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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 30/01/2019 in Risposte

  1. Titolo editato perchè dopo tante vicissitudini ho PRENOTATO i voli purtroppo per le mie date (che causa lavoro sono le maledette ferie fisse ad agosto) i voli su LAX hanno raggiunto prezzi eccessivi, si parla di 650 euro senza bagaglio ma con orari scomodissimi ed anche arrivando a 800 850 euro la situazione non migliora ho dunque iniziato a pensare all'idea di sfruttare le 80000 miglia delta a testa che abbiamo che sono inutili per voli intercontinentali in quanto di tesse si viene a pagare più che comprare un biglietto ex novo ma sono comode per i voli interni in quanto si pagano solo 5 dollari di tasse monitoro così i voli più economici per gli states e viene fuori NY a circa 450, proprio però mentre decido di prenotare i punti Delta richiesti per il JFK-LAX aumentano e non ci sto più dentro fortunatamente stamattina si abbassano nuovamente e salta fuori un volo per NY con ritorno diretto che non avevo mai trovato in precedenza in parole povere abbiamo un FCO-JFK con scalo a Dulles all'andata e diretto al ritorno a 1823 euro per 4 persone (bagaglio a parte ma ne imbarcheremo uno solo oppure due se decidiamo di fare campeggio quindi da aggiungere 100 o al massimo 200 euro) poi notte a NY, il mattino dopo JFK-LAX con le miglia. il ritorno lo faremo da LAS VEGAS con volo sul JFK, notte li e la sera successiva diretto JFK-FCO
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  3. Quasi quasi lo prendo anche io e poi mi fermo a Washington 😂😂😂
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  4. A una settimana dal ritorno a casa dopo essermi rituffata nel tram tram quotidiano tra lavatrici, ufficio e caldo che sembra più di stare in Africa qui in Sicilia che non nel Kalahari eccomi qui a provare a raccontare il mio, purtroppo, troppo breve ma intensissimo viaggio in Namibia. Comincerò con qualche informazione e consiglio di ordine generale sperando di poter essere d’aiuto a chi decide di visitare questo magnifico paese. Partiamo con lo sfatare un mito: a chi dice che la Namibia non è Africa perché risente ancora della dominazione coloniale e del protettorato sudafricano (indipendenza ottenuta solo 20 anni fa) mi sento di rispondere è vero ma solo in parte. L’influenza europea si vede soprattutto nelle città e si sente nel cibo e nei prodotti che trovate nei supermercati e negozi (la gran parte sono importati quantomeno dal sud africa) ma spostandosi nei piccoli e piccolissimi centri dispersi in mezzo al nulla in cui vi fermerete a fare benzina o una pausa per sgranchirvi le gambe capirete che è Africa, magari un po’ meno povera, ma assolutamente e meravigliosamente Africa. Lo vedrete nei paesaggi infiniti e brulli, nella sabbia rossa e nella polvere che vi sommergeranno, nelle strade in terra battuta, nelle baracche in mezzo al nulla più assoluto, nei ragazzini che giocano a pallone a piedi nudi tra le pietre e che vi fanno un sorriso a 48 denti quando gli regalate un lecca lecca o vi fermate a giocare con loro… e perché no anche nel cellulare che non prende niente assolutamente niente per centinaia di km! E’ un viaggio che con una opportuna pianificazione, qualche accortezza, attenzione e una buona dose di intraprendenza può essere anche affrontato in fai da te, basta essere consapevoli che occorre muoversi anche con un anno di anticipo per la prenotazione dei pernottamenti (a meno che non si decida di dormire in tenda che sia sul tetto o nei campeggi), che si faranno migliaia di km il 95% dei quali su strade non asfaltate (alcune davvero in pessime condizioni ) e che siamo in AFRICA per cui i tempi, le distanze ed i servizi non sono le nostre e nemmeno quelle dell’ovest americano! Le strade: l’unica che ho trovato asfaltata e la B1 che taglia verticalmente il paese, tutto il resto è strada bianca generalmente in buone condizioni a sud, così così nella zona di Sesriem, pessima nel Damaraland e per raggiungere Twyfelfontein (sarò comunque più precisa nel racconto dei vari giorni anche se le condizioni variano addirittura di settimana in settimana) di conseguenza risulta fondamentale o quantomeno altamente consigliato avere un 4x4 e almeno due ruote di scorta. Segnatevi prima di partire le stazioni di servizio e dove fare sosta carburante. Consigli antipolvere: come dicevo ce n’è davvero tanta, tantissima che entrerà ovunque, che respirerete e che diventerà la vostra seconda pelle per tutta la durata del viaggio di conseguenza sacchi dell’immondizia a protezione dei vestiti in valigia sia sotto che sopra, burro cacao e crema per le mani a tempesta (non dimenticate la crema solare xchè cmq il sole scotta anche quando sembra non esserci) ed evitate le lenti a contatto! Per i fotografi riducete al minimo il cambio di obiettivi e passate il tempo a spompettare e pulire. Dotatevi di un filtro e ancora meglio di un polarizzatore: la luce è davvero tanta e molto dura. Adattatore: in Europa non si trova, nemmeno su amazon, ed è diverso da quello del sud Africa. Potete comprarlo per pochi dollari all’arrivo in aeroporto o ancora meglio se fate sosta a Windhoek al supermercato. Cibo: Io non ho avuto nessun tipo di difficoltà, si trova un pò di tutto: molta carne (spesso selvaggina tipo Orice e tutti i vari tipi di antilope, struzzo, beef e pollo) e spesso anche pesce. Patate, barbabietole ed insalata varia (l’acqua è depurata per cui non ci sono