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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 11/01/2020 in tutte le aree

  1. @Vale23: e sono sintesi perfetta... per cui quando hai fatto un paio di volte "wow...+che cavolo..." temi che per quanto bello possa essere, un otr monotematico, non regga il confronto!
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  2. visto che hai già tutte le date bloccate io lo prenoterei senza troppi problemi
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  3. Ho riguardato il mio diario e ho visto che avevo prenotato il traghetto da Nanaimo a Horseshoe Bay pochi giorni prima della partenza, ero indecisa fra due orari ma il traghetto delle 8.30 era già pieno e ho preso quello precedente. La prenotazione era rimborsabile tranne una piccola tassa (nel 2017 erano 10 euro). Non avevo invece prenotato il traghetto da Tsawwassen alla Vancouver Island perché ce n'è circa uno all'ora e lo abbiamo preso alla mattina alle 8 in un giorno infrasettimanale. Non so come funzionino le prenotazioni da Victoria a Port Angeles ma nel vostro caso io prenoterei almeno un mese prima, visto che sarebbe un problema se quello delle 19 fosse pieno. Io terrei l'itinerario originale e dormirei a Port Angeles.
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  4. Giovedì 27/06 La notte passa tranquilla anche se ci svegliamo innumerevoli volte, un po’ per il caldo e un po’ perché siamo inconsciamente in apprensione per le bestiole che sentiamo distintamente camminare sul tetto in paglia. Tutte le sistemazioni che sperimenteremo durante il viaggio, ad eccezione delle guest house, saranno infatti tradizionali rondavel, piccoli bungalow dalla forma rotonda, con il tipico tetto in paglia che viene sostenuto da travi in legno piuttosto alte. Naturalmente, sia per l’altezza del tetto stesso sia per la natura del materiale di cui è costituito, la presenza di ragnatele sarà abbastanza all'ordine del giorno. Ad onore del vero, non troveremo mai ragni più grandi di quelli che si troverebbero comunemente in qualsiasi casa di campagna (piccoli e tutti zampe) e non vedremo nessun altro insetto/rettile “strano”. Nonostante ciò, di lì a qualche giorno ci muniremo di una potente bomboletta spray con la quale “disinfestare” l’area ma il timore che qualche ragnetto si cali sul letto di notte non ci passerà mai del tutto! Ci alziamo quindi intorno alle ore 6.00, ben prima della sveglia. Nonostante tutto ci sentiamo riposate perché la sera prima alle 21 stavamo già dormendo! Scostando le tende della portafinestra che dà sul balcone ci accorgiamo dello spettacolo meraviglioso che il sole sta preparando per noi, indossiamo velocemente pile e giacca e usciamo sul terrazzino che affaccia sulle meravigliose colline dell’Hluhluwe. Il sole sta facendo capolino e ci godiamo la nostra prima alba africana che incendia il cielo e l’orizzonte tanto quanto il tramonto del giorno prima. Dopo esserci rinfrescate e cambiate, usciamo dalla rondavel e andiamo a fare colazione. Al contrario della sera prima, troviamo un bel buffet già allestito. Mentre Chiara continua ad andare sul sicuro con yogurt, frutta fresca, succhi e pane e marmellata io non resisto al profumo del bacon, che qui assomiglia molto a quello canadese piuttosto che al bisunto americano, e mi carico il piatto anche di una generosa porzione di uova strapazzate! Tutto molto buono e saporito! Ci troviamo un tavolino con vista e ci godiamo un po’ di meritato relax approfittando del WI-FI per condividere qualche foto e video con gli amici e con casa. Con calma torniamo alla nostra rondavel per chiudere i bagagli: oggi abbiamo tutta la mattinata per esplorare la zona nord, in cui già ci troviamo, ma dobbiamo uscire dalla riserva al massimo per le ore 12.00 in modo tale da coprire i 200 km che ci separano