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@yalen86 l'Hluhluwe mi è piaciuto tantissimo, sarà per i fortunati avvistamenti o per le dimensioni ridotte della reserve che te la fa apprezzare tanto...

Uao! 6 anni fa il povero Hilltop sarà stato sicuramente, come diremmo a Torino, un po' meno ... fanè! (sciupato) :wacko:

 

@luisa53 grazie! :inlove2: come procede l'opera di convincimento del marito?! :Chessygrin: 

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Questo non saprei dirlo.. ero con un gruppo di Avventure nel Mondo.. ben 16 persone! 
Le femmine scelsero le cabine con le camerate e i bagni in comune, mentre a noi maschietti "purtroppo" ci toccò una sistemazione nel bush (in fondo valle) che era composta da una struttura principale che faceva da salotto-cucina con vista e un dedalo di percorsi rialzati che portavano alle camere doppie, ognuna con bagno con vista. 
La cosa mi sembrò mooolto lussuosa, ma appunto non posso valutare la struttura principale. Mangiammo al ristorante sull'Hilltop ma non ho ricordi al riguardo. 

Devo ritornare prima o poi in Sudafrica (anche per visitare il Lesotho che saltammo per mancanza di tempo in favore dello Swaziland).. non prima di aver visitato la Namibia, il Botswana, lo Zambia, Zimbabwe e Mozambico :P (Oltre ad Australia, Colombia, Nepal, Indonesia, Tanzania ecc ecc). 

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L'opera di convincimento non procede perché il marito il prossimo anno vuole tornare in Australia visto che il giro che abbiamo fatto in maggio gli è piaciuto tantissimo. Come faccio a deluderlo?

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Giovedì 27/06

La notte passa tranquilla anche se ci svegliamo innumerevoli volte, un po’ per il caldo e un po’ perché siamo inconsciamente in apprensione per le bestiole che sentiamo distintamente camminare sul tetto in paglia.

Tutte le sistemazioni che sperimenteremo durante il viaggio, ad eccezione delle guest house, saranno infatti tradizionali rondavel, piccoli bungalow dalla forma rotonda, con il tipico tetto in paglia che viene sostenuto da travi in legno piuttosto alte. Naturalmente, sia per l’altezza del tetto stesso sia per la natura del materiale di cui è costituito, la presenza di ragnatele sarà abbastanza all'ordine del giorno. Ad onore del vero, non troveremo mai ragni più grandi di quelli che si troverebbero comunemente in qualsiasi casa di campagna (piccoli e tutti zampe) e non vedremo nessun altro insetto/rettile “strano”. Nonostante ciò, di lì a qualche giorno ci muniremo di una potente bomboletta spray con la quale “disinfestare” l’area ma il timore che qualche ragnetto si cali sul letto di notte non ci passerà mai del tutto!

 

Ci alziamo quindi intorno alle ore 6.00, ben prima della sveglia. Nonostante tutto ci sentiamo riposate perché la sera prima alle 21 stavamo già dormendo! Scostando le tende della portafinestra che dà sul balcone ci accorgiamo dello spettacolo meraviglioso che il sole sta preparando per noi, indossiamo velocemente pile e giacca e usciamo sul terrazzino che affaccia sulle meravigliose colline dell’Hluhluwe. Il sole sta facendo capolino e ci godiamo la nostra prima alba africana che incendia il cielo e l’orizzonte tanto quanto il tramonto del giorno prima. 

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Dopo esserci rinfrescate e cambiate, usciamo dalla rondavel e andiamo a fare colazione. Al contrario della sera prima, troviamo un bel buffet già allestito. Mentre Chiara continua ad andare sul sicuro con yogurt, frutta fresca, succhi e pane e marmellata io non resisto al profumo del bacon, che qui assomiglia molto a quello canadese piuttosto che al bisunto americano, e mi carico il piatto anche di una generosa porzione di uova strapazzate! Tutto molto buono e saporito! 

Ci troviamo un tavolino con vista e ci godiamo un po’ di meritato relax approfittando del WI-FI per condividere qualche foto e video con gli amici e con casa.

 

Con calma torniamo alla nostra rondavel per chiudere i bagagli: oggi abbiamo tutta la mattinata per esplorare la zona nord, in cui già ci troviamo, ma dobbiamo uscire dalla riserva al massimo per le ore 12.00 in modo tale da coprire i 200 km che ci separano dalla frontiera di Golela/Lavumisa e i restanti 100 km in Swaziland per essere alla Mkhaya Game Reserve puntuali alle 16.00! Mentre io chiudo i bagagli, Chiara resta fuori per fare ancora qualche video ricordo: ci siamo infatti ritrovate tutto il vialetto pieno di faraone caratterizzate da una incredibile cresta "afro" e un piumaggio a pallini quasi fluorescenti.

Ad un certo punto, mentre sono chinata sui bagagli, sento una presenza alle mie spalle, mi volto giusto in tempo per notare una scimmia vervet monkey che, in piedi sulle zampe posteriori, è proprio sulla soglia della portafinestra che avevamo dimenticato di chiudere prima di andare a fare colazione. Dopo un interminabile manciata di secondi in cui ci guardiamo come la celeberrima scena de “Il buono, il brutto e il cattivo”, faccio un passo verso di lei con un sonoro “No!”. Fortunatamente la simpaticona decide di indietreggiare giusto lo spazio necessario per permettermi di chiuderla fuori e forse indispettita dal fatto di non essere riuscita ad intrufolarsi in camera decide bene di espletare i suoi bisogni corporali appollaiata sulla ringhiera del nostro balconcino! Finiamo quindi di chiudere i bagagli al sicuro e carichiamo la macchina non senza qualche problema, circondate di scimmie e faraone che schizzano da tutte le parti.

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Ci dirigiamo poi in reception per il check-out e per utilizzare ancora un po’ il WI-FI rilassandoci sedute al sole della bellissima terrazza. Scorgiamo in lontananza, sulla collina di fronte a noi, due nutriti gruppi di elefanti che sembrano diretti al fiume sottostante. Anche da qui si riconoscono i cuccioli e i grandi maschi adulti.

Lasciamo l’Hilltop alle 9 circa e scendiamo lungo la strada asfaltata che collega il camp al Memorial Gate. Facciamo subito una deviazione su di un breve sterrato che porta ad una pan, una pozza di acqua dolce, dove in questa stagione secca ci sono sempre buone possibilità di avvistamenti. Ci imbattiamo, infatti, a distanza molto ravvicinata in un enorme bufalo solitario semi-nascosto nell’erba secca. Riusciamo a fotografare solo le corna ma lo ricordiamo ancora adesso come uno degli avvistamenti più belli per il silenzio e pace assoluta che regnava in quel momento.

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Ci ricolleghiamo alla strada principale e decidiamo di percorrere il Magangeni Loop, uno sterrato poco più avanti. Chiara, che è alla guida, mi chiede improvvisamente di leggere il piccolo opuscolo preso questa mattina alla reception che recita “Come osservare in sicurezza gli elefanti”, mi metto quindi a ricapitolare ad alta voce le regole principali che sono: fermarsi appena se ne vede uno, non spegnere la macchina, non avvicinarsi, non trovarsi mai e poi mai in mezzo alla mandria, aspettare che attraversino tutti, soprattutto se ci sono dei cuccioli e…. Chiara, attenzione: elefanti!

Ce li troviamo sulla sinistra, in mezzo ad un’ampia zona con arbusti piuttosto alti e verdi. Quello che non ci piace è che a destra della strada sterrata, piuttosto stretta, c’è un piccolo pendio scosceso completamente ricoperto di alberi e fitta vegetazione quindi non riusciamo a capire se tutta la mandria si trova tutta già alla nostra sinistra. Seguiamo alla lettera le istruzioni che abbiamo appena ripassato e ci fermiamo immediatamente tenendo la macchina in moto, nel frattempo notiamo gli elefanti muoversi in continuazione per mangiare da un arbusto all’altro, tranquilli e del tutto indifferenti a noi. Li osserviamo e fotografiamo per un po’ ma siamo molto indecise se superarli o meno. Smettiamo di fotografare e cerchiamo di concentrarci su eventuali rumori intorno a noi. Fortunatamente la nostra pazienza paga perché proprio nel momento in cui stavamo per ripartire, vediamo muoversi le chiome degli alberi sulla nostra destra e un elefante enorme irrompe trotterellando in mezzo alla strada dandoci la schiena. Restiamo in silenzio e lui, o lei, fortunatamente senza voltarsi dalla nostra parte, allarga le zampe per fare una sontuosa pipì+cacca proprio nel mezzo della strada prima di ricongiungersi al resto della mandria. Ci guardiamo stupefatte e anche un po’ spaventate, ci assicuriamo ancora qualche minuto che fosse veramente l’ultimo e poi Chiara ingrana la marcia e ci porta in salvo oltre il gruppo e a distanza di sicurezza. 

 

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È stata davvero un’esperienza elettrizzante e la prima e unica del viaggio, fortunatamente, in cui ci troveremo in una strada così stretta e con così poco visibilità al cospetto di questi giganti. Il punto fondamentale a mio avviso è proprio quello di avere sufficiente visibilità per rendersi conto di dove sono, quanti sono e soprattutto se sono tutti insieme.