problemi di dissenteria). Colazione genere english breakfast e dolci di stampo tedesco. Birre: ne esistono solo due entrambe di produzione nazionale, la Windhoek una lager leggera tipicamente tedesca e la Tafel una doppio malto comunque leggera ma che a me non è dispiaciuta. Le trovate in bottiglia, lattina e la seconda anche alla spina. Dollari Namibiani (detti babbei ): Uno vale circa 15 cents, si possono cambiare/prelevare in aeroporto (c’è sia il cambio che la banca). Fate attenzione a quanto cambiare perché si può fare solo a Windhoek e a Swakmopund per darvi un’idea del costo della vita (decisamente basso per noi) una bottiglietta d’acqua al Lodge (al supermercato costa ovviamente meno) sta tra i 15 ed i 20 babbei, la coca cola idem, la birra tra i 20 e i 30 mentre un bicchiere di vino sudafricano circa 40 (le bottiglie vanno orientativamente dai 250 in su). Per un pranzo completo di bibita a base di pesce in un posto alla mano ma buono siamo circa sui 150 babbei (meno di 10 €). Carte di credito: non le accettano quasi da nessuna parte tranne che in città e nei lodge più grandi, spesso chiedono una spesa minima. Clima: Agosto in Namibia è inverno ma in realtà ho trovato praticamente tutte le stagioni: dal freddo da giubbotto +pile (5 gradi) ai 32 gradi con il sole a picco. Sicurezza: in generale non ci sono grandi problemi di criminalità tranne che a Windhoek e Swakopmund dove ci hanno sconsigliato di uscire a piedi dopo il tramonto, vero è che non si va in Namibia per le serate mondane anche perché il più delle volte vi troverete in mezzo al nulla per cui il problema non si pone Fatte queste premesse sappiate che il mio viaggio è stato un viaggio di gruppo, purtroppo, fatto con TO: ma viaggiando sola e avendo deciso la meta a marzo (ed era già tardi per tutto) non avevo altra scelta. Il giro è stato abbastanza compresso, ma fondamentalmente per i giorni che avevo a disposizione doveva esserlo per forza, il gruppo era relativamente piccolo (eravamo in 8) formato da persone abituate a viaggiare e si è creato un bel clima. Le sistemazioni erano tutte molte belle anche se in qualche caso (all’Etosha in particolare) io avrei più che volentieri sacriificato la bellezza in favore della posizione … anche su questo sarò più precisa nella descrizione delle varie giornate. Cosa mi porto a casa da questo viaggio? Prima di tutto le chiacchere fatte con i vari ragazzi che lavorano nei lodge o durante le soste con la gente del posto: la loro voglia di raccontarti le difficoltà e le speranze della loro vita e per il loro paese e la curiosità di conoscere una realtà tanto distante e diversa dalla loro poi la sabbia rossa e le dune e ancora il cielo, un cielo stellato così bello da sembrare un quadro dipinto dal più grande artista mai esistito... i sorrisi e gli occhi dei bambini, che sono sempre belli ma qui mi sembravano ancora più belli e infine la puzza delle otarie (a guardare le foto ancora la sento…) La scelta del titolo non è un caso, si tratta di un proverbio Namibiano che ben esprime secondo me l’augurio per il futuro e al contempo la sfida (educativa, economica, ambientale, di innovazione e sviluppo) che attende questo giovanissimo paese dove più di un terzo della popolazione ha meno di 15 anni. Di seguito l’itinerario (circa 2500 km): 15 agosto CTA-MUC-JSB 16 agosto JSB-Windhoek (Hilton Hotel) 17 agosto Windhoek – Deserto del Kalahari (Intu Afrika Camelthorn Kalahari Lodge) 18 agosto Kalahari – Maltahoe – Namib Desert (Mirage desert Lodge) 19 agosto Namib Naukluft National Park - Sesriem e Soussvlei (Le Mirage desert Lodge)/ 19 agosto parte II http://www.usaontheroad.it/index.php?/topic/25499-from-little-date-seeds-great-things-are-born-namibia-summer-2017/&do=findComment&comment=677480 20 agosto Namib Desert- Solitaire- Ganab- Hotsas- Moon Valley- Swakopmund (Swakopmund Hotel and Entertainment Centre) 21 agosto Walvis Baai & Sandwich harbour (Swakopmund Hotel and Entertainment Centre) 22 agosto Swakopmund – Cape Cross – Uis- Twyfelfontein (Twyfelfontein Country Lodge) 23 agosto Twyfelfontein – Khorixas – Kamanajab – Otjikandero – Etosha (Epacha Game Lodge) 24 agosto Etosha (Epacha Game Lodge) 25 agosto Etosha – Okahandja- Aeroporto- JSB 26 agosto MUC-CTA Buona lettura...e abbiate pazienza se andrò un pò a rilento ... ma devo sistemare le foto
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  5. @ieio14 Ti piace vincere facile? 😀
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  6. in rosso metto le varianti che vorrei apportarer al progetto iniziale Sa 03 Italia-Los Angeles (notte in zona aeroporto) Visto che faremo scalo notturno a NY la prima notte si sposta in zona JFK Do 04 LA-Visalia (mattinata in zona Santa Monica-Venice, spostamento dopo pranzo per Visalia, notte in un KOA con playground e piscina per far divertire un pò la truppa) Arriveremo alle 10:30 circa quindi noleggio auto e giretto magari in zona spiagge per poi avvicinarci verso sera al sequoia allontanandoci dal casino di LA, magari arriviamo a Bakersfield e dintorni Lu 05 Visalia-Grant Grove Village (ingresso da sud al sequoia e giornata dedicata alla General Highway) Ma 06 Grant Grove Village (giornata dedicata al kings canyon ed a qualche attività coi ranger per i bambini) Me 07 Grant Grove Village-Yosemite (prima di tre giornate dedicate allo yosemite, stiamo pensando di fare campeggio nel parco) Gi 08 Yosemite Ve 09 Yosemite Sa 10 Yosemite- Mono Lake (giornata dedicata alla tioga road e qualche