dalla frontiera di Golela/Lavumisa e i restanti 100 km in Swaziland per essere alla Mkhaya Game Reserve puntuali alle 16.00! Mentre io chiudo i bagagli, Chiara resta fuori per fare ancora qualche video ricordo: ci siamo infatti ritrovate tutto il vialetto pieno di faraone caratterizzate da una incredibile cresta "afro" e un piumaggio a pallini quasi fluorescenti. Ad un certo punto, mentre sono chinata sui bagagli, sento una presenza alle mie spalle, mi volto giusto in tempo per notare una scimmia vervet monkey che, in piedi sulle zampe posteriori, è proprio sulla soglia della portafinestra che avevamo dimenticato di chiudere prima di andare a fare colazione. Dopo un interminabile manciata di secondi in cui ci guardiamo come la celeberrima scena de “Il buono, il brutto e il cattivo”, faccio un passo verso di lei con un sonoro “No!”. Fortunatamente la simpaticona decide di indietreggiare giusto lo spazio necessario per permettermi di chiuderla fuori e forse indispettita dal fatto di non essere riuscita ad intrufolarsi in camera decide bene di espletare i suoi bisogni corporali appollaiata sulla ringhiera del nostro balconcino! Finiamo quindi di chiudere i bagagli al sicuro e carichiamo la macchina non senza qualche problema, circondate di scimmie e faraone che schizzano da tutte le parti. Ci dirigiamo poi in reception per il check-out e per utilizzare ancora un po’ il WI-FI rilassandoci sedute al sole della bellissima terrazza. Scorgiamo in lontananza, sulla collina di fronte a noi, due nutriti gruppi di elefanti che sembrano diretti al fiume sottostante. Anche da qui si riconoscono i cuccioli e i grandi maschi adulti. Lasciamo l’Hilltop alle 9 circa e scendiamo lungo la strada asfaltata che collega il camp al Memorial Gate. Facciamo subito una deviazione su di un breve sterrato che porta ad una pan, una pozza di acqua dolce, dove in questa stagione secca ci sono sempre buone possibilità di avvistamenti. Ci imbattiamo, infatti, a distanza molto ravvicinata in un enorme bufalo solitario semi-nascosto nell’erba secca. Riusciamo a fotografare solo le corna ma lo ricordiamo ancora adesso come uno degli avvistamenti più belli per il silenzio e pace assoluta che regnava in quel momento. Ci ricolleghiamo alla strada principale e decidiamo di percorrere il Magangeni Loop, uno sterrato poco più avanti. Chiara, che è alla guida, mi chiede improvvisamente di leggere il piccolo opuscolo preso questa mattina alla reception che recita “Come osservare in sicurezza gli elefanti”, mi metto quindi a ricapitolare ad alta voce le regole principali che sono: fermarsi appena se ne vede uno, non spegnere la macchina, non avvicinarsi, non trovarsi mai e poi mai in mezzo alla mandria, aspettare che attraversino tutti, soprattutto se ci sono dei cuccioli e…. Chiara, attenzione: elefanti! Ce li troviamo sulla sinistra, in mezzo ad un’ampia zona con arbusti piuttosto alti e verdi. Quello che non ci piace è che a destra della strada sterrata, piuttosto stretta, c’è un piccolo pendio scosceso completamente ricoperto di alberi e fitta vegetazione quindi non riusciamo a capire se tutta la mandria si trova tutta già alla nostra sinistra. Seguiamo alla lettera le istruzioni che abbiamo appena ripassato e ci fermiamo immediatamente tenendo la macchina in moto, nel frattempo notiamo gli elefanti muoversi in continuazione per mangiare da un arbusto all’altro, tranquilli e del tutto indifferenti a noi. Li osserviamo e fotografiamo per un po’ ma siamo molto indecise se superarli o meno. Smettiamo di fotografare e cerchiamo di concentrarci su eventuali rumori intorno a noi. Fortunatamente la nostra pazienza paga perché proprio nel momento in cui stavamo per ripartire, vediamo muoversi le chiome degli alberi sulla nostra destra e un elefante enorme irrompe trotterellando in mezzo alla strada dandoci la