Proseguiamo sul loop incrociando poco dopo un piccolo van che scorrazza sparato, lo affianchiamo e gli diciamo degli elefanti, intimandogli di usare cautela. Più avanti facciamo ancora in tempo ad avvistare tre giraffe intente a mangiare, i loro movimenti lenti e il loro incedere dinoccolato ci rasserena dopo l’esperienza un po’ troppo wild appena vissuta e riusciamo a fare loro dei bellissimi primi piani.

 

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Arriviamo al Memorial Gate a metà giornata, parcheggiamo e ne approfittiamo per utilizzare le toilette, sgranchirci le gambe e stuzzicare qualcosa. 

Salutato a malincuore l'Hluhluwe-Imfolozi, parco che ci ha "battezzate" all'esperienza del safari, mi metto alla guida per consentire a Chiara di rilassarsi dopo il mezzo spavento con gli elefanti. Nei pressi della cittadina di Hluhluwe ci immettiamo nella drittissima autostrada N2 e copriamo in circa 2 ore la distanza che ci separa dalla frontiera con lo Swaziland. Sfiliamo anche la Pongola Nature Riserve che avrebbe forse meritato una tappa dedicata. 

 

Giungiamo alla frontiera Golela/Lavumisa poco prima delle 14, dove veniamo indirizzate verso il controllo passaporti in uscita dal Sudafrica. L’agente di turno non ci pone alcuna domanda, salvo chiederci chi è il guidatore principale, e ci timbra i passaporti. Tornate all’auto percorriamo un brevissimo tratto delimitato fino all’uscita sudafricana, dove mostriamo i timbri sul passaporto, e ci dirigiamo verso la frontiera dello Swaziland/Eswatini, in entrata. All’interno di una modernissima costruzione che sembra la hall di un aeroporto, facciamo una breve fila e siamo di nuovo allo sportello. Qui ci chiedono nuovamente di mostrare i passaporti e timbrano il visto in ingresso a seguito del pagamento di una manciata di rand (l’equivalente di circa 3€). In cambio riceviamo un foglietto che dovremo consegnare al casello poco più avanti.

In neanche mezz’ora sbrighiamo tutte le formalità e siamo sulla MR8, la giornata è ancora lunga e siamo in anticipo sulle tempistiche. Ce la prendiamo comoda e mentre Chiara si riposa io guido lentamente lungo le strade dello Swaziland: la MR8 non è particolarmente panoramica e in questo tratto si avverte molto più forte la povertà della popolazione locale rispetto a quanto sinora visto in Sudafrica. Ci sono tantissime persone che camminano in strada, anche ragazzi e bambini piccoli, gli innumerevoli pulmini stracarichi ogni tanto li caricano alle fermate preposte o direttamente mentre fanno l’autostop. Visto l'anticipo ci fermiamo a fare benzina a Big Bend e compriamo due bibite ghiacciate, oggi fa davvero caldissimo in auto e ci si abbronza direttamente dal finestrino. 

 

Proseguiamo e in poco meno di mezz’ora arriviamo intorno alle 15:30 nei pressi del gate di Mkhaya dove troviamo già due giovani ragazzi swazi che aspettavano proprio noi: un simpatico ranger ed una gentilissima ragazza che scopriremo essere la responsabile dell’accoglienza allo Stone Camp. Dopo le presentazioni, ci aprono il cancello e ci chiedono di seguirli lungo la stretta e a dir poco accidentata strada sterrata che si addentra nella riserva. Sono elettrizzata: aspettavo di essere qui da tantissimo tempo! Dopo qualche km arriviamo ad una grande casa in muratura recintata dove alloggiano i ranger e la famiglia del responsabile della riserva, un omone sudafricano che conosceremo la sera stessa a cena. Qui lasciamo la nostra macchina, prendiamo con noi i bagagli e, dopo un bicchiere di succo gentilmente offerto sotto una tradizionale costruzione in paglia, saliamo sulla Jeep scoperta. 

Facciamo subito conoscenza con una coppia di signori sudafricani gentilissimi, arrivati questa mattina con l’ingresso delle 10, e con la nostra fantastica guida Sibusiso, un giovane ranger swazi dal sorriso smagliante e gli occhi attenti che ci porterà allo Stone Camp stasera e ci accompagnerà anche nel safari all’alba di domani.

 

Ci avviciniamo al camp con il sole che inizia la sua discesa verso l’orizzonte, l’aria è calda e profuma di terra. L’esperienza della Jeep scoperta per noi è nuova e sobbalziamo divertite ad ogni cunetta (quello che Sibusiso definirà sghignazzando “African massage!”). Il paesaggio è incredibile, il bush qui è piuttosto fitto ma man mano che ci addentriamo ci accorgiamo che l’area è sopraelevata: si distinguono in lontananza le dolci colline dello Swaziland oltre i confini dell’Mkhaya. Mentre guida Sibusiso ci racconta della riserva, degli sforzi per la salvaguardia dei magnifici rinoceronti africani, ci descrive le loro abitudini e il loro temperamento e avvertiamo chiaramente la grande conoscenza e rispetto che nutre per questi meravigliosi animali. Arriviamo poi ad uno specchio d’acqua dove convivono pacificamente, ma ci spiega quasi del tutto ignorandosi, una colonia di ippopotami e un gigantesco coccodrillo. Vediamo chiaramente le sue spaventose fauci spalancate: in confronto a quelli dell’Isimangaliso, questo mette i brividi anche perché siamo praticamente con le ruote anteriori della Jeep in acqua!

 

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Ripresa la guida, arriviamo in una zona dove Sibusiso ci spiega che la mattina aveva avvistato due rinoceronti e con l’aria furba ci dice che avrebbe provato a farli uscire dal bush mandandoceli incontro. Capiamo subito con che soggetto abbiamo a che fare e non sarà nulla in confronto all’esperienza di domani! Detto fatto, lasciando la Jeep in moto ed intimandoci di fare silenzio, salta giù e sparisce nel bush. Sentiamo i suoi passi scricchiolare e poi più nulla, riappare poco dopo da un punto diametralmente opposto a dove l’avevamo visto l’ultima volta: ci dice che erano una coppia ma che non è riuscito a indirizzarli verso di noi. Distinguiamo poco dopo i rumori dei due grossi erbivori che si allontanano.

Riprendiamo la strada verso lo Stone Camp vedendo kudu, nyala e ci fermiamo per ammirare un meraviglioso tramonto. L’aria si è fatta fresca e in un attimo è buio con il cielo che inizia a punteggiarsi di stelle. Trovarsi qui, su di una Jeep scoperta con la consapevolezza che si è ospiti, anche solo per una notte, di un ecosistema in perfetto equilibro, è stata per me un’emozione davvero difficile da descrivere.

 

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Arriviamo allo Stone Camp dopo almeno un’ora e mezza di strada, avvistamenti e natura incontaminata. Ci accoglie il manager, di cui purtroppo non ricordo il nome, mentre le gentilissime e dolcissime donne swazi vestite in abiti tradizionali ci porgono degli asciugamani caldi che sono per noi davvero una coccola infinita. Sibusiso si carica i nostri bagagli e ci accompagna alla rondavel che ci è stata assegnata, la numero 2 denominata “Warthog”, facocero.

La particolarità dello Stone Camp è quella di essere un bush lodge e di offrire un’esperienza totalmente immersiva nella natura: non c'è corrente elettrica, ad eccezione di una piccola luce ad alimentazione solare per ciascuna rondavel. L'area di notte è illuminata il minimo necessario per mezzo di lampade a petrolio, strategicamente posizionate per illuminare i sentieri che collegano le rondavel al campo principale, dove viene allestite la cena davanti al fuoco. Le rondavel sono semi aperte ovvero sono completamente cintate da un basso muro in pietra, alto circa 1 metro, ma tra questo muro e l’alta copertura in paglia non vi sono muri né finestre. L’accesso avviene superando tre gradini in pietra e aprendo un cancelletto basso (Sibusiso ci spiegherà che saltuariamente il campo è visitato dalle iene, ma di stare tranquille che non saltano mai oltre il cancello! Well played, Sibusiso, well played!). L’ambiente è davvero accogliente e non mancano i comfort per quanto semplici: sedie da campo e tavolino in legno, un grande e comodo letto con zanzariera, baule dove riporre i bagagli e, forse l’elemento più divertente: un bagno in pietra completo di doccia ma totalmente aperto, con vista sul bush. Arrivare allo Stone Camp con il buio è un’esperienza davvero unica, muoversi alla sola luce delle lampade a petrolio un po’ disorienta ma la sensazione che qui la natura quasi avanzi verso l’uomo e sia sul punto di abbracciarlo è impagabile.

 

Dopo esserci sistemate, non senza fatica alla minima luce disponibile a cui non siamo affatto abituate, ci avviamo a piedi al campo principale seguendo la scia delle lampade a petrolio, e ci troviamo di fronte ad una scena da film: ci sono tre tavoli apparecchiati, uno per noi, uno per la coppia di sudafricani con cui abbiamo condiviso la Jeep all’arrivo e una tavolata per un gruppo di fotografi professionisti. Li troviamo tutti in piedi attorno al fuoco, alimentato da grandi ceppi di legno disposti tutt’attorno, prendiamo due birre e ci presentiamo, scambiando qualche chiacchiera come se fossimo tra vecchi amici. Questo posto è un sogno!

Dopo qualche minuto, siamo invitati tutti ad accomodarci: i tavolini, seppur siano quelli tipici da campo, sono apparecchiati davvero con gusto e di tutto punto, le stelle Michelin sono sostituite da centinaia di migliaia di stelle del cielo africano. Stasera non solo la Via Lattea è chiaramente visibile ma sembra quasi di poterla toccare. 