trail in zona tuolumne meadows, tramonto sul mono lake) Do 11 Mono Lake-Mammoth Lakes (mattinata a bodie, nel pomeriggio qualche attività da studiare in zona mammoth lakes) Qui sto pensando di fare un unico pernotto in zona Mono Lake o Mammoth e fare le varie attività in giornata Lu 12 Mammoth Lakes-Lone Pine (mattinata al devil's postpile, pomeriggio Alabama Hills) Ma 13 Lone Pine-Death Valley molto probabilmente salterò anche questa volta la notte in DV per questioni di budget, il furnace creek non si affronta come prezzi!!! Vediamo cosa e come fare Me 14 Death Valley-Las Vegas (zona Fremont per la sera) Gi 15 Las Vegas-Overton (mattina in piscina al Golden Nugget e nel pomeriggio trasferimento alla Valley of Fire fino al tramonto) Ve 16 Overton-Zion Sa 17 Zion Do 18 Zion-Las Vegas Lu 19 Las Vegas Ma 20 Las Vegas Me 21 Las Vegas Gi 22 Las Vegas-Los Angeles Ve 23 Los Angeles-Italia devo vedere di recuperare una notte per arrivare a bryce visto che mio figlio si è appassionato al rodeo guarda che ci avevo pensato e pensaci seriamente anche tu quando ho chiamato alitalia per chiedere delle informazioni sui bagagli da imbarcare la voce registrata al punto 5 diceva "se vuoi prenotare il volo di ritorno non avendo effettuato il volo di andata premi 5" ho letto che sono stati condannati per la questione del no show e quindi se avverti di consentono di effettuare il volo di ritorno
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  7. siamo qui apposta una cosa... sicuramente, leggendo i diari, ti verranno in mente altre 1000 cose belle da fare e vedere non esagerare, e soprattutto usa i diari per controllare i km e le tempistiche, oltre che per vedere i posti quei riferimenti sono la cosa più importante per programmare bene
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  8. Sei la benvenuta, qualsiasi dubbio chiedi pure!
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  9. Grazie a tutti ragazzi siete stati preziosi! Leggerò i diari, decido il periodo e in caso torno a stalkerizzare un altro po'! A presto! Se vi viene in mente qualunque suggerimento o dritta.. Sono qui 😀
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  10. Noi aspettiamo solo il racconto
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  11. l'anno scorso il nostro primo parco è stato la Death Valley e sapevamo che saremmo arrivati dopo la chiusura del visitor center, quindi abbiamo comprato l'annual pass da REI a Santa Monica.
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  12. 23 agosto Etosha Park Oggi è l’ultima giornata piena del nostro giro (sigh!). Come da programma sveglia prima che sorga il sole e se questo è il buongiorno Saliamo sul nostro minibus per percorrere i 60km (tutti su asfaltato) che ci separano dal parco Etosha dove arriviamo prima delle 7.00. Arrivati all’Anderson Gate c’è già un po’ di coda ma noi scendiamo e entriamo nel parco a piedi dove appena dopo i cancelli ci aspettano già le jeep aperte con i ranger del nostro lodge che ci scorrazzeranno in giro per il parco. L’Etosha ha un’estensione di quasi 23.000 km2 per cui è ovvio che noi ci limiteremo a visitarne una piccolissima parte. Questo mi era già chiaro in fase di scelta del viaggio ma avendo fatto 4 giorni al Kruger dovendo scegliere cosa sacrificare, a malincuore, ho deciso per un tour che mi desse la possibilità di vedere altre zone “rinunciando” al Safari. Seppure con poco tempo a disposizione, il fatto che il lodge fosse distante ci ha sicuramente penalizzati e io avrei preferito mille volte dormire a Okaukuejo anche se è molto più spartano, ma vuoi mettere passare la serata o guardare l’alba alla pozza??? Il parco fu fondato nel 1907 quando la Namibia era ancora una colonia tedesca, nella lingua oshivambo (parlata dall'etnia ovambo che popola la regione), il nome "Etosha" significa "grande luogo bianco", con riferimento al colore del suolo del deserto salino che costituisce il 25% dell'area del parco. Il parco Etosha ospita 114 specie di mammiferi, 340 di uccelli, 110 di rettili, 16 di anfibi e persino una specie di pesci (comprate l’opuscoletto in vendita allo shop per individuare i vari tipi di animali). Fra i mammiferi presenti nel parco si possono citare gli elefanti, gli springbok, le zebre di Burchell, le giraffe, gli orici, i kudu, gli gnu, gli eland, i dik dik, i leoni, le iene, gli sciacalli, i licaoni, i leopardi e i ghepardi. Endemico della zona, ma in via di estinzione, è il raro impala dal muso nero. Le autorità del parco hanno recentemente reintrodotto i rinoceronti neri e i rinoceronti bianchi. Una volta entrati dall’Anderson gate (che è il cancello più a sud) ci fermiamo alla pozza di Okaukuejo per consumare la nostra colazione a sacco. Purtroppo di animali non c’è neanche l’ombra a parte qualche springbook solitario ed un gruppetto di Gnu, e dire che pare che qui abbiano girato una marea di documentari … Finita la colazione ci mettiamo in strada e cominciamo a girare le varie pozze (fondamentalmente faremo tutte quelle nella parte sud del parco: Ombika, Olifantsbad, Gemsbokvlakte, Aus, Pan, Odongab …) , il nostro Ranger è molto bravo e ha una vista d’aquila per cui riesce sempre a piazzarci in posizione favorevole. Riusciamo a vedere un po’ di tutto: Giraffe, Zebre e tutti i tipi di Impala, Kudu, Orix ecc. La Leonessa che si alza e va a bere alla pozza con conseguente freeze del resto degli animali che le lasciano campo libero e si immobilizzano restando allerta a debita distanza (sembrava un fermo immagine … è stato emozionantissimo!) , l’accoppiamento (velocissimo e ripetuto) della stessa leonessa con un leone che era la pigrizia personificata, il Leone che maestoso alla ricerca dell’ombra ci viene incontro e si inca*vola guardandoci male perché gli occupiamo la strada, il branco di Elefantii che ci attraversa la strada per andare a fare il bagno alla pozza e che gioca nell'acqua… ci mancano solo i cuccioli, rinoceronti, leopardi e ghepardi … ma ci accontentiamo e alle due dopo più di sei ore passate a scorrazzare in giro per il parco, con solo una breve sosta pipi in una delle aree dedicate in cui si può scenere dalla macchina, ritorniamo alla pozza di Okaukuejo (dove continua a non vedersi un animale) per approfittare dei tavoli da picnic e rifocillarci con il pranzo a sacco preparato dal lodge (e io invidio quelli che dormono qui e al momento si stanno godendo il refrigerio della piscina). Finito di mangiare ancora un po’ di relax all'ombra, salutiamo i ranger che tornano alla base (hanno finito il turno) e a bordo del nostro minibus continuiamo a girare ancora un po’ spingendoci fino alla pozza di Okondeka per vedere il Pan che è la parte centrale del parco. Il Pan è una depressione salina di 5000 km² (circa 130 km di lunghezza e 50 km di larghezza nel punto più ampio). Si ritiene che fino a circa 12 milioni di anni fa quest'area fosse un lago poco profondo, alimentato dal fiume Cunene; in seguito il Cunene mutò il proprio corso, e la zona si trasformò in un semi-deserto. Durante la stagione delle piogge, il Pan viene talvolta alluvionato dai fiumi Ekuma, Oshigambo e Omuramba Ovambo. Durante la stagione secca, il Pan torna ad assumere le caratteristiche di un deserto; il suolo salino, screpolato dal sole, assume il colore bianco intenso da cui deriva il nome "Etosha". Ecco qui mi sono sentita davvero dentro ad un documentario perché il Pan rappresenta proprio quell’idea di Africa che ci viene dalle immagini in tv e dai cartoni Disney Sulla strada verso l'uscita facciamo qualche altro incontro ravvicinato E poi ... poi quando alla fine di una giornata così piena di emozioni l’Africa ti saluta con un tramonto cosi non puoi non innamorartene perdutamente Ecco ora so cos’è il mal d’Africa!! Mesti mesti ripercorriamo la strada che ci riporta al lodge per la cena ed il consueto scambio di indirizzi e foto, c’è tempo per un brindisi e poi è già ora di impacchettare tutto e andare a nanna.
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  13. 22 agosto Damaraland Twyfelfontein e gli Himba II parte Continuiamo lungo la C39 fino all’incrocio con la C35 su cui ci immettiamo, anziché continuare sulla C 39 che ci avrebbe portati dritti ed in relax verso l’Etosha, e per pranzo ci fermiamo a Kamanjab al Oase Garni Guest House, la struttura è abbastanza ben tenuta ed i titolari, una famiglia di origine tedesca, sono molto carini. Fuori due ragazzi fanno a gara per venderci i portachiavi tipici (che si trovano un po’ ovunque) ricavati dal seme di palma su cui sono intarsiati vari animali e su cui con una maestria incredibile intagliano il nome e la data. Il perché della deviazione su strade poco battute ed in pessimo stato è presto detto: dopo pranzo ci dirigiamo verso Otjikandero per visitare un villaggio Himba. Questo villaggio fa parte di un progetto avviato nel 1999 per la tutela dei bambini e delle donne Himba. Nel villaggio vivono una sessantina di persone di cui (vado a memoria per cui i numeri potrebbero essere sbagliati) 38 sono bambini , 16 donne e sei uomini. Nel villaggio è presente una scuola e gli introiti derivanti dalle visite vengono utilizzati per garantire cibo e cure mediche quando quelle tradizionali non funzionano.http://www.namibiajjtours.com/otjikandero.html La nostra guida è Adam (immagino che il nome sia stato occidentalizzato per facilitare i turisti) che è il figlio del capo villaggio e che ha studiato in città e per questo parla un buon inglese. Adam ci guida allo scoperta delle tradizioni e della cultura Himba mostrandoci il villaggio e spiegandoci il loro stile di vita. Discendenti degli Herero, un popolo Bantu, arrivato dopo una lunga migrazione dall’Africa Sud Sahariana intorno al 1700 gli Herero, popolo di pastori, si stabilirono con le loro greggi in Namibia. Molti Herero si spostarono a Sud per cercare pascoli migliori e quelli rimasti in Kaokoland si trovarono costretti, per non morire di fame, ad andare in Angola, chiedendo asilo ai locali che li ribattezzarono Himba, che nella loro lingua significa “coloro che chiedono l’elemosina”. Dopo anni di esilio, gli Himba, guidati da Vita, un abile condottiero, tornarono in Namibia, sconfissero i Nama e poterono ritornare a vivere nelle loro terre. I missionari tedeschi avevano nel frattempo convertito gli Herero rimasti in Namibia ai loro costumi europei, mentre gli Himba, rifiutarono da subito qualsiasi coinvolgimento con la moderna società che si stava formando in Namibia. E cosi sono rimasti. I villaggi sono composti da “kraal”, ovvero capanne di forma circolare costruite con rami di mopane o di acacia e fango e ricoperte con un impasto di argilla e sterco bovino. Al centro il fuoco sacro detto Okuruwo arde costantemente, mezzo di comunicazione con gli antenati, che sono tramite con Dio. L’economia degli Himba si basa quasi esclusivamente sull’allevamento del bestiame, essi sono pastori semi-nomadi e allevano principalmente mucche e capre ecco perché il recinto degli animali