schiena. Restiamo in silenzio e lui, o lei, fortunatamente senza voltarsi dalla nostra parte, allarga le zampe per fare una sontuosa pipì+cacca proprio nel mezzo della strada prima di ricongiungersi al resto della mandria. Ci guardiamo stupefatte e anche un po’ spaventate, ci assicuriamo ancora qualche minuto che fosse veramente l’ultimo e poi Chiara ingrana la marcia e ci porta in salvo oltre il gruppo e a distanza di sicurezza. È stata davvero un’esperienza elettrizzante e la prima e unica del viaggio, fortunatamente, in cui ci troveremo in una strada così stretta e con così poco visibilità al cospetto di questi giganti. Il punto fondamentale a mio avviso è proprio quello di avere sufficiente visibilità per rendersi conto di dove sono, quanti sono e soprattutto se sono tutti insieme. Proseguiamo sul loop incrociando poco dopo un piccolo van che scorrazza sparato, lo affianchiamo e gli diciamo degli elefanti, intimandogli di usare cautela. Più avanti facciamo ancora in tempo ad avvistare tre giraffe intente a mangiare, i loro movimenti lenti e il loro incedere dinoccolato ci rasserena dopo l’esperienza un po’ troppo wild appena vissuta e riusciamo a fare loro dei bellissimi primi piani. Arriviamo al Memorial Gate a metà giornata, parcheggiamo e ne approfittiamo per utilizzare le toilette, sgranchirci le gambe e stuzzicare qualcosa. Salutato a malincuore l'Hluhluwe-Imfolozi, parco che ci ha "battezzate" all'esperienza del safari, mi metto alla guida per consentire a Chiara di rilassarsi dopo il mezzo spavento con gli elefanti. Nei pressi della cittadina di Hluhluwe ci immettiamo nella drittissima autostrada N2 e copriamo in circa 2 ore la distanza che ci separa dalla frontiera con lo Swaziland. Sfiliamo anche la Pongola Nature Riserve che avrebbe forse meritato una tappa dedicata. Giungiamo alla frontiera Golela/Lavumisa poco prima delle 14, dove veniamo indirizzate verso il controllo passaporti in uscita dal Sudafrica. L’agente di turno non ci pone alcuna domanda, salvo chiederci chi è il guidatore principale, e ci timbra i passaporti. Tornate all’auto percorriamo un brevissimo tratto delimitato fino all’uscita sudafricana, dove mostriamo i timbri sul passaporto, e ci dirigiamo verso la frontiera dello Swaziland/Eswatini, in entrata. All’interno di una modernissima costruzione che sembra la hall di un aeroporto, facciamo una breve fila e siamo di nuovo allo sportello. Qui ci chiedono nuovamente di mostrare i passaporti e timbrano il visto in ingresso a seguito del pagamento di una manciata di rand (l’equivalente di circa 3€). In cambio riceviamo un foglietto che dovremo consegnare al casello poco più avanti. In neanche mezz’ora sbrighiamo tutte le formalità e siamo sulla MR8, la giornata è ancora lunga e siamo in anticipo sulle tempistiche. Ce la prendiamo comoda e mentre Chiara si riposa io guido lentamente lungo le strade dello Swaziland: la MR8 non è particolarmente panoramica e in questo tratto si avverte molto più forte la povertà della popolazione locale rispetto a quanto sinora visto in Sudafrica. Ci sono tantissime persone che camminano in strada, anche ragazzi e bambini piccoli, gli innumerevoli pulmini stracarichi ogni tanto li caricano alle fermate preposte o direttamente mentre fanno l’autostop. Visto l'anticipo ci fermiamo a fare benzina a Big Bend e compriamo due bibite ghiacciate, oggi fa davvero caldissimo in auto e ci si abbronza direttamente dal finestrino. Proseguiamo e in poco meno di mezz’ora arriviamo intorno alle 15:30 nei pressi del gate di Mkhaya dove troviamo già due giovani ragazzi swazi che aspettavano proprio noi: un simpatico ranger ed una gentilissima ragazza che scopriremo essere la responsabile dell’accoglienza allo Stone Camp. Dopo le presentazioni, ci aprono il cancello e ci chiedono di seguirli lungo la stretta e a dir poco accidentata