Ci sediamo e ci vengono serviti al tavolo uno sformato di verdure e una zuppa davvero deliziose. Terminati gli antipasti, possiamo alzarci e servirci liberamente a buffet di carne e pollo alla griglia, preparata al momento nel vicino barbecue in pietra, verdure, purea di zucca e insalata di barbabietola. È tutto ottimo e l’atmosfera è davvero coinvolgente. Finito di cenare, avviciniamo tutti quanti le sedie attorno al fuoco e assistiamo agli spettacolari balli e canti tradizionali delle donne swazi con le quali alla fine intoniamo tutti insieme il tradizionale canto sudafricano “Shosholoza”. Un momento, ancora adesso, per me di autentica commozione.

 

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Ormai è notte allo Stone Camp e noi siamo stanchissime: domani verremo svegliate all’alba per il morning safari delle 5:45 e sentiamo il bisogno di riposare dalle innumerevoli emozioni della giornata. Rientriamo alla nostra rondavel e ci infiliamo nel letto scoprendo che mentre cenavamo l’attentissimo staff aveva posto ai piedi del letto, sotto le coperte, borse incandescenti di carbonella. Avevamo paura di patire il freddo e invece sarà esattamente il contrario! Decidiamo di lasciare le lampade a petrolio accese anche se sotto la zanzariera ci sentiamo al sicuro: non si sentono rumori di animali se non qualche scimmia in lontananza e qualche bush baby ed in pochi minuti ci addormentiamo profondamente. 

Mi sveglio solo una volta, circa un’ora prima dell’alba, tendo l'orecchio convinta di sentire mille suoni e rumori a me ignoti ed invece c’è solo un silenzio assoluto e perfetto tutt’attorno a noi che mi lascia basita e mi riempie letteralmente il cuore. 

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Giovedì 28/06 – 1° parte

Mi sveglio che è ancora buio ma ora distinguo chiaramente i rumori e suoni del bush che inizia ad animarsi. Mi alzo scostando il pesante piumone: la carbonella sul fondo del letto è ancora calda! Mentre vado in bagno sento uno scricchiolio di passi, o meglio, di zampe. Ho solo il cellulare con me, lo uso come torcia ma riesco ad illuminare pochissimo oltre la bassa parete in pietra. Vedo solo i contorni degli arbusti ma sono sicura che c’è qualcosa lì fuori che si avvicina salvo poi trotterellare via quando punto la torcia del cellulare nel tentativo di capire cos’è. Sto qualche minuto in attesa e ad un certo punto mi sembra proprio di distinguere una lieve gobba e un collo proteso in avanti che si allontana. Ma è il colore del mantello a sorprendermi: maculato! Sono quasi certa di aver visto una iena!

 

Torno nel letto senza dire nulla a Chiara per non allarmarla ma in effetti mi sento in prima persona relativamente tranquilla: la iena, o qualunque cosa fosse, sembra aver deciso di girare al largo, mentre iniziano a distinguersi chiaramente i rumori del camp che si risveglia: voci, il motore della jeep, stoviglie. In poco meno di mezz’ora, infatti, una delle donne swazi dello staff percorre il nostro vialetto e ci dà il buongiorno depositando un grande vassoio con the, caffè e biscotti. Gustiamo una tazza di caffè bollente mentre ci vestiamo a più strati con camicia pesante, pile, giacca a vento, copri collo e cappello di lana: in pochi minuti siamo pronte per il safari dell’alba! 

 

Ci troviamo tutti alla jeep alle 5:45, non è più così buio ma manca almeno mezz’ora all’alba vera e propria. Salutiamo la coppia di sudafricani, che alla nostra domanda su come sia stato passare la notte così, ci risponde in coro “Diversa!”, e saltiamo a bordo accompagnati da Subusiso. Come ieri ci posizioniamo sui sedili posteriori per avere più libertà di movimento e partiamo alla volta del bush!

Arriviamo al cancello che delimita il camp e entriamo nella riserva, dopo poche curve improvvisamente la signora sudafricana, che si rivelerà un vero e proprio cecchino negli avvistamenti, urla “Stop!”. Ci guardiamo attorno e scorgiamo, in una stradina laterale, proprio un bellissimo esemplare di… iena maculata! Ah ma allora non stavo sognando! È la prima che vediamo e ci guarda fisso fisso con gli attenti occhietti neri e le orecchie tonde da orsacchiotto che si muovono ritmicamente avanti e indietro. Resta immobile per un istante interminabile e poi corre a nascondersi dietro un cespuglio, ma subito ecco che rispunta con quel muso curioso. Bellissima!

 

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Riprendiamo l’esplorazione della riserva con Sibusiso che si infila in strette strade sterrate, cerco di visualizzare mentalmente il percorso ma finisco per perdere completamente l’orientamento. Arriviamo infine vicinissimi ad un gruppo di tre altissime giraffe intente a brucare i rami più teneri di una pianta di mopane e nel frattempo incrociamo l’altra jeep carica del gruppo di avi-fotografi professionisti. Sibusiso e l’altra guida si scambiano rapide informazioni in swazi ma purtroppo anche loro non stanno riuscendo ad avvistare i rinoceronti.

 

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La nostra guida però non si perde d’animo e riprende la sua “caccia” attenta. Svoltiamo a sinistra su un rettilineo più ampio di quelli sinora percorsi, lungo un centinaio di metri, che sembra scomparire nel bush. Rallentiamo e Sibusiso si ferma quasi a ridosso di un gigantesco mucchio di…cacca fresca. Si gira e ci dice di fare silenzio mettendosi in ascolto, scrutiamo il bush alla nostra destra e Sibusiso ci indica una direzione: faccio fatica, un po’ per la scarsa luce un po’ perché la vegetazione è davvero fitta ma alla fine la posizione sopraelevata a bordo della jeep ci ripaga. Praticamente dal nulla, vedo materializzarsi il corno di un rinoceronte a neanche cinque metri da noi, che avanza come se fosse la pinna di uno squalo. Contemporaneamente sento Chiara che si volta e mi tocca il braccio: un altro rinoceronte è appena spuntato da dietro la jeep e ci scruta nascosto dietro un cespuglio ma con le zampe anteriori già sulla strada. Ci studiamo per quelli che sembrano minuti interminabile e scatto un sacco di fotografie mentre Chiara li riprende. Sono bellissimi e soprattutto a due passi da noi.

 

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Sibusiso ci spiega che siamo fermi però in un punto sbagliato ovvero troppo vicini ai loro escrementi che, di fatto, segnalano il loro territorio. Ci intima di sederci e riparte lentamente per fare un’inversione a U e tornare verso di loro fermandosi in un punto migliore: noi non stacchiamo gli occhi dai rinoceronti per seguire ogni loro movimento e li vediamo attraversare la strada per poi scomparire dall’altra parte.

Avvertiamo Sibusiso che, una volta fatta inversione, torna indietro. A quel punto senza dirci una parola, spegne la macchina, scende e si avvicina a noi quattro, guardandoci dal basso verso l’alto. Quasi bisbigliando, come se fosse un segreto, ci dice: “Allora, avete visto abbastanza o volete di più?” So già che cosa ci sta proponendo: di seguirlo a piedi a stanare i rinoceronti! Gli chiedo se è certo che sia sicuro muoversi a piedi, lui mi guarda serio e poi sorridendo mi risponde “You need to trust this man! Devi fidarti di quest’uomo!” e si punta un dito sul petto. Affare fatto, Sibusiso!

 

Scendiamo lasciando gli zaini nella Jeep e portando solo le macchine fotografiche e ci incolonniamo dietro di lui: io, Chiara, la signora sudafricana e chiude la fila il marito. Non ci credo che stiamo seguendo a piedi un ranger nel bel mezzo di una riserva in Swaziland! Sono felice, sono viva! Stringo forte l’obiettivo della macchina fotografica e sento le mascelle farmi male per la tensione, per l’eccitazione e per l’autentica contentezza di avere il grande privilegio di fare un’esperienza del genere.

 

Seguiamo Sibusiso senza parlare né fare rumore, metto i piedi esattamente dove li mette lui e mi accorgo di quanto è morbida e sabbiosa la terra, di quanto alto è il bush visto “da dentro” e non dalla macchina. Sibusiso la prende alla larga, ripensandoci penso abbia fatto in modo di tenere il gruppo sopravento rispetto a dove si aspettava di trovare i rinoceronti, in modo tale da dare loro la possibilità di “annusarci” e renderli consapevoli della nostra presenza.

Percorriamo quindi un semicerchio per cinquanta-settanta metri e poi arriviamo in una piccola radura. Sibusiso ci fa posizionare vicini, in fila uno dopo l’altro e ci fa segno di abbassarci. E qualche secondo dopo… eccoli. La coppia di rinoceronti di prima spunta a meno di tre metri da noi, illuminata come in una visione dai primi raggi del sole. Da questa prospettiva sono enormi. Sibusiso, vicino a me, mi bisbiglia “foto, foto, foto …” e io scatto come posso, come riesco, completamente rapita da questa incredibile situazione.