è posto al centro del villaggio. Le donne Himba, che sono a mio parere bellissime, sono famose per il colore rosso della loro pelle che ungono con una crema realizzata con ocra, grasso animale e erbe aromatiche. Questo trattamento viene utilizzato per pulirsi (le donne non usano acqua e non si lavano), proteggere la pelle dal sole, dagli insetti e per assorbire il sudore e la polvere e, naturalmente, come trattamento di bellezza. Il loro abbigliamento tradizionale è composto da un gonnellino corto formato da più strati sovrapposti di pelle di capra tenuto in vita da cinture che si differenziano in relazione all’età e allo stato civile : cinture e bracciali bianchi sono il segno che la donna non è ancora sposata, la cintura di metallo e i bracciali di cuoio indicano le donne sposate. Molto caratteristiche anche le cavigliere composte da tondini di acciaio e lacci di cuoio che vengono alzate man mano che la donna ha più figli. Adam ci spiega che gli uomini invece vestono quasi tutti all’occidentale, o spesso, sopra il gonnellino indossano una maglietta. Molto particolare anche le acconciature chiamate erembe: i capelli delle donne vengono intrecciati con dell’extension di fibra di palma o crine di cavallo e le treccine così ottenute vengono avvolte da un tubicino di sottile pelle di capra che viene poi unta con l’ocra. Adam ci spiega anche che ogni uomo può avere più mogli e alla domanda tu “tu quante mogli hai?” ci risponde sogghignando: “una soltanto e mi basta: le mogli costano!” Adam ci mostra il villaggio, ci fa conoscere i suoi abitanti e ci fa vedere prima casa sua (è spostato con una donna Herero) e poi ci fa entrare in una capanna dove una donna ci mostra come si cucina, come si mette la crema e si profuma il corpo e ci fa vedere il “cuscino” due piccole assi di legno incrociate a formare un sostegno dove l’uomo appoggia il capo. Il “cuscino”, ci spiega Adam, è solo per il marito perché la moglie dorme appoggiata al braccio del marito (non gli chiediamo però cosa succede se un uomo ha più di due mogli Finito il giro del villaggio le donne mettono su una specie di mercatino dove ognuna di loro vende piccoli oggetti di artigianato. Si trovano braccialetti di palline di ferro, gli stessi che le donne usano per difendersi dai morsi dei serpenti e per ornarsi, bracciali ricavati da vecchi tubi di plastica (non si butta nulla!!); bamboline somiglianti a loro stesse. Mentre il resto del gruppo fa acquisti io mi innamoro di un piccolo himba (bambini meravigliosi con un sorriso che ti fa sciogliere il cuore!) che mi sale in braccio e non mi molla più - finchè non viene sua mamma a recuperarlo … giuro me lo sarei portato a casa tanto era tenero! - e continuo a chiaccherare con Adam (generalmente non parlo molto ma in queste situazioni divento curiosissima). Tra le diverse cose che ci racconta c’è un rito che mi ha colpita: se guardate gli Himba vedrete che gli mancano gli incisi inferiori che vengono asportati con un colpo di pietra durante l’adolescenza, è una sorta di rito di passaggio all’età adulta e nonostante questa pratica non sembri essere più obbligatoria, la maggior parte dei componenti di questo gruppo etnico decide volontariamente di sottoporsi a questo rito come segno di fedeltà alla tradizione. A parte il fatto che la cosa non deve essere particolarmente piacevole, anzi lo trovo abbastanza raccapricciante, la cosa che mi colpisce e questa volontà, anche nei giovani, di preservare le loro tradizioni come risposta alla modernità che incalza e che non possono combattere ed in alcuni casi accettano (per esempio uno degli uomini aveva mal di testa e ci ha chiesto se avevamo un medicinale da dargli), una sorta di conservatorismo attivo. Ero molto curiosa e al tempo stesso abbastanza scettica su cosa ci avrebbe riservato questa visita, temendo un baraccone per turisti come era stato lo spettacolino dei San, ed invece devo dire che è stato davvero piacevole: la semplicità ed i sorrisi con cui siamo stati accolti e l’orgoglio che traspare nel racconto della loro vita quotidiana e delle loro tradizioni mi ha davvero fatto apprezzare questa visita. Purtroppo e ora di rimettersi in viaggio ma prima Silvia (tacco 12 vi ricordate?) delizia i bambini che ci hanno accompagnato al bus mettendosi a giocare a calcio con loro. Riprendiamo la C40, poi svoltiamo sulla D 2671 e poi sulla D 2695, altri 110 km tra saltelli e sbattimenti sul toulè ondulé che però ci regalano bei paesaggi ed un incontro molto ravvicinato con un paio di giraffe che ci attraversano la strada. Arriviamo all’Epacha Game Lodge quasi al tramonto, saremmo dovuti stare al tented camp ma ci “upgradano” alla parte vip in muratura. La struttura è bellissima (anche troppo), le stanze sono una piazza d’armi tutte con terrazza privata, bagno con vasca e doccia e doccia esterna… peccato che sia a circa 60 km dall’ingresso del Parco Etosha. Foto prese da Internet: Prima della cena facciamo un game drive all’interno della riserva privata del hotel. Non ho grandi aspettative (nemmeno in sud Africa avevamo visto molto la notte e lì eravamo dentro al Kruger non in una riserva privata!) ed in effetti a parte qualche Orix e Springbok non vediamo nulla di particolarmente interessante. Ceniamo fuori attorno al fuoco (ottima tecnica perché al buio non ti rendi minimamente conto di quello che hai nel piatto, cmq è tutto buono), un’Amarula per concludere la serata e poi alle 9 a letto: siamo distrutti e domani la sveglia è all’alba.