strada sterrata che si addentra nella riserva. Sono elettrizzata: aspettavo di essere qui da tantissimo tempo! Dopo qualche km arriviamo ad una grande casa in muratura recintata dove alloggiano i ranger e la famiglia del responsabile della riserva, un omone sudafricano che conosceremo la sera stessa a cena. Qui lasciamo la nostra macchina, prendiamo con noi i bagagli e, dopo un bicchiere di succo gentilmente offerto sotto una tradizionale costruzione in paglia, saliamo sulla Jeep scoperta. Facciamo subito conoscenza con una coppia di signori sudafricani gentilissimi, arrivati questa mattina con l’ingresso delle 10, e con la nostra fantastica guida Sibusiso, un giovane ranger swazi dal sorriso smagliante e gli occhi attenti che ci porterà allo Stone Camp stasera e ci accompagnerà anche nel safari all’alba di domani. Ci avviciniamo al camp con il sole che inizia la sua discesa verso l’orizzonte, l’aria è calda e profuma di terra. L’esperienza della Jeep scoperta per noi è nuova e sobbalziamo divertite ad ogni cunetta (quello che Sibusiso definirà sghignazzando “African massage!”). Il paesaggio è incredibile, il bush qui è piuttosto fitto ma man mano che ci addentriamo ci accorgiamo che l’area è sopraelevata: si distinguono in lontananza le dolci colline dello Swaziland oltre i confini dell’Mkhaya. Mentre guida Sibusiso ci racconta della riserva, degli sforzi per la salvaguardia dei magnifici rinoceronti africani, ci descrive le loro abitudini e il loro temperamento e avvertiamo chiaramente la grande conoscenza e rispetto che nutre per questi meravigliosi animali. Arriviamo poi ad uno specchio d’acqua dove convivono pacificamente, ma ci spiega quasi del tutto ignorandosi, una colonia di ippopotami e un gigantesco coccodrillo. Vediamo chiaramente le sue spaventose fauci spalancate: in confronto a quelli dell’Isimangaliso, questo mette i brividi anche perché siamo praticamente con le ruote anteriori della Jeep in acqua! Ripresa la guida, arriviamo in una zona dove Sibusiso ci spiega che la mattina aveva avvistato due rinoceronti e con l’aria furba ci dice che avrebbe provato a farli uscire dal bush mandandoceli incontro. Capiamo subito con che soggetto abbiamo a che fare e non sarà nulla in confronto all’esperienza di domani! Detto fatto, lasciando la Jeep in moto ed intimandoci di fare silenzio, salta giù e sparisce nel bush. Sentiamo i suoi passi scricchiolare e poi più nulla, riappare poco dopo da un punto diametralmente opposto a dove l’avevamo visto l’ultima volta: ci dice che erano una coppia ma che non è riuscito a indirizzarli verso di noi. Distinguiamo poco dopo i rumori dei due grossi erbivori che si allontanano. Riprendiamo la strada verso lo Stone Camp vedendo kudu, nyala e ci fermiamo per ammirare un meraviglioso tramonto. L’aria si è fatta fresca e in un attimo è buio con il cielo che inizia a punteggiarsi di stelle. Trovarsi qui, su di una Jeep scoperta con la consapevolezza che si è ospiti, anche solo per una notte, di un ecosistema in perfetto equilibro, è stata per me un’emozione davvero difficile da descrivere. Arriviamo allo Stone Camp dopo almeno un’ora e mezza di strada, avvistamenti e natura incontaminata. Ci accoglie il manager, di cui purtroppo non ricordo il nome, mentre le gentilissime e dolcissime donne swazi vestite in abiti tradizionali ci porgono degli asciugamani caldi che sono per noi davvero una coccola infinita. Sibusiso si carica i nostri bagagli e ci accompagna alla rondavel che ci è stata assegnata, la numero 2 denominata “Warthog”, facocero. La particolarità dello Stone Camp è quella di essere un bush lodge e di offrire un’esperienza totalmente immersiva nella natura: non c'è corrente elettrica, ad eccezione di una piccola luce ad alimentazione solare per ciascuna rondavel. L'area di notte è illuminata il minimo necessario per mezzo di lampade a petrolio, strategicamente posizionate per illuminare i sentieri che collegano le rondavel al campo principale, dove viene allestite la cena davanti al fuoco. Le rondavel sono semi aperte ovvero sono completamente cintate da un basso muro in pietra, alto circa 1 metro, ma tra questo muro e l’alta copertura in paglia non vi sono muri né finestre. L’accesso avviene superando tre gradini in pietra e aprendo un cancelletto basso (Sibusiso ci spiegherà che saltuariamente il campo è visitato dalle iene, ma di stare tranquille che non saltano mai oltre il cancello! Well played, Sibusiso, well played!). L’ambiente è davvero accogliente e non mancano i comfort per quanto semplici: sedie da campo e tavolino in legno, un grande e comodo letto con zanzariera, baule dove riporre i bagagli e, forse l’elemento più divertente: un bagno in pietra completo di doccia ma totalmente aperto, con vista sul bush. Arrivare allo Stone Camp con il buio è un’esperienza davvero unica, muoversi alla sola luce delle lampade a petrolio un po’ disorienta ma la sensazione che qui la natura quasi avanzi verso l’uomo e sia sul punto di abbracciarlo è impagabile. Dopo esserci sistemate, non senza fatica alla minima luce disponibile a cui non siamo affatto abituate, ci avviamo a piedi al campo principale seguendo la scia delle lampade a petrolio, e ci troviamo di fronte ad una scena da film: ci sono tre tavoli apparecchiati, uno per noi, uno per la coppia di sudafricani con cui abbiamo condiviso la Jeep all’arrivo e una tavolata per un gruppo di fotografi professionisti. Li troviamo tutti in piedi attorno al fuoco, alimentato da grandi ceppi di legno disposti tutt’attorno, prendiamo due birre e ci presentiamo, scambiando qualche chiacchiera come se fossimo tra vecchi amici. Questo posto è un sogno! Dopo qualche minuto, siamo invitati tutti ad accomodarci: i tavolini, seppur siano quelli tipici da campo, sono apparecchiati davvero con gusto e di tutto punto, le stelle Michelin sono sostituite da centinaia di migliaia di stelle del cielo africano. Stasera non solo la Via Lattea è chiaramente visibile ma sembra quasi di poterla toccare. Ci sediamo e ci vengono serviti al tavolo uno sformato di verdure e una zuppa davvero deliziose. Terminati gli antipasti, possiamo alzarci e servirci liberamente a buffet di carne e pollo alla griglia, preparata al momento nel vicino barbecue in pietra, verdure, purea di zucca e insalata di barbabietola. È tutto ottimo e l’atmosfera è davvero coinvolgente. Finito di cenare, avviciniamo tutti quanti le sedie attorno al fuoco e assistiamo agli spettacolari balli e canti tradizionali delle donne swazi con le quali alla fine intoniamo tutti insieme il tradizionale canto sudafricano “Shosholoza”. Un momento, ancora adesso, per me di autentica commozione. Ormai è notte allo Stone Camp e noi siamo stanchissime: domani verremo svegliate all’alba per il morning safari delle 5:45 e sentiamo il bisogno di riposare dalle innumerevoli emozioni della giornata. Rientriamo alla nostra rondavel e ci infiliamo nel letto scoprendo che mentre cenavamo l’attentissimo staff aveva posto ai piedi del letto, sotto le coperte, borse incandescenti di carbonella. Avevamo paura di patire il freddo e invece sarà esattamente il contrario! Decidiamo di lasciare le lampade a petrolio accese anche se sotto la zanzariera ci sentiamo al sicuro: non si sentono rumori di animali se non qualche scimmia in lontananza e qualche bush baby ed in pochi minuti ci addormentiamo profondamente. Mi sveglio solo una volta, circa un’ora prima dell’alba, tendo l'orecchio convinta di sentire mille suoni e rumori a me ignoti ed invece c’è solo un silenzio assoluto e perfetto tutt’attorno a noi che mi lascia basita e mi riempie letteralmente il cuore.
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