 

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Improvvisamente, il rinoceronte che era rimasto più in disparte, avanza verso il compagno con due piccoli passi trottati, quasi sgroppando e Sibusiso, attento ma sempre con un sorriso rassicurante, ci fa cenno di alzarci piano ed indietreggiare. Facciamo qualche passo rimanendo rivolti verso i rinoceronti, poi ci dice di girarci e camminare tranquillamente dietro di lui. Riprendiamo tutti a respirare! Che emozione! Seguiamo Subisiso che ci riporta alla macchina ma non prima di un altro bellissimo incontro ravvicinato: le tre giraffe avvistate prima, a una decina di metri da noi, che fotografiamo con la bella luce del sole ormai levato sopra l’orizzonte.

 

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Che mattinata! Quanto ritorniamo alla jeep, tiriamo tutti un sospiro di sollievo, e tra me e me penso che potrei vivere così tutto il giorno tutti i giorni. Completamente appagati e ancora increduli di questa magnifica e inaspettata esperienza, torniamo allo Stone Camp, facendo ancora in tempo a vedere un bellissimo esemplare di kudu. Abbiamo sforato di almeno mezz’ora e siamo in ritardo per la colazione!

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Quando arriviamo, ci dirigiamo subito verso l’area dove abbiamo cenato la sera prima e ci riaccomodiamo ai nostri tavoli. Ci serviamo al buffet di una generossissima dose di uova all’occhio di bue, bacon, salsicce, yogurt, frutta e beviamo due enormi tazze di caffè. Siamo in piena adrenalina e siamo a mala pena in grado di parlare. Magnifico!

 

 

Sono ormai le 9:30 di mattina ed è ora di andare. Torniamo alla nostra rondavel a recuperare i bagagli, saldiamo il conto (un centinaio di rand per la tassa di soggiorno della riserva e le birre della sera prima), scriviamo un commosso ringraziamento sul grande libro vicino alla reception dove altri viaggiatori entusiasti hanno lasciato i loro commenti prima di noi e salutiamo il manager. Non sarà Sibusiso a riportarci alla macchina ma il giovane ranger che ci ha accolto ieri. Sembra passato un secolo da quanto siamo arrivati a Mkhaya tante sono state intense le emozioni vissute nelle ultime 24 ore!

 

Salutiamo Sibusiso e ci scambiamo i numeri di cellulare promettendoci di scambiarci qualche foto via Whatsapp e gli diamo anche una generosa mancia per il bellissimo safari che lui accetta con gioia. Lascio lo Stone Camp con un groppo in gola: è, stata indubbiamente una delle esperienze più belle della mia vita e una delle più intense di tutto il viaggio.

 

Percorriamo a ritroso il tragitto dal camp fino alla casa dei ranger dove ritroviamo la nostra macchina, salutiamo la coppia di signori sudafricani con un forte abbraccio, carichiamo i bagagli e ci mettiamo in marcia dietro di loro verso l’uscita sulla MR8.

Qui le nostre strade si dividono, loro svoltano a sinistra verso Big Bend e noi a destra verso la nostra meta di oggi. Nonostante le incredibili emozioni e la mattinata super intensa, sono solo le 10 di mattina! Abbiamo relativamente pochi chilometri da percorrere, una novantina circa, fino alla riserva swazi “gemellata” con la Mkhaya, il Mlilwane Wildlife Sanctuary nella valle di Ezulwini.

 

[Continua...] :inlove2:

 

 

Modificato da claudiaa
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Giovedì 28/06 – 2° parte

 

Percorriamo i chilometri che ci separano dal Mlilwane Wildlife Sanctuary con ancora negli occhi e nel cuore le emozioni appena vissute a Mkhaya. Guido mentre Chiara, ancora in adrenalina, telefona a casa e racconta tutto d’un fiato la magnifica avventura al cospetto dei rinoceronti. Il traffico è piuttosto sostenuto rispetto a quello incontrato finora e arriviamo all’incrocio con la MR3 dopo qualche rallentamento dovuto a lavori stradali, svoltiamo a sinistra in direzione Manzini e incrociamo una pattuglia della polizia locale che ci fa cenno di accostare. Si avvicina un giovane in uniforme che si presenta con un gran sorriso, mi chiede di fargli vedere la patente italiana e si informa da dove arriviamo e dove siamo dirette, rispondiamo con cortesia e lui ci saluta sbracciandosi, dicendo che lo Swaziland è un bellissimo paese e di goderci la vacanza. La gentilezza di questo popolo è davvero disarmante.

 

Proseguiamo fino a Manzini che, insieme alla capitala Mbabane, è la più importante città dello Stato. Attraversiamo la via principale dove ci sono tantissime persone e bancarelle con musica a tutto volume. Parcheggiamo vicino ad una banca perché siamo rimaste senza contanti, avendo dovuto saldare cash il conto a Mkhaya. Preleviamo, per qualsiasi evenienza, l’equivalente di una ventina di euro in valuta locale: occorre ricordare che gli Lilangeni, pur avendo un cambio 1-1 con il rand sudafricano, sono accettati solo in Swaziland.

 

Proseguiamo e in poco più di un’ora e mezza arriviamo all’ingresso del Mlilwane Wildlife Sanctuary, una piccola riserva ma la più antica dello Swaziland che sorge ai piedi di un gruppo di montagne e che ospita unicamente erbivori con nutrite mandrie di zebre, gnu e tantissime specie di antilopi. Essendo priva di predatori, le sue innumerevoli strade sterrate secondarie sono percorribili a piedi, a cavallo o in bicicletta facendone una destinazione molto gettonata, anche per i locali. 

Mlilwane è anche molto bella paesaggisticamente, soprattutto i contrasti di colore la fanno da padrone: la terra arancione, quasi rossa, grandi pianure di erba secca gialla, macchie di vegetazione tropicale in corrispondenza di un lago artificiale. Superiamo il cartello di benvenuto che riporta una frase di Ghandi “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali” e parcheggiamo di fronte alla costruzione che ospita la reception. Paghiamo la tassa di soggiorno per la notte e acquistiamo la mappa cartacea della riserva. Mostriamo lo scontrino ad un vecchietto sdentato in uniforme da ranger che a mano ci sposta il cancello di ingresso ed entriamo. La strada è completamente sterrata ma il fondo sabbioso è perfetto, dopo poche curve ci troviamo letteralmente immerse nell’erba alta con varie tipologie di antilopi che brucano da tutte le parti. Il contesto è davvero incantevole.

 

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Arriviamo verso le 11 nei pressi del Mlilwane Rest Camp principale che è piuttosto grande: ci sono una decina di rondavel in muratura affacciate sulla vallata, dove alloggeremo noi, una zona dove è possibile pernottare in costruzioni più tradizionali a capanna disposte in cerchio, un’area attrezzata per chi campeggia, la reception con maneggio e il ristorante. Parcheggiamo e ci dirigiamo alla reception dove lo staff ci informa che la nostra stanza è già pronta consegnandoci la chiave di ingresso. Acquistiamo, a circa 3€, anche un pass per il Wi-FI che è disponibile solo nei pressi di questo edificio.

 

Una ragazza della reception mi accompagna a piedi alla nostra sistemazione mentre Chiara fa manovra e parcheggia accanto alla casetta, proprio come se fosse un motel. La rondavel ci soddisfa molto, è spaziosa, pulita e anche il bagno e grande, con doccia separata da wc e lavandino. C’è anche il frigo e una piccola cucina, all’esterno non manca il caratteristico braai e, proprio di fronte alla porta di ingresso, abbiamo anche a disposizione un piccolo patio con due comodissime sedie “stile canadese”. La vista spazia sulla valle sottostante dove pascola tranquillo un piccolo gruppo di zebre. Che pace! In confronto alle sensazioni bellissime ma wild dello Stone Camp questa sistemazione ci sembra un resort a 5 stelle!

 

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Approfittiamo del fatto di avere già a disposizione la stanza e dell’orario per fare un po’ di pulizia dentro la macchina, portiamo dentro i bagagli e li riordiniamo dopo che stamattina, venendo via dallo Stone Camp abbiamo cacciato malamente il vestiario pesante da safari. Ci godiamo infine un po’ di relax e la vista sedute comodamente nel patio esterno. Siamo indecise su come visitare la riserva e andiamo a dare un’occhiata nei pressi della reception. Le biciclette sono tutte prenotate e fa troppo caldo per camminare, decidiamo quindi di bissare l’esperienza a cavallo prenotando la passeggiata di lungo il Chubeka Trail alle ore 15.00.

 

Approfittiamo un po’ del WI-FI e facciamo una passeggiata nei pressi del camp, seguendo il suggerimento della reception ci presentiamo anche al Hippo Haunt Restaurant, l’unica opzione per cenare all’interno del parco, e prenotiamo un tavolo per due per le 19. Alle 15.00 puntuali siamo al maneggio dove apprendiamo con sollievo che il personale è molto più attento e organizzato rispetto a quello di St. Lucia: ci spiegano il percorso e ci danno alcune indicazioni sui cavalli, aiutandoci a montarli. Facciamo conoscenza con una famiglia italiana che scopriamo essere di… Torino! Ma chi ha detto che non c’è turismo italiano in Sudafrica?!

La passeggiata è decisamente più tranquilla di quella sperimentata pochi giorni prima, i cavalli sono molto docili, il mio al limite dell’addormentato, e ci accompagnano lungo un bellissimo giro che si allontana dal camp verso nord e si addentra nelle pianure ricoperte d’erba. Ammirare la grande varietà di gnu e antilopi che punteggiano questa distesa dorata a dorso di cavallo è decisamente una bellissima sensazione. Il ritmo è molto lento e, di fatto, non copriamo una grande distanza ma ci rilassiamo tantissimo. Dopo un’ora siamo già di nuovo in vista del camp, dove arriviamo dopo aver costeggiato lo stretto lago artificiale infestato di…giganteschi coccodrilli. Uno pensa di essere finalmente in un posto sicuro e senza sorprese ed invece l’Africa ti stupisce sempre!

 

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Tornate al camp, smontiamo da cavallo e torniamo a piedi alla nostra casetta. Proseguiamo il pomeriggio di relax con una meritatissima doccia (che avevamo saltato ieri a Mkhaya!) e facciamo un piccolo aperitivo finendo cracker e patatine, circondate da nyala che, ma mano che fa sera, si avvicinano al camp per brucare. Questo posto ci sta davvero rigenerando. Ci cambiamo perchè la sera rinfresca sempre e camicia, pile e giacca sono d’obbligo e ci avviamo a piedi al ristorante. 

La costruzione è davvero caratteristica: completamente aperta e riparata solo da un ampio tetto di legno, i tavoli sono allestiti tutti su di una terrazza sopraelevata tipo palafitta che affaccia su una piccola palude che dicono essere abitata da ippopotami che, però, non abbiamo visto. La cena è a buffet e ci serviamo liberamente di insalata di barbabietola, carne, riso e verdure al vapore. Non è stata la cena migliore della vacanza ma abbiamo apprezzato il fatto che fosse tutto molto… casalingo.

 

Terminato di mangiare ci dirigiamo vicino ala reception per usufruire ancora un po’ del WI-FI e incappiamo in una famiglia di facoceri che sta dormendo stretta stretta gli uni agli altri completamente addossata alle braci del fuoco ormai spento nel bel mezzo del campo. Al buio abbiamo scambiato i loro corpi grigi e massicci per tronchi e stavamo quasi per mettergli i piedi addosso! Meraviglioso, cose che succedono solo in Africa e per le quali, dopo quasi una settimana di viaggio, ci stiamo inconsciamente già facendo l’abitudine!

 

Torniamo tranquille verso la nostra rondavel, ci godiamo un ultimo sorso di Amarula e andiamo a dormire completamente rilassate, ci voleva proprio una giornata improntata con ritmi un po’ più bassi! Domani avremo ancora tutta la mattina a disposizione per esplorare la riserva di Mlilwane e poi sarà tempo di dirigerci verso nord e tornare in Sudafrica per prepararci all'incontro con il mitico Kruger!

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Venerdì 29/06

 

Oggi ci svegliamo con tutta calma verso le 8 del mattino dopo una notte riposante. Andiamo a fare colazione all’Hippo Haunt Restaurant dove troviamo allestito un egregio buffet dolce e salato, che paghiamo separatamente come la cena della sera prima. Ci serviamo di un po’ di tutto sedute ad uno dei tavolini della terrazza sopraelevata con un bel sole già alto nel cielo e molto caldo. Questa riserva è davvero un’oasi di pace e tranquillità: dopo colazione facciamo una passeggiata nei pressi del campo percorrendo a piedi un tratto del sentiero che costeggia le rondavel e si allontana lungo il Chubecka Trail e scattiamo qualche fotografia ad un gruppo di zebre vicinissime che al nostro passaggio continua a brucare indisturbato. Sono davvero belle, il manto è talmente lucido che quasi viene il dubbio che siano state appena strigliate... invece sono loro che si puliscono e grattano contro le cortecce degli alberi! 

 

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Tornate alla nostra rondavel carichiamo l’auto riordinata di tutto punto e facciamo il check out. In macchina verso l'uscita ci attardiamo lungo la miriade di strade sterrate secondarie che si perdono nelle grasslands della pianura di Mlilwane. Qui avvistiamo tanti gnu con lunghe criniere che risplendono al sole, imponenti. Che meraviglia, è difficile descrivere il senso di rilassatezza che trasmette questo posto: è come trovarsi in un giardino immenso ma al tempo stesso perfettamente a misura d’uomo.

 

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Ultimato il giro, imbocchiamo la via verso l’uscita dalla riserva, che lasciamo a malincuore. Sono le 12:00 quando ci immettiamo nella MR3 che ci porterà a nord. Il tratto da Lobamba fino alla capitale, Mbabane è piuttosto trafficato e l’autostrada sale in un susseguirsi di ampie curve. Per uscire dallo Swaziland percorreremo la MR1 che collega Mbabane alla frontiera di Jeppe’s Reef, quest’ultima situata a soli 30 km dall'ingresso sudovest del Kruger National Park, quello di Malelane, dove dormiremo stanotte.

 

In fase di programmazione ho trovato poche informazioni su questa bella area dello Swaziland ma i pochi pareri letti su diarii e forum online consigliavano all'unanimità di scegliere questa strada per godere di una deviazione insolita e lontana dal “turismo di massa”: la Malolotja Nature Reserve. La riserva si trova infatti circa a metà della MR1 ed è un’enorme area completamente selvaggia, caratterizzata da alte colline ondulate che sembrano la schiena di un gigantesco animale preistorico.

Paesaggisticamente la riserva offre il meglio durante l’estate australe quando le colline si ricoprono di erba verde brillante, tuttavia non mi sono affatto pentita della scelta di visitarla anche in inverno: le rocce che costituiscono questo gruppo montano sono tra le più antiche dell’Africa e proprio questo senso di immobilità, antichità e misticismo ha caratterizzato la nostra seppur breve visita.

 

Tornando al diario, dopo aver superato Mbabane svoltiamo sulla MR1 ed impieghiamo circa mezz’ora per arrivare all'ingresso della Malolotja. La strada è molto bella e si respira un’aria campestre e rurale: sembra quasi di essere in Umbria o Toscana in alcuni tratti. L’ingresso della riserva è costituito, come di consueto, da una piccola costruzione che funge da guardiania dove un’addetta ci fa compilare un modulo con i dati della macchina e lo scopo della visita. Da qui la strada sterrata si perde tra le colline: il paesaggio è lunare, ci sono ampie zone ricoperte da erba gialla e altre dove è nera e bruciata. Apprendiamo che in alcune stagioni i ranger sono soliti effettuare incendi controllati per dare modo alla flora di rigenerarsi. Visivamente il risultato è stupefacente e il contrasto di colori davvero suggestivo. 

 

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La strada è sterrata e dobbiamo prestare molta attenzione al fondo, con un’utilitaria la guida sarebbe stata decisamente più difficoltosa. Raggiungiamo un bel tratto punteggiato da massi enormi tra i quali avvistiamo un nutrito gruppo di blesbok, una specie di antilope con una striatura bianca sul muso che non vedremo più altrove ed un bel nyala maschio.

 

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Arriviamo alle 14:00 al Logwaja Viewpoint, il più iconico della riserva, dopo un breve tratto a piedi (non ci fidiamo infatti a percorrere i 500 metri che portano al parcheggio del punto panoramico in quanto la strada ci sembra troppo dissestata). Ci sediamo sulla sgangherata panchina in legno e pranziamo a base di frutta, cracker e barrette. Siamo solo noi e la vista è bellissima, una serie di colline “gobbe” che si perde verso nord. Ci godiamo la pace mistica del posto contente di aver raggiunto questo piccolo e remoto angolo di Africa.

 

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Purtroppo il tempo stringe e siamo costrette a ripercorrere a ritroso la strada di ingresso: ci rimettiamo in auto verso le 15:00 e, una volta uscite dalla riserva, proseguiamo sulla MR1: la strada diventa un susseguirsi di saliscendi e curve, alcune anche strette, ma quello che rende la guida un po’ ostica sono le buche che in questo tratto sono onnipresenti. 

Proseguiamo con cautela fino all'anonima cittadina di Jeppe’s Reef dove ci fermiamo a fare benzina e liberarci degli ultimi contanti in valuta swazi. Arriviamo quindi alle 16:00 circa alla frontiera e lo spettacolo che ci si para davanti è completamente diverso da quello sperimentato qualche giorno prima.

 

La frontiera swazi è poco più grande di un ufficio postale ma quello che ci impressiona è il quantitativo di gente che c’è! Lasciamo a fatica la macchina perchè il parcheggio è letteralmente invaso di auto e addirittura pullman che scaricano una marea di persone e alla frontiera c’è già una lunga coda! Ci mettiamo in fila anche noi, un po’ a disagio perché siamo le uniche turiste in mezzo a centinaia di locali, ci colpisce il fatto che molti di loro sono completamente scalzi e alcuni indossano copricapi tipici, quasi tribali. In mezzo a questo autentico folklore locale, cerchiamo di avere un atteggiamento rilassato e di non dare troppo nell'occhio. Naturalmente in meno di due minuti ci si avvicina un ragazzo swazi, in coda pure lui, che inizia a farci il terzo grado offrendosi di accompagnarci personalmente al Kruger! Scambiamo due chiacchiere di cortesia, io sono più che altro preoccupata per l’orario e per le condizioni della strada più avanti, se dovessimo mai trovarci a percorrerla con il buio.

 

Fortunatamente, però, la coda scorre abbastanza velocemente e quando riusciamo ad entrare nel minuscolo ufficio, l’addetto non vede l’ora di controllare i nostri passaporti e scoprire da dove veniamo. Quando gli diciamo che siamo italiane quasi si mette a saltare dalla sorpresa, evidentemente questa non è AFFATTO una frontiera trafficata dai turisti! Riceviamo il nostro timbro in uscita e riprendiamo la macchina, consegnando il solito foglietto di ricevuta al poliziotto di guardia. Dopo pochi metri raggiungiamo la frontiera sudafricana dove compiamo nuovamente tutta la trafila: parcheggio, coda (qui decisamente più breve), timbro in entrata, fila per il controllo del bagagliaio (che noi saltiamo perché anche il poliziotto sudafricano non vede l’ora di guardare i nostri passaporti italiani) e… via verso Malelane! Arrivederci piccolo, autentico, meraviglioso Swaziland!

 

Per fortuna la strada torna ad avere gli standard e i limiti di velocità sudafricani: percorriamo in una quarantina di minuti i chilometri che ci separano da Malelane, dove arriviamo comunque con il sole ormai tramontato da un bel pezzo ma in totale sicurezza. La cittadina è piuttosto anonima con la via principale che non è altro che la prosecuzione della strada statale, una serie di catene di ristoranti, benzinai e sistemazioni per i turisti.

La nostra guest house Hhusha Hhusha, la prima dopo giorni di rondavel (!), si trova però in una via laterale ed è piuttosto graziosa. Mentre Chiara è intenta a fare una complicata manovra per infilare l’auto tra due enormi fuoristrada, io faccio il check-in con il proprietario, un omone dalle chiare origini tedesche/olandesi, che mi mostra la cucina a disposizione degli ospiti, la camera e il giardino con piscina. Qui troviamo la deliziosa sorpresa di quello che lui definisce “honesty bar”: una casupola in stile quasi hawaiano con un bel bancone in legno, poltrone in vimini, sdrai, tavolini e, a completa disposizione degli ospiti, due ampi frigoriferi pieni zeppi di birre, soft drinks e liquori. Chiunque può liberamente servirsi o prepararsi un cocktail avendo cura di segnare quello che ha consumato in un piccolo libricino.

La sistemazione è davvero confortevole, la camera molto pulita, fresca e con un bel bagno spazioso. Facciamo una doccia ristoratrice e poi ci rilassiamo a bordo piscina dopo aver preso due Castle Lager ghiacciate dal fornitissimo bar. Approfittiamo del Wi-Fi gratuito per sentire casa e ci godiamo la temperatura mite indossando le felpe. Che relax! 

 

Siamo stanche ma anche parecchio affamate quindi riprendiamo la macchina e ci dirigiamo allo Spurs Steak Ranch, una catena sudafricana di steakhouse molto diffusa, già individuata in fase di programmazione tramite il sempre utile TripAdvisor, non che l’offerta dei ristoranti a Malelane sia così ampia...

Parcheggiamo davanti al ristorante alle 21:00 e dentro è praticamente vuoto. Prima di accomodarci, approfittiamo del negozio annesso al benzinaio dall'altro lato della strada aperto 24h per attrezzarci in vista dei prossimi giorni al Kruger (in realtà sia a Skukuza sia a Satara troveremo un fornitissimo negozio con prezzi assolutamente allineati con i supermercati locali). Compriamo un paio di galloni di acqua, barrette, pane, cracker, patatine e un po’ di frutta fresca, tra cui le immancabili bananine. Caricato tutto in auto ci fiondiamo nella steakhouse prima che ce la chiudano davanti! Come consuetudine, troviamo il gentilissimo personale pronto ad accoglierci: siamo solo noi ad eccezione di un gruppo di turisti nella zona fumatori. Ordiniamo subito ad una giovanissima cameriera due cheeseburger con bacon e patatine fritte dolci. Il servizio è velocissimo e i panini buoni, spazzoliamo tutto in men che non si dica, facendo anche onore alle due ulteriori pinte di Castle Lager che abbiamo oridnato, paghiamo il conto e torniamo dritte in guest house. Qui dopo un’ultima sistemata alle macchine fotografiche, crolliamo vinte dalla stanchezza.

 

Domani è il grande giorno del Kruger National Park: ci attendono 4 giorni pieni di safari!

 

Modificato da claudiaa
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Sabato 30/06

 

Oggi finalmente raggiungiamo il mitico Kruger, la più grande riserva del Sudafrica e tra le più iconiche di tutto il continente. Il parco è estremamente esteso ed ospita tutti e cinque i “big five” oltre ad una impressionante varietà di paesaggi, flora e fauna, dalle pianure alla savana alle foreste subtropicali. 

L’organizzazione della visita  all’inizio può sembrare piuttosto impegnativa proprio per l’estensione, la grande diversità degli ecosistemi e, di conseguenza, le praticamente infinite possibilità di pianificazione. La scelta di dedicargli cinque giorni (4 notti) è stata dettata proprio dal desiderio di cercare di coprire più aree possibili massimizzando l’opportunità di avvistamenti. Con cinque giornate a disposizione siamo riuscite a girare gran parte dell’area “sud” (Malelane, Skukuza, Lower Sabie) e di quella “centrale” (Satara, Orpen, Olifants), saltando però completamente e davvero a malincuore la spettacolare zona “nord” (Letaba, Mopani, Punda Maria) per la quale sarebbero serviti almeno altri due giorni. 

Al di là delle distanze (che rispetto a quanto dichiarato nel sito Sanpark a mio parere sono comunque leggermente sovrastimate quando si percorrono le strade asfaltate) il parco è facile da girare, ci sono indicazioni ovunque e Rest Camp posizionati strategicamente a coprire tutte le aree, oltre ad innumerevoli sistemazioni alternative: dai bush camp alle costose riserve private. 

Ecco, forse l’unico “rimpianto” (non certo per il portafoglio!) è stato proprio quello di non avere dedicato anche solo una notte ad una riserva privata per la possibilità di fare avvistamenti eccezionali senza macinare chissà quanti km e, soprattutto, a bordo di jeep guidate da esperti che sanno perfettamente dove cercare. Nonostante questo, la modalità del safari self-drive è davvero perfetta per il Kruger e ci ha ampiamente ripagate: da un certo punto di vista, essere riuscite a fare la maggior parte degli avvistamenti “da sole”, anche se in alcuni casi con grande fatica e un po’ di frustrazione, ci ha dato grande soddisfazione.

Non è stato invece mai in discussione  la scelta di dormire all’interno del parco: pur essendoci una miriade di sistemazioni appena fuori i cancelli di ingresso, nelle gate-away town, dormire presso i Rest Camp offre infinite possibilità in più: nelle ore durante le quali gli altri visitatori si avviavano verso l'uscita noi avevamo solo il compito di arrivare ai campi (che nella stagione invernale seguono gli orari 6 – 17:30) godendoci la luce e il momento migliore, oltre al fatto di poter partecipare ai safari guidati che partono dai campi stessi all'alba, tramonto e in notturna.

 

Tornando al diario, ci svegliamo nella nostra stanza a Malelane con un bel freschetto, ci cambiamo e andiamo subito a fare colazione. Nella cucina troviamo la padrona di casa che ha appena finito di apparecchiare il nostro tavolino e ci serve il caffè. Siamo affamate e ripeto volentieri la colazione salata a base di bacon, pane tostato e uova strapazzate. Troviamo anche tantissima frutta fresca, gli immancabili yogurt, pane e marmellata e succhi freschi, tra cui l’ottimo succo di guava del quale non conoscevamo l’esistenza. Terminata la colazione, carichiamo i bagagli, saldiamo il conto e partiamo alla volta del Malelane Gate che dista appena cinque minuti dalla nostra sistemazione. Dopo pochi km sulla statale svoltiamo a sinistra al cartello che indica l’ingresso del parco: siamo emozionatissime! Il cancello è situato poco dopo il ponte sul Crocodile River dal quale facciamo il primo avvistamento della giornata: una nutrita colonia di ippopotami che ammiriamo in tutta la loro mole mentre emergono dall’acqua. 

 

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All’ingresso troviamo coda: Chiara parcheggia mentre io mi avvio, munita di prenotazioni stampate da casa, passaporti e dati dell’auto verso la reception. Devo attendere un buon quarto d’ora in fila fuori prima di arrivare al bancone e, nel frattempo, ne approfitto per compilare il modulo di “indemnity”, obbligatorio per chi soggiorna all’interno del parco, dove riporto i dati dei nostri documenti e dell’auto e il numero di prenotazione delle prime notti a Skukuza. Quando arriva il mio turno, il ranger controlla la mia prenotazione, il modulo compilato e mi consegna una brochure del parco e la ricevuta di ingresso che dovremo conservare accuratamente. Anche qui, come all'Hlulhluwe-Imfolozi pagheremo la tassa per il soggiorno direttamente stasera in reception a Skukuza.

 

Torno da Chiara e seguiamo la fila di auto in ingresso che i due ranger addetti ai controlli dei bagagliai fanno però scorrere piuttosto agevolmente e ci immettiamo sulla asfaltata H3. Oggi abbiamo in programma di esplorare il tratto da Malelane a Skukuza, facendo qualche deviazione su sterrata segnalate per i possibili avvistamenti e, una volta arrivate nei pressi del Rest Camp, fare il Sabie Loop al tramonto. Non abbiamo ancora incontrato i felini e contiamo di soddisfare il desiderio proprio qui al Kruger ma, come vedremo, si faranno molto attendere.

Dopo poche curve avvistiamo le prime giraffe del parco intente a mangiare e poi svoltiamo subito sulla sinistra per percorrere la S110 e S112 che formano un tratto del Matjulu Loop: qui l’ambiente è quello tipico del Malelane mountain bushveld, caratterizzato da vegetazione fitta e piuttosto etereo genica e punteggiato di grandi blocchi di granito e gneiss. Non siamo molto fortunate con gli avvistamenti e scorgiamo solo dei begli esemplari di kudu femmina, con grandi orecchie curiose.

 

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Tornate sulla H3, facciamo poco dopo una deviazione lungo la S118 che segue il corso del Mhlambane River: cerchiamo di spostarci lungo i corsi d’acqua che, seppur quasi totalmente in secca, assicurano la presenza di una vegetazione più ricca con conseguente possibile presenza di erbivori e, magari, anche di predatori. Facciamo un bellissimo avvistamento di una giraffa ENORME e di un altrettanto GIGANTESCO rinoceronte che si sta dirigendo verso l’H3, facciamo inversione e cerchiamo di seguirlo, con la speranza di vedercelo sbucare vicino alla strada ma non abbiamo fortuna e ci dobbiamo accontentare di osservarlo da distante. È stato comunque bellissimo fotografare i due animali vicini. Poco dopo incontriamo anche un bell’elefante solitario di piccole dimensioni che ci attraversa la strada.

 

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Nel frattempo, sono le 13 e decidiamo di superare l’Afsaal Picnic Site, il cui parcheggio a quest’ora è stracolmo di macchine, per guadagnarci un po’ di pace e tranquillità ferme sotto l’ombra di una grande acacia lungo il loop Renorsterkoppies (formato dalle strade sterrate S113, S14 e S112). Spegnamo il motore e facciamo un veloce pranzo con frutta, succhi e barrette mentre un gruppo di impala sfila ai lati della macchina. Dopo una pausa di circa 40 minuti, riprendiamo il percorso e vediamo altri impala, nyala, manguste, giraffe con i piccoli e, con qualche sforzo in più di osservazione, anche dei bellissimi uccelli variopinti tra i quali il nostro primo "Zazu", un bucero beccogiallo. Bellissimo!

 

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Ci ri-immettiamo nella H3 e arriviamo nei pressi di Skukuza alle 15:00, abbiamo ancora un’ora e mezza per dedicarci al Sabie Loop lungo l’omonimo fiume e quindi, invece di proseguire fino ai cancelli del Rest Camp, svoltiamo a sinistra. Ci imbattiamo subito in un piccolo ingorgo di auto causato dalla presenza sulla strada di una famiglia numerosissima di babbuini che si muove continuamente tra le auto fino a piazzarsi proprio in mezzo al piccolo ponte che collega le due rive del fiume Sabie. Sono vicinissimi e li osserviamo e fotografiamo facendo bene attenzione a non lasciare i finestrini dell’auto troppo abbassati. Vediamo anche un piccolo sul dorso della mamma e un gigantesco maschio con un occhio guercio. 

 

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Superata l’allegra famigliola di primati, raggiungiamo un secondo ponte che attraversa il fiume Sand dove scorre acqua più abbondante. Del tutto inaspettatamente in mezzo alle canne da zucchero, scorgiamo vicinissime le alte schiene di elefanti che troveremo anche poco più avanti, proseguendo sulla S83. Arrivati all’incrocio con la H12, svoltiamo a destra e poi nuovamente a destra sulla H4-1 che costeggia il fiume Sabie riportandoci verso Skukuza.

 

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Qui vediamo, con la bella luce del tramonto, altre giraffe con i piccoli, kudu, un enorme elefante solitario e in lontananza un avvoltoio su di un alto ramo affacciato sul fiume. Prima di raggiungere la deviazione per Skukuza, indirizzati da un’auto di passaggio, riusciamo anche a scorgere in una strada laterale percorribile unicamente dai mezzi dei ranger, una iena maculata che dorme ai piedi di un albero di acacia. Che bella la sensazione di rimanere all’interno del parco e guidare per le sue strade sul finire della giornata!

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Contente per quest’ultimo avvistamento, arriviamo finalmente a Skukuza dove come consuetudine parcheggiamo di fronte alla reception per il check-in: paghiamo la tassa di soggiorno e ci assegnano le chiavi della nostra rondavel dove dormiremo per due notti. La sistemazione si presenta un po’ vecchiotta e trasandata anche se le lenzuola risultano nuove e pulite e il controllo “ragni e insetti”, che eseguiamo con cura, dà esito negativo. Anche delle cattivissime scimmie sulle quali lo staff alla reception ci ha messo in guardia… fortunatamente neanche l’ombra!

Scarichiamo i bagagli dall’auto e ci facciamo una doccia, nel frattempo il sole è ormai tramontato da un pezzo e fuori è buio pesto, ad eccezione della luce del fuoco di chi sta cucinando la carne sugli immancabili braai. Senza indugiare andiamo affamatissime, al ristorante ma trovando il vicino negozio del campo ancora aperto ne approfittiamo per comprare altri succhi e qualche snack scegliendo tra un ricchissimo assortimento di cibo e souvenir.

 

Ci accomodiamo infine all’interno del Cattle & Baron Restaurant, eccellente ristorante con una spettacolare terrazza all’aperto sul fiume Sabie, dove c'è chi cena nonostante la temperatura fresca. L'ambiente è molto curato e pure il servizio ha uno standard elegante, sicuramente non ce lo saremmo mai aspettato nel bel mezzo del Kruger! Ordiniamo due calici di Pinot Nero del Capo e andiamo sul sicuro con 200 grammi di filetto al pepe del Madagascar con una porzione di insalata e una di patate al forno. La carne ci viene servita su un tagliere di legno e, oltre a i contorni che abbiamo scelto, ci offrono spinaci al burro e quella che pensiamo essere purea di zucca, buonissima. La carne è incredibilmente tenera e cotta alla perfezione. Non esito nel dire sia il miglior filetto che abbiamo mai mangiato. Finiamo la cena in bellezza ordinando un Irish coffee con l’Amarula invece che il Whisky! Consigliatissimo! Il conto, comprensivo di mancia, si aggira intorno ai 32 euro in due.

Satolle e felici ci attardiamo ancora un po’ fuori dal ristorante per utilizzare il loro Wi-Fi gratuito e poi rientriamo nella nostra casetta alle 21 circa. Puntiamo la sveglia alle 5:15: siamo determinate a sfruttare l’alba per vedere i felini… chissà! Buonanotte Skukuza, buonanotte Kruger!

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Domenica 01/07

 

La sveglia suona alle 5:15 ma ci svegliamo tutto sommato riposate, ieri sera siamo crollate prestissimo e abbiamo dormito le nostre brave otto ore. Ci alziamo e vestiamo velocemente e in pochi minuti siamo in auto. Fuori è ancora buio, avviamo il motore e in poco tempo siamo al cancello di ingresso dove troviamo già qualche auto incolonnata davanti a noi. Aspettiamo le 5:30, orario di apertura del gate, mangiando qualche biscotto e bevendo un succo di frutta. Nel giro di pochi minuti i ranger aprono e usciamo dai confini di Skukuza.

 

Ci rendiamo presto conto che a quest’ora ci sono dei safaristi davvero determinati nel fare avvistamenti: quelli davanti a noi, a bordo di un SUV enorme, sono muniti di potenti torce che proiettano fari lunghissimi ai lati della strada nella speranza di individuare un bagliore di occhi. Li seguiamo per un po’ auspicandoci che siano fortunati, stiamo percorrendo l’H4-1 lungo il corso del fiume Sabie dove ci godiamo le prime luci dell’alba, ma vediamo solo una famiglia di faraone mitrate che pigola in mezzo alla strada. Al bivio noi restiamo sulla H4-1 direzione sud: vogliamo esplorare la zona di Lower Sabie dove ieri mattina qualche fortunato è riuscito addirittura ad avvistare una leonessa con i cuccioli. L’H4-1 è una delle strade più belle del Kruger, molto panoramica perché scorre praticamente sulle rive del fiume Sabie, in questo punto ancora ricco di acqua e punteggiato da macchie di vegetazione e canne da zucchero. Rallentiamo più volte per ammirare il sole che ormai fa capolino dal versante est del fiume.

 

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Poco dopo l’Nkhulu (!) Picnic Site, ci imbattiamo in una lunghissima colonna di elefanti che sta attraversando la strada, con ogni probabilità diretta al fiume: sono tantissimi, almeno una quindicina, e ci sono anche molti cuccioli davvero piccoli! E' uno spettacolo osservarli mentre attraversano la strada: la mandria sembra rispettare un ordine rigoroso che prevede che attraversino prima gli esemplari più grossi, seguiti dalle mamme con il cucciolio e poi chiudono altri esemplari più cresciuti. I cuccioli sono meravigliosi: alcuni attraversano timorosi stando bene sotto le zampe delle madri mentre altri giocano e si stuzzicano, sempre sotto lo sguardo vigile degli adulti  Per fortuna siamo a distanza di sicurezza e abbiamo tutto il tempo per vederli sfilare davanti a noi: una visione meravigliosa che ci godiamo per circa mezz'ora, forse il branco più bello che vedremo durante tutto il viaggio.