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  14. 22 agosto Damaraland Twyfelfontein e gli Himba (I parte) Se il buongiorno si vede dall'alba... La giornata di oggi sarà lunga e abbastanza faticosa: 340km su strade pessime dove se si riesce a non bucare è un miracolo (a noi è andata bene). Il nostro lodge si trova solo a un paio dii km dall’ingresso del museo all’aperto di Twyfelfontein ma ci svegliamo comunque all’alba in modo da arrivare all’apertura per evitare il caldo e la confusione. Riusciamo nell’intento tanto che quando arriviamo non c’è ancora nessuno e possiamo fare la visita in tutta calma e senza nessuno tra i piedi. Al centro visite, realizzato con materiale riciclato e facilmente rimovibile (pietra e parti di barili in ferro semplicemente legati insieme), si accede dopo una breve passeggiata dal parcheggio, il sito si può girare in autonomia ma credo valga la pena affidarsi ad una delle giovani guide che oltre a guidarvi nella salita (l percorso è accidentato ma tenuto molto bene e assolutamente fattibile) vi racconterà la storia e le leggende delle incisioni rupestri. Il nome Twyfelfontein, che significa ‘fonte incerta’ in afrikaans, risale a David Levin che alla fine degli anni quaranta si trasferì nella valle con la famiglia. L’unica sorgente in zona era molto debole e fonte di costante preoccupazione. Fu sempre Levin a ‘scoprire’ le incisioni, la cui presenza era però già nota alle popolazioni locali. Twyfelfontein dal 2007 è patrimonio dell’umanità Unesco. La maggior parte di questi petroglifi (incisioni) scolpiti nella dura patina superficiale dell’arenaria, si ritiene che furono realizzati dai cacciatori San (boscimani). La patina riformandosi avrebbe poi protetto nel tempo le incisioni dall’erosione. Accompagnati dalla nostra guida ci muoviamo tra le rocce in questo splendido paesaggio di pietra rossa, alla ricerca di graffiti di animali come elefanti, giraffe, leoni, rinoceronti, e perfino otarie (molto rare invece sono le figure umane). Noi seguiamo la via del Dancing Kudo che richiede circa un’ora (ma ce ne sono diversi altre) e vediamo così le incisioni che descrivono la trans, la Sorgente, svariati animali e ovviamente il Kudu danzante oltre alla Wave rock. Ci sono poi, anche pitture realizzate con mescolanze di ossidi di ferro ed ocra che spesso raffigurano scene di caccia o di uomini in momenti di raccoglimento. Se la salita è stata semplice durante la discesa (tutta a gradini ricavati nella pietra) lancerò una serie di maledizioni infinite perché il mio povero ginocchio viene messo a dura prova (e ne sentirò le conseguenze per una settimana) ma tanto siamo quasi alla fine del viaggio e praticamente non ci sono più pezzi a piedi per cui … chissenefrega! Dopo una sosta “cocacola” (adesso fa davvero caldo) al “bar” del visitor centre e la solita visita ai bagni (come per la benzina meglio approfittare ogni volta che se ne ha la possibilità) ci rimettiamo in marcia: D 3214 poi D3254, D 2612 ed infine C 39 che ci porta a Khorixas dove ci fermiamo a fare benzina e facciamo scorta di generi di conforto al supermercato. Come sempre anche qui il market è il centro della vita del villaggio e c’è una gran confusione.
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  15. 21 agosto Cape Cross e il Damaraland La sveglia questa mattina è con calma perché le otarie si svegliano tardi (la colonia di Cape Cross apre alle 10) anche se poi dovremo fare un bel po’ di strada (430 km circa). Prendiamo la C34 (strada asfaltata con deserto di sabbia da un lato e mare dall'altro) e ci fermiamo ad Hentie’s Bay che si trova all'inizio del tratto di costa che viene indicato col nome di Skeleton Coast (la costa degli scheletri è nota per essere particolarmente inospitale e difficile da raggiungere; verso l'interno il deserto si estende per decine di chilometri, e dal mare è difficile avvicinarsi a causa delle forti onde causate dalla corrente del Benguela. Per questi motivi la costa era chiamata "la terra che Dio ha creato con rabbia" dai boscimani, e "le sabbie dell'Inferno" dai portoghesi. Il nome odierno si riferisce agli innumerevoli relitti spiaggiati lungo la costa. In tutto se ne contano oltre un migliaio), a metà strada fra la città di Swakopmund (a sud) e la riserva naturale di Cape Cross (a nord). È principalmente una località di villeggiatura per i namibiani e sudafricani, particolarmente rinomata per le spiagge incontaminate e come paradiso della pesca sportiva. Qui vediamo il relitto della Zeila che a differenza (stando a quello che dice Marco) degli altri relitti - che si trovano più a nord oltre Cape Cross- è ancora a mollo ed abbastanza ben conservato dato che si tratta di un naufragio abbastanza “recente”, la Zeila è naufragata, infatti, il 25 agosto 2008. Dopo un incontro interessante: Riprendiamo la C34 verso Cape Cross. Sulla strada capita di incontrare diversi banchetti improvvisati con cristalli rosa di sale marino. In questi banchetti non c'è anima viva, si trova solo un barattolo per i soldi, poi qualcuno passerà a svuotarli. La gente si fida… Arriviamo all'ingresso della riserva esattamente alle 10 tanto che ci tocca attendere qualche minuto prima che aprano la sbarra. Dall'ingresso alla zona vera e propria dove stazionano le otarie c'è qualche chilometro. Il primo europeo a metter piede sul suolo dell'attuale Namibia fu il navigatore portoghese Diego Cao nel 1486, che, nella località Cape Cross, eresse una croce per segnare la sua scoperta: Oggi questa località è famosa per la comunità di otarie che vi si è stabilita: circa 80.000 esemplari vivono qui tutto l'anno fra le rocce, tuffandosi nelle onde e giocando fra di loro in un frastuono assordante….il problema però non è il rumore ma la PUZZA! L'aria è irrespirabile! Mi copro bocca e naso con la sciarpa e mi tuffo in questo mare di otarie. Sono migliaia, stese a poltrire, litigare, dormire o in acqua, ci sono adulti, cuccioli e qualche carcassa di animale morto. Si accede alla colonia tramite una passerella di legno, faccio il percorso avanti e indietro veloce per quanto possibile… e poi via di corsa in zona di sicurezza dove posso riprendere a respirare normalmente. Ci fermiamo all’area picnic vista mare vicino all’ingresso della riserva lontani dalla puzza e dal rumore per biscotti e caffè e poi ritorniamo verso Henties Bay per deviare verso il Damaraland. Prendiamo la C16 e poi la C35 e la strada comincia a diventare un po’ sconnessa per andare via via peggiorando sempre più. Ci addentriamo nel Damaraland (un’area montuosa tra il deserto della Skeleton Coast e l’altopiano centrale ed originariamente abitata dalla tribù Damara nome che deriva dalla parola Nama “Dama” che significa “che ha camminato qui”. Questo perché popolo Nama poteva riconoscere il loro passaggio dalle impronte che lasciavano intorno agli specchi d’acqua.) ed il paesaggio cambia, diventa meno aspro, sterrato roccioso punteggiato da erba verdissima che qua e la torna a popolare questo pezzo di mondo, a volte si intravede qualche mucca, qualche casupola e, addirittura, minuscoli villaggi. In lontananza le montagne subito a ridosso delle pianure di ghiaia che “pavimentano” il deserto. Tra queste vette spicca quella dello Spitzkoppe: 1728 metri e una somiglianza impressionante con il Cervino. Non a caso si è guadagnata l’appellativo di “Cervino d’Africa”. Una curiosità: le condizioni estreme di questo territorio hanno fatto sì che la vetta dello Skitzkoppe rimanesse inviolata fino al 1946. Per pranzo ci fermiamo a UIS al Montis Utsi (cotoletta e patatine fritte senza infamia e senza lode). Uis è un insediamento minerario per l'estrazione dello stagno. Negli anni cinquanta le miniere furono prese in concessione da un'azienda sudafricana, che ne sviluppò lo sfruttamento; nel 1958 venne fondata la città, come luogo di residenza dei minatori. Accanto alle abitazioni è visibile ancora oggi una sorta di grande collina bianca, costituita dai residui del processo di raffinamento dello stagno. L'attività mineraria cessò quasi completamente nel 1991, in seguito al crollo dei prezzi dello stagno sui mercati internazionali. La città conobbe un periodo di declino in seguito alla chiusura della miniera principale. Oggi, l'economia della città è alimentata soprattutto dal traffico di viaggiatori e turisti che la attraversano; ci sono un distributore di benzina, una guesthouse, un piccolo supermercato e altre modeste attività commerciali. Inoltre, c'è un certo commercio di pietre rare raccolte dalla popolazione locale e vendute ai turisti (infatti appena scesi dal bus ci vengono incontro tre o quattro ragazzi con scatole piene di pietre che cercano di venderci a tutti i costi). Dopo Uis se è possibile la strada peggiora ancora ed è un continuo sballottamento Lungo la strada troviamo un insediamento dove alcune donne Herero hanno aperto un mercatino, ci fermiamo alle bancarelle per ammirare i costumi tipici e comprare le tipiche bamboline in stoffa fatte da loro. Ci sono solo donne e bambini e nonostante le difficoltà linguistiche (non parlano inglese se non giusto quelle due o tre parole che gli servono per il commercio) passiamo con loro quasi mezz’ora in cui ci fanno vedere come cuciono con vecchie macchine Singer, bamboline, cuscini, buste dai colori sgargianti, come lo sono i loro abiti e giocando con i bambini. Gli Herero sono un popolo di ceppo bantu, vennero a contatto con i colonizzatori europei adottandone stili e concezioni di vita nonostante le iniziali scaramucce, degenerate poi in un conflitto violento in cui rischiarono di essere annientati. Oggi sono rimasti circa in 100.000, Okahandja è il loro centro principale e in maggioranza sono impiegati in fattorie per l'allevamento di bestiame. A differenza delle loro consanguinee Himba, le donne Herero si coprono di tutto punto. Il loro modo di vestire appare alquanto buffo non solo per le ampie gonne di epoca vittoriana coloratissine che imposero loro i primi missionari ma soprattutto per un copricapo triangolare piuttosto insolito che non mancano mai di indossare. Gli ultimi 60 km sulla D 2612 seppur affascinanti sono pesantissimi Il sole è quasi tramontato quando finalmente, con le ossa abbastanza rotte , arriviamo al Twyfelfontein Country Lodge, una delle strutture più belle in cui siamo stati non per le sistemazioni abbastanza basic quanto per la posizione: il lodge è situato nell'area protetta di Twyfelfontein Uibasen, dichiarata patrimonio dell'UNESCO, in una tranquilla piana desertica circondata da colline rocciose, architettonicamente è spettacolare costruito con materiali ecocompatibili e talmente in armonia con il paesaggio circostante che ad uno sguardo poco attento dalla strada neppure si nota. Davvero complimenti a chi l’ha progettato! Dopo la cena a buffet, buona e abbastanza varia, è di nuovo il momento di scrutare il cielo. Purtroppo questa sera non è prevista l’attività di osservazione delle stelle perché il signore tedesco che se ne occupa è in vacanza ma stavolta ci mettiamo d’impegno e alla fine sarà per c*fortuna, sarà perché finalmente la posizione è quella giusta riusciamo a individuare la benedetta croce del sud e ce ne andiamo a letto soddisfatti! Il Damaraland è una regione affascinante che, ancor più del resto della Namibia, restituisce allo sguardo una natura ancestrale e incontaminata , avendo tempo è il caso di dedicarci più del giorno e mezzo che gli abbiamo dedicato noi perché questa regione secondo me va attraversata con calma, assaporata e vissuta in tutte le sue sfaccettature.
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  16. 20 agosto Walvis Bay Dopo lo sbattimento e la polvere di ieri oggi è una giornata tranquilla: 30 km di strada asfaltata ci portano a Walvis Bay. La città di Walvis Bay (che significa Baia delle Balene in Afrikaans) ha una storia alterna. È stata scoperta da Diaz nel 1487 mentre la città è stata fondata nel 1793 da olandesi dal capo (Sudafrica). Walvis Bay ha sempre attratto l’interesse delle potenze coloniali per le sue risorse legate al sale, al guano e alla pesca e sino al 1994 era sotto il controllo del Sudafrica. Il cielo è grigio e fa abbastanza fresco, le previsioni dicono che uscirà il sole ma al momento non si vede proprio! Alle 9 siamo al molo del porto turistico di Walvis Bay pronti ad imbarcarci per la crociera in catamarano sulla baia (http://www.namibiancharters.com ). Il porto è molto caratteristico perché il molo, sui quali si affacciano ristorantini e caffé, è pieno di grandi ossa di balene, vertebre e mandibole portate sulla spiaggia dalle correnti e che testimoniano la principale vocazione turistica del luogo: il whale watching. Il nostro equipaggio (capitano e guida rigorosamente afrikans) è molto simpatico e gentile e nonostante l’arietta fresca la gita è piacevole. Ci accompagnano una simpatica otaria che abituata a ricevere pesce in premio sale e scende dalla barca reclamando la sua ricompensa: un paio di pellicani e tanti delfini che ci nuotano intorno per una buona parte del percorso Arriviamo fino a Pelican Point dove si trova il faro e dove ora hanno fatto un lodge di lusso per vedere la colonia di otarie e sulla via del ritorno il nostro equipaggio ci offre un brunch rinforzato a base di ostriche e stuzzichini vari davvero molto buoni. Il tutto ovviamente accompagnato da vino bianco … risultato: brilli alle 11.30 del mattino. Rientrati in porto dove dopo una veloce pausa pipì e giro per i negozietti e le bancarelle (nulla di rilievo da segnalare) prendiamo le jeep per l’escursione sulle dune fino a Sandwich Harbour (http://www.sandwich-harbour.com ). Dopo una breve pausa alla Laguna di Walvis Bay per vedere i fenicotteri, passiamo in mezzo alle saline, procediamo verso il delta del fiume Kuiseb e vediamo Orix e Cormorani e poi lungo la spiaggia (con le dune a sinistra ed il mare a destra) per arrivare a Sandwich Harbor dove le dune si tuffano nel mare. C’è un vento tremendo e del sole promesso non c’è traccia per cui dopo pochi minuti rinunciamo a salire sulla duna, ci rimettiamo in macchina e dopo un altro po’ di su e giù per le dune e poi ci fermiamo per pranzare, ancora a base di ostriche e vino bianco (risultato se prima eravamo brilli ora siamo MOLTO brilli!). Dopo un altro giro di montagne russe sulle dune torniamo al porto dove riprendiamo il nostro minibus per tornare a Swakopmund in tempo per un giretto veloce di shopping prima che i negozi chiudano. Cena in hotel con siparietto sul menù (il servizio è a self service e mentre mangiamo Mirca dice al marito che sta mangiando bistecca di struzzo: “sai è davvero buonissimo questo tonno” e noi in coro: “tonno? C’era il tonno? M: “ si era dove fanno le bistecche…” ci guardiamo un po’ perplessi e chiediamo se ne è sicura (che sia ancora ubriaca?), lei dice che ha chiesto ed è certissima per cui a questo punto andiamo a chiedere anche noi ed il cuoco ci risponde: “ostrich”. Ora va bene che non sai l’inglese e puoi aver capito una cosa per un’altra ma l’hai mangiato e tra lo struzzo ed il tonno c’è una bella differenza … e lì iniziò lo sfottò ad oltranza, non preso proprio benissimo sullo struzzo che sa di tonno …). Dopo una chiaccherata con il ragazzo che si occupa della sicurezza all’ingresso delle nostre stanze (poverino gli tocca stare tutta la notte in piedi, letteralmente perché non ha neanche una sedia, ed al freddo) che ci confida (che tenerezza!) che il suo più grande desiderio sarebbe andare a visitare l’Etosha e che spera di riuscirci tra un paio d’anni andiamo a letto presto con un velo di malinconia e un piccolo peso sul cuore.
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  17. 20 agosto Namib Desert- Solitaire- Ganab- Hotsas- Moon Valley- Swakopmund Oggi ci aspetta una lunga strada, circa 400 km tutti su strada bianca, in alcuni punti molto molto rovinata, quasi nel nulla. Partiamo alle 7 e dopo il tratto di C27 imbocchiamo la C19 fino a Solitaire dove facciamo pausa pipi/merenda. Solitaire è un piccolissimo insediamento alle porte del Namib-Naukluft National Park, assolutamente in mezzo al nulla (da qui il nome) dove oggi si trovano un lodge e una pompa di benzina con una piccola negozio di pasticceria, il tutto avvolto da un’atmosfera retrò, uno di quei posti in cui il tempo sembra essere sospeso. Qui, alla McGregor’s Desert Bakery, è possibile mangiare la torta di mele più buona di tutta la Namibia, o per lo meno così dicono. La storia racconta che Percival Cross detto Moose McGregor, un avventuriero scozzese negli anni ’90 decise di stabilirsi qui e aprire una pasticceria. Moose era un personaggio unico, con un passato misterioso e quasi piratesco, un aspetto tipicamente scozzese e un carattere amichevole e affascinante. La sua specialità era la torta di mele, realizzata con una vecchia ricetta tedesca di famiