delta funziona egregiamente, non ti preoccupare. Salvi la certa di imbarco sul telefono e sei a posto per l’andata1 punto
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Te lo puoi far mandare per mail e scaricare il pdf o ancora meglio scarica l’app della compagnia aerea lo fai direttamente da li e non hai bisogno di stamparlo. Comunque se devi fare il drop del bagaglio lo stampi alle macchinette o te lo fai stampare. Edit: Letto ra che hai solo bagaglio a mano comunque alle macchinette o al banco te lo stampano, ma ripeto non necessario vai di app. Inviato dal mio iPad utilizzando Tapatalk1 punto
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Certo che si può fare, spesso lo puoi stampare alle macchinette in aeroporto1 punto
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Purtroppo in questi casi il tempo è tiranno. Dobbiamo lasciarci ed andare via. Non mi aspettavo di avere questo problema, quasi già di nostalgia. Dobbiamo spostarci e raggiungere Turni a sud e poi passare per diversi altri villaggi ed arrivare in tempo per visitare il mercato di Alduba, visto che oggi è martedì. Ripartiamo sotto il sole che picchia forte e in auto con Cele cominciamo già a sistemare i file delle foto e quindi poco badiamo alla strada; sembra tutto tranquillo; la strada è la stessa di prima, quella sterrata con tante buche. Alle 11:25, dopo un ennesimo salto, la Toyota si ferma. Il motorino di avviamento gira, ma il motore no, non parte più! Al momento siamo tranquilli, dentro seduti sui nostri comodi sedili all’ombra. Nur e Mule aprono il cofano e cominciano ad armeggiare, ma senza alcun risultato. Passa un’altra auto di rientro, si ferma e poi ancora un’altra. Tutti insieme con gli altri autisti cercano di trovare una qualche soluzione ma p**** pupazzola il tempo passa e qui nulla migliora. Le jeep che si sono fermate ripartono…..abbandonandoci al nostro destino, sigh! Al telefono Nur non sembra concludere tanto. Parlo con Marco ad Addis Abeba e chiedo se è in grado lui o come sia eventualmente possibile far arrivare un nuovo mezzo da Jinka. Ma sono almeno 60 km e non c’è nulla in mezzo tra noi e la città. Ottimo. Scendiamo e tutti insieme proviamo a spingere anche se mi sembra una scelta imbecille. In effetti spingere una grossa Toyota su uno sterrato di buche in leggerissima salita sotto il sole a 40 gradi non è una opzione tra le più consigliate. Passa un camion ed anche l’autista di questo scende e ci prova senza alcun esito e non ha alcuna corda per trainarci. Sempre meglio. Tutti hanno grande volontà e ci provano, ma il risultato è uno splendido: nulla. Il tempo passa, anzi vola, il sole brucia, non c’è ombra e comincia a crescere anche il panico. Mule e Nur si legano letteralmente al cellulare, ma la disorganizzazione è da incubo. Ci sentiamo abbandonati praticamente nel nulla. Collegano cavi e cavetti, ma il motore non parte e non dà cenni di vita. Nonostante il caldo riproviamo ancora a spingere, questa volta insieme ad un gruppo di ragazzi Mursi, belli pronti per le foto lungo la strada ed ora accaldati ed impegnati come noi a schiattare, anche se loro il caldo lo sopportano meglio. Ei vanno a farsi un bel bagno in un piccolo torrente di sabbia. Il tempo passa ancora: alle 12:30 dico con un po' di acredine che forse è il caso di chiamare un noleggio, un taxi comunque, anche se distante. Passa un’altra buona mezzora e non c’è disfattismo, si continua a scasinare, ma la rassegnazione comincia a dare qualche segno. Alla fine arriva il solito miracolo!!!! Come già ci era avvenuto nel New Messico al Chaco quando avevamo forato nel nulla senza ruota di scorta, né kit o come lungo il confine tra Cile e Bolivia quando siamo rimasti per ore ad aspettare inutilmente l’autista cileno, che, diventando padre ed assistendo la moglie al parto aveva allora pensato bene di lasciarci a 4000 metri tra i vulcani ad aspettare. In questo caso arrivano due fuoristrada nell’altro senso di percorso. Devono fare un lavoro da qualche parte più avanti. Si mettono di lena e telefonano ad un loro meccanico a Jinka. Riprovano con i vari cavetti sotto la nuova guida vocale fino all'incontro meraviglioso, al contatto fatale. Il motore si riavvia. Riprovano ancora e riescono a fermare alla meglio i contatti. Sono le 13:35 e sono passate oltre due ore. Siamo stravolti in auto, ma lo sono certamente di più Mule e Nur che ci hanno messo anche andrenalina, fatica. e la ovvia preoccupazione. Ripartiamo e passiamo forzatamente per Jinka, di passaggio. Arriviamo belli accaldati e ci fermiamo per un toast e verdure al BESHA GOJI RESTAURANT. Credo sia l’unico posto accettabile. Quello che mangiamo è altrettanto accettabile più per la fame che abbiamo a quest’ora che per la qualità del cibo. Però siamo all’ombra, fa fresco, si sta bene. Avevamo prenotato i toast già questa mattina, appena prima di comprare la cintura, con l’intenzione di rientrare e di passare a prenderli alle 10.20. Ora sono le 14,45. Giusto per dire come siamo messi bene con i tempi previsti, Riusciamo anche a telefonare in Italia con la scheda etiope. Enrico è alle prese con una torta che sta preparando per il cenone di questa sera. Al solito sistemiamo un po’ le foto, chiacchieriamo ancora con Nur. Davanti al locale vendono maschere ed oggetti carini. Mulé ha portato la Toyota dal meccanico per cercare di sistemare in modo meno precario la situazione. Ordiniamo anche due birre. Alla fine compro anche una maschera di ebano ed una faraona in legno. Ripartiamo dopo altra mezz'ora quando finalmente Mule arriva, stravolto, ma comunque sorridente e sodisfatto. Ormai sono le 16 e dobbiamo fare altre ore di strada: come al solito passiamo villaggi ed entriamo nel territorio Hammer. Ad un certo punto lungo la strada mi accorgo di qualche cosa di strano. Chiedo di fermarci. Scendo e poi scendono anche gli altri. In fondo, ad un centinaio di metri tra i campi, un gruppo sta danzando. Il rumore del motore li distrae e qualcuno si gira come infastidito. Mi sembra un qualchecosa di abbastanza particolare, ma di intimo, Nur ci chiede se vogliamo scendere e raggiungere quello che fanno. No, mi sembra proprio di poco gusto intervenire. Sparo a fondo lo zoom della videocamera e riesco a cogliere diversi soggetti e molti dettagli di questa singolare situazione. Solo dopo scopro di che cosa si tratta.. Gli Hamer organizzano le Evangadi. Sono delle serate di danza, che iniziano al tramonto, in un ampio spazio ampio, vicino, ai margini di un villaggio e possono protrarsi a lungo, nella notte. Se ne organizzano tante, specialmente alla fine della stagione delle piogge, quando la natura rende fertili le terre. I ragazzi si presentano, agghindati nel modo migliore che possono, e iniziano a danzare, saltando sul posto e avvicinandosi al centro dello spazio, per invitare le ragazze. La musica ritmica è data solo dal suono delle piante dei piedi sul terreno, dai campanellini che le ragazze portano addosso ed anche adesso dal battito delle mani di chi è vicino alla scena. Le ragazze si presentano in gruppo, poi una, due, tre di loro si fanno avanti, e ciascuna, se e quando vuole, si avvicina ad un ragazzo ed in modo impercettibile per chi guarda, tocca col piede il tallone del prescelto. Significa, semplicemente, “mi piaci”. Ogni ragazza ha la possibilità di scegliere anche più di un ragazzo, come è nella logica e nella cultura del loro popolo. Hamer Banna Vivono nella zona dell'Omo River e si possono incontrare numerosi ai mercati di Turmi e KeyAfer. Coltivano sorgo, miglio, verdure e allevano capre e galline. Le donne indossano pelli di capra decorate con perline e cipree; utilizzano le zucche svuotate e decorate come contenitori e indossano pesanti bracciali di metallo. La prima moglie di solito indossa un particolare collare di ferro, che ne indica la posizione privilegiata. Gli uomini indossano particolari copricapi di argilla impastata, con una o due piume di uccello. Si muovono stringendo fra le mani il "borkota", poggiatesta in legno intagliato. Ogni giovane che decide di cercar moglie deve prima superare la prova del "Jumping Ox". Anche per gli Hamer il sistema sociale si basa sulla divisione in classi di età degli uomini. Gli Hamer (o Hamar) sono il popolo più gentile e ospitale della valle dell’Omo. Sono in tanti, circa 75.000 oggi, e vivono in tre piccole città localita’: Turmi, Dimeka e Alduba, e in molti villaggi sparsi per la savana. Hanno una struttura sociale molto aperta: vivono in maniera quasi del tutto anarchica. Non hanno capi (decide l’assemblea del villaggio – riservata però agli uomini), né religione strutturata, né preti, né poliziotti né giudici né galere. Tutto ciò è possibile perché hanno due tabù innati (come per noi l’incesto), cioè maturati in secoli o in millenni, per difendersi dalla piaga dell’autoritarismo: “Non uccidere e non rubare nell’ambito del tuo popolo”. Chi dovesse infrangere uno di questi tabù, verrebbe punito con la cacciata dal villaggio e con l’espulsione dal suo popolo. Anche per questo (come per risolvere altre diatribe fra loro) hanno un “re”, una presenza che detiene una pura carica simbolica, e risiede sul Monte sacro dal quale gli Hamer provengono: il Buska. Il primo matrimonio, per un giovane Hamer, è quasi sempre stabilito dalla famiglia di origine. Ma il secondo matrimonio (gli Hamer sono poligami) è sempre per amore. È la seconda moglie la donna più importante dell’esistenza. La vita sessuale degli Hamer è assolutamente libera: prima e dopo il matrimonio. Quando i ragazzi e le ragazze raggiungono la maturità sessuale, i genitori li spingono ad andar fuori dal villaggio, a conoscere giovani della loro età, a corteggiarsi gli uni con gli altri, a frequentarsi, a fare l’amore. Nessun ragazzo Hamer sposerebbe mai una ragazza vergine: vorrebbe dire che non ha imparato nulla nella vita. Anche dopo il matrimonio marito e moglie restano liberi (relativamente: senza esagerare, perché i figli rimangono comunque al marito ufficiale, che può chiedere il divorzio). La tutela e il mantenimento della prole è molto importante, e anche le adozioni sono assolutamente di routine Al solito confiniamo con il mondo che vive lungo la strada. Attraversiamo Key Aser ed il casino che circonda la cittadina e mentre comincia il tramonto finalmente raggiungiamo Alduba, dove ancora ore fa avremo dovuto fermarci anche per visitare il mercato e le numerose etnie che barattano i loro tipici prodotti. A quest’ora sono molti i “banchi” che stanno chiudendo o che hanno già tolto la merce esposta. Altri sono ancora presenti e non ci sono occidentali. Ma almeno non fa così caldo: i colori dei tessuti dei prodotti sono davvero molto interessanti e come sempre i bambini ti saltano addosso. Anche in questo caso due di loro mi prendono per mano . Evidentemente loro ci sanno fare e capiscono che io ci sto. Camminiamo piuttosto veloci, è complicato vedere bene la merce, perché se ti mostri interessato sei subito circondato. E’ anche difficile fermarsi e fotografare con calma, impossibile. Giriamo in modo piuttosto rapido; poche foto, diversi sorrisi, tanto contatto. Compriamo due banane da una vecchietta per i due mignon che mi sono appiccicati e che le mangiano in pochi secondi Siamo tutti contenti. Basta talmente poco certe volte. Ci spiace per non poter dedicare più tempo , ma a quest’ora non ne vale più tanto la pena ed abbiamo ancora strada da fare. Mule ci aspetta per la prima volta lascia trasparire un po’ di impazienza. Credo che sia già molto stanco, non si è mai fermato. Partiamo verso Turmi. Quando entriamo nel lodge è già buio da un pezzo. Il villaggio è già pieno di ospiti. Sarebbe stato importante arrivare presto per poter prendere i capanni migliori, belli, comodi e puliti. Dobbiamo per forza accettare quello che è rimasto ed è rimasto il peggio, ovviamente. Appena prima di noi sta completando il check in un gruppo di una ventina di lituani. Con Nur anche noi compiliamo rapidamente i documenti e le carte con le firme di routine che Cele ormai gestisce come una hostes consumata . Scendiamo verso la camera lungo un sentiero e attraversiamo il piazzale dove sono già stati preparati in tavoli per la cena di questa sera. La Cena di San Silvestro. Tavoli all’aperto, ben tovagliati. Faccio due conti ed in totale saremmo al massimo 40 persone. Ci accompagna alla camera un vecchietto. Le valigie rotolano a fatica sul cemento del sentiero. Raggiungiamo la stanza, affiancata ad una serie di altre camere rumorose. Anche la nostra mi sembra una stanza che non consiglierei ad un amico. L'uomo facchino apre la porta e con lui salta anche un bel rospo proprio davanti al letto. Imperturbabile, a differenza di noi, in qualche modo lo spinge fuori. La camera è appena passabile, la luce è di quelle che ti fanno invidiare una bella cena a lume di candela; le tende o simili sulla finestra ci devono essere, altrimenti ti vedono anche le cicogne, ed hanno vissuto tempi molto, ma molto migliori. Qui dentro fa un caldo terribile. Il bagno e la doccia in particolare sono da dimenticare, L’acqua non scende e per terra vedo una ventosa che non mi induce a pensare a nulla di positivo. Ma non importa. Oggi è San Silvestro ed alle 20:30 appena passate siamo felicemente ed incredibilmente seduti in un tavolino bene apparecchiato, benissimo, in maniche di camicia, al fresco, con una temperatura giusta, noi due qui, in mezzo all’ Africa. Guardo in alto e sopra di noi abbiamo uno splendido cielo stellato: wow!!!!!! Grazie! Solo a pensare a dove eravamo10 ore fa. Non mi sembra che ci sia nulla di organizzato, molto bene dunque ed ordiniamo intanto una splendida bottiglia Rift Valley Cabernet Sauvignon: molto, ma molto buono. Il buffet del “cenone” non lo è altrettanto. E’ molto triste sia per la varietà minima delle proposte, sia per qualità. Non abbiamo grandi scelte.; alette di pollo, spezzatino forse di zebù, crema di lenticchie, riso in bianco, pezzi di manzo tipo gulash piccante. Non c'è altro!!!! Non importa, siamo noi e poi il gruppo di lituani , tre portoghesi, una coppia spagnola, due ragazzi giovani americani e poi qualche coppia, decisamente non più giovane… e se lo diciamo noi!!!. La serata e la cena non prevedono particolari festeggiamenti. Non ci sono dolci o creme, neppure una marmellatina. Però proprio per la ricorrenza ecco che alle 21.15 con un piccolo rituale, sopra un grande piatto……. ecco che portano del pane caldo appena sfornato. Si. Proprio e solo del pane caldo, senza alcuna farcitura. Ci scambiamo dei piccoli pezzi di pane e poi chi in piedi chi seduto anche un mezzo brindisi con quello che ciascuno ha sul tavolo; noi per fortuna abbiamo ancora dell'ottimo vino. E allora via alle danze. Comincia la musica che qualcuno ha preparato più o meno inopinatamente, ma vince l’allegria e qualcuno del gruppo lituano si mette a ballare. Si cerca in tutti i modi di fare un po’ di allegria e si sorride tutti o quasi. C’è sempre quello che si alza e va in camera ancora prima. I camerieri portano furtivamente 3 botti e ci chiedono, proprio a noi, se vogliamo accenderli. Non se ne parla neppure. Decliniamo l’invito e per fortuna. Li appoggiano loro per terra accanto ai tavoli. Due di questi sono la classica fontanella alta un metro o poco più che dura quei 30 secondi per fare un po’ di festa. Il terzo parte e poi scoppia, il cameriere perde il controllo, partono mini razzi in tutte le direzioni ad altezza uomo ed uno mi passa a meno di venti centimetri dal braccio. Mezzo parapiglia, chi si prende un attacco di panico, mentre altri piccoli fuochi partono dappertutto e poi direttamente in cielo dove sbottano di nuovo. Ma che “maradona” è mai questo. E per fortuna nessuno si è fatto male. Ma che rischio!!!! E allora tanti saluti, scampato il pericolo si va a nanna. Non sono ancora le 22 e chiudono anche i generatori della corrente. Ora internet funziona a scatti. Non posso e dunque non riusciamo a collegarci con l’Italia ed a mandare foto e gli auguri. Solo con il telefonino con la card etiope riusciamo a fare qualche spizzico di augurio, ma si prende poco, non si capisce nulla. Interpretiamo e speriamo che tutti siano felici. Comunque anche questa è l'Etiopia ed anche questo è il fascino di dove siamo ora. Non so, ma credo che non si possa scegliere di venire fino a qui per caso e noi non siamo venuti qui per il Capodanno da festeggiare. Siamo a 600 chilometri a sud della capitale Addis Abeba, anche per esplorare due degli otto parchi nazionali etiopi (il Mago e l’Omo), nati per proteggere savane e foreste di acacie, riconosciuti anche dall’Unesco. Non vedo nessuno e noi tanto meno impegnato a cercare leoni, elefanti, bufali, leopardi, giraffe, zebre. Gli animali selvaggi esistono, sostengono i ranger, ma sono pochi e difficili da avvistare. Non si viene qui per godere i lussi di campi tendati etnochic, tanto diffusi in altri Paesi africani. I lodge non mancano, ma sono semplici, spesso confortevoli e funzionali all’itinerario. Si arriva fin qui per ammirare, finché sarà possibile, un’umanità diversa e unica, che fa riflettere. Ed adattarsi è la parola chiave. Questo però ci consente, come una macchina del tempo, di tornare indietro per gettare uno sguardo sulla vita di millenni fa. Non è solo un tour turistico, ma proviamo a renderlo un viaggio che diventi confronto e dialogo, senza bisogno di parole, con le persone che si incontrano, un’esperienza da vivere con realismo e un pizzico di disincanto. Per non cadere nel falso mito del paradiso terrestre. Se la Valle dell’Omo un eden lo è davvero, e si nutre di natura e di cultura primordiali e intense, di certo non ha nulla di incontaminato. E l’incontro con la gente dei villaggi non è né spontaneo, né innocente. Non mi sembra ci sia più alcuna popolazione o etnia, anche in quest’angolo di Africa, che sia rimasta indifferente alle lusinghe dell’industria turistica. E spesso si rischia di provare fastidio per la loro natura mercenaria. Ma non si deve dimenticare che questo può essere il mezzo attraverso il quale i gruppi etnici traggono sostentamento economico e riescono a conservare le loro tradizioni. Vivono con molte caratteristiche comuni: la religione animista, la poligamia, le scarificazioni corporali, la nudità, il potere assoluto dei maschi e la subalternità delle donne. Alcune etnie vivono di agricoltura, altre di pastorizia, altre ancora di caccia e di pesca. Su tutto dominano i corpi che comunicano e parlano. Sempre abbelliti. E qualsiasi oggetto può servire per realizzare collane, orecchini, bracciali, gonnellini: frammenti di ossi e avorio, perline di vetro, alluminio, legno, corteccia, conchiglie, semi. E rimaniamo increduli. E vediamo ed ammiriamo cercando di riconoscerli per la varietà nelle acconciature: treccine spalmate di burro, fermate da cilindretti di osso e legno, riccioli tagliati a caschetto o attorcigliati intorno alla testa. Per gli uomini, cranio rasato con ciuffi arricchiti di piume, creste, codini. Una babele di bellezze e di stili. Questa inesauribile creatività risponde però a una sola, fondamentale esigenza: distinguersi in base al gruppo di appartenenza, di età e allo status sociale. Forse abbiamo ancora noi tanto da imparare!1 punto
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No, non è una costante. Ovvio che può capitare un anno sfortunato. Questo inverno per esempio in gennaio abbiamo avuto 29 giorni di pioggia misurabile su 31 e oggi abbiamo avuto un giorno di sole completo dopo più di due mesi che eravamo senza. Prima di oggi l'ultima volta che abbiamo visto il sole era poco prima di Natale. Da quando vivo qui, circa 12 anni, non era mai successo.1 punto
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Ho recuperato l'ultima giornata: che spettacolo! Inviato dal mio SM-A705FN utilizzando Tapatalk1 punto