 

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Elefantini che giocano :inlove2:

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Elefantino che fa l'agguato all'uccellino :inlove2:

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Dopo che anche l’ultimo pachiderma è passato, sparendo nel bush alla nostra sinistra, decidiamo di proseguire e, dopo pochi chilometri, svoltiamo sulla destra fermandoci letteralmente sulle rive della Sunset Dam, una pozza molto conosciuta a giudicare dal quantitativo di auto che vi sta sostando. In effetti si assiste ad uno spettacolo piuttosto vario, in mezzo alla pozza c’è un albero secco i cui rami contorti ospitano un quantitativo indefinibile di nidi di cicogne Yellowbilled, sotto l’albero sonnecchia una numerosa colonia di ippopotami, a pelo d’acqua e sulle rive, invece, scorgiamo tantissimi coccodrilli, e gli onnipresenti impala. Non propriamente il luogo adatto per farsi una nuotata! Fermiamo il motore e ci godiamo il momento scattando diverse fotografie a questa spettacolare scenografia naturale. Con l'aiuto delle immagini della guida identifichiamo poi anche un airone cenerino e un falco giocoliere.

 

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Cicogne Yellowbilled

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Falco Giocoliere

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Airone Cenerino

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altre Cignone Yellowbilled

 

Cosa non daremmo per un bel caffè adesso! Ormai il sole si è alzato e facciamo tappa al vicino Lower Sabie Rest Camp, uno dei più gettonati del Kruger perché zona frequentata abitualmente dai felini, dove infatti non siamo riuscite a trovare posto al momento della prenotazione. Parcheggiamo nell’ampio zona riservata ai visitatori di passaggio e andiamo alla caffetteria Mug & Beam dove ci gustiamo un muffin alla banana gigante e due belle tazze di caffè.

 

Ristorate dalla colazione ci rimettiamo in marcia con l’intenzione di percorrere la S28, la Nhlowa Road, che attraversa una zona di aperta savana caratterizzata da immensi spazi aperti e poca vegetazione. La strada è sterrata ma in buone condizioni, la percorriamo a basse velocità sperando di avvistare dei movimenti nell’erba alta ma di felini neanche l’ombra anche se, in particolare lungo i letti asciutti di qualche torrente minore che taglia la strada, troviamo tracce di carcasse di animali.

La fortuna non è proprio dalla nostra per i predatori ma, in compenso, avvistiamo molti erbivori: giraffe, zebre, gnu e impala e un bell’esemplare di struzzo che svetta alto sull’erba. Impieghiamo almeno un’ora e mezza per percorrere tutta la S28, scrutando in religioso silenzio da un lato all’altro del finestrino, sperando di avvistare qualche bel leoncino che si gode l’ombra dei pochi alberi presenti.

 

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Impala "monocorno"

 

Un po’ deluse dalla "penuria" di avvistamenti, ci ricongiungiamo più a sud con la strada asfaltata nei pressi di Crocodile Bridge dove, però, non ci spingiamo dal momento che la zona intorno al fiume è per lo più rinomata per avvistamenti di ippopotami (alla Hippo Pool) e coccodrilli. Li abbiamo già ampiamente visti entrambi e ora vogliamo i predatori!

Una volta sulla H4-2 svoltiamo a nord per tornare verso Lower Sabie. L’orario è quello più caldo e a parte la bellezza sterminata della savana non scorgiamo nulla. La riflessione che faccio "a freddo", scrivendo il diario, è che il viaggio meriterebbe anche solo per i bellissimi paesaggi africani ma quando si è all'interno di queste meravigliose riserve sale una tale voglia di avvistare più fauna possibile, in particolare i “big five”, che quasi ci si dimentica del contesto tanto si è concentrati sugli animali.

Tornate quindi nei pressi di Lower Sabie improvvisamente dopo una curva incappiamo in un discreto assembramento di macchine, almeno una decina, ferme sul lato destro della strada, nel senso di marcia opposto al nostro. Ci accostiamo ad una delle ultime auto e abbassiamo il finestrino per chiedere di che cosa si tratta. A giudicare dall'ingorgo deve essere qualcosa di molto interessante ed infatti una signora ci risponde “Cheetah!”, ghepardo!

 

Entusiaste ci guardiamo attorno per cercare di guadagnare uno spot di osservazione, proprio davanti a noi una macchina decide di liberare la postazione e noi ci fiondiamo: da qui non ci sposta più nessuno! E li vediamo: quattro ghepardi accucciati all'ombra di un grosso arbusto a meno di cinque metri dalla strada! Che meraviglia, ci sporgiamo dai finestrini e scattiamo a più non posso: sono assolutamente consapevoli della presenza di auto tutto intorno a loro ma sembrano totalmente placidi e tranquilli. Sono bellissimi: non avevamo mai visto questo animale se non nei documentari e ha proprio l’aspetto di un gattone selvaggio. Il gruppo è sonnacchioso, ad eccezione di un esemplare che ad un certo punto si alza, facendo fluttuare la lunga coda, e si siede poco lontano dagli altri, di vedetta. Stiamo lì tantissimo tempo ad osservarli e fotografarli, completamente rapite. Non saranno i leoni ma è un avvistamento per noi assolutamente eccezionale e ci stupiamo di averlo fatto in queste ore centrali della giornata, quando i predatori dovrebbero essere meno attivi. Che fortuna, non vorremmo più venire via!

 

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Felicissime, dopo almeno quaranta minuti, ripartiamo direzione Lower Sabie Rest Camp dove sostiamo in un posticino all'ombra e andiamo a mangiarci un gelato rinfrescante sulla terrazza del fiume con vista… ippopotami spiaggiati! Acquistiamo anche una mappa dettagliata del parco che riporta delle belle illustrazioni della fauna e avifauna tipiche del Kruger. Saltiamo l’ora più calda della giornata che oggi è estremizzata dalla presenza di un vento bollente, riprendendo l’esplorazione verso le 14:00, dopo aver fatto il pieno di benzina.

 

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Decidiamo di percorrere verso nord l’asfaltata H-10 fino all’incrocio con la H1-2 che ci riporterà verso Skukuza. La H-10 è una strada spettacolare, soprattutto nell’ultimo tratto dove attraversa ampie distese di savana intervallate dal cosiddetto Lebombo Mountain bushveld. Qui osserviamo diverse specie di uccelli mai avvistati prima, tra cui alcuni rapaci, elefanti e una bellissima famiglia di kudu con i piccoli.

 

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(forse) Aquila di Wahlberg

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Granduie doppiabanda

 

 

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Ibis Hadada

 

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Sono quasi le 15:00 quando ci ricolleghiamo alla H1-2 direzione Skukuza, siamo piuttosto stanche vista la sveglia ben prima dell’alba di questa mattina e decidiamo di rimandare la “caccia” all'indomani, sperando di essere più fortunate nella zona intorno a Satara, regno indiscusso dei felini del Kruger. Decidiamo anche che, nel caso non dovessimo avvistare i leoni durante tutta la giornata di domani, proprio a Satara ci dedicheremo ai safari guidati.

 

“Rincasiamo” a Skukuza poco dopo le 17:00 senza altri avvistamenti degni di nota (incredibile come dopo un po’ di giorni in Africa zebre, kudu, gnu, babbuini e giraffe non siano più così insoliti!) e ci riposiamo dalle fatiche odierne con una lunga e meritatissima doccia nello striminzito bagno della nostra rondavel. Alle 19:00 siamo di nuovo al Cattle & Baron Restaurant, non esitiamo neanche un minuto e riprendiamo l’eccezionale carne della sera prima: io resto fedelissima al filetto al pepe del Madagascar mentre Chiara “osa” con un filetto flambè al brandy con la carne che viene “incendiata” direttamente al tavolo. Quanto ci mancherà questo ristorante! Dopo cena, con il sorriso della soddisfazione stampato in faccia, ci godiamo un’altra stellata spaziale direttamente dalla terrazza del ristorante.

Ci ritiriamo infine nella nostra rondavel dove restiamo sveglie ancora un po’ a rivedere le fotografie della giornata appena trascorsa e a ripassare i punti più significativi del tragitto dell’indomani. Mi addormento sognando i (benedetti!) leoni.

 

 

Modificato da claudiaa
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Inviato
Il 16/8/2019 at 11:57, pandathegreat dice:

si, ma tanto la settimana prossima ci mangiamo...

magari sarà filetto di zebù!

 

Ma siete in Madagascar proprio ora!! :Yahooo: Filetti al pepe a Km 0!!

Buon viaggio!! 

Inviato

Bellissime foto!!! 
Io vidi (e feci la foto) al ghepardo che cagava proprio accanto alla camionetta del tour. Aveva proprio la stessa espressione del mio gatto nella lettiera! 🤣🤣🤣🤣

Spero che le prossime giornate siano state più fortunate :) 

Inviato
Il 21/8/2019 at 18:48, luisa53 dice:

Ma che bella giornata!

Inviato dal mio ANE-LX1 utilizzando Tapatalk
 

Sul momento tanta “ansia” per i big che ancora non riuscivamo a vedere ma ora, a freddo, ogni giornata è stata bellissima e sempre molto ricca e varia. Tantissima nostalgia!

Il 21/8/2019 at 22:22, yalen86 dice:

Bellissime foto!!! 
Io vidi (e feci la foto) al ghepardo che cagava proprio accanto alla camionetta del tour. Aveva proprio la stessa espressione del mio gatto nella lettiera! 🤣🤣🤣🤣

Spero che le prossime giornate siano state più fortunate :) 

L’espressione “fatti li c*** tua”! Nelle giornate successive abbiamo dovuto penare...non poco! 😅 Soprattutto considerando che stando ai dati statistici i ghepardi nel Kruger sono circa 400 e i leoni più di 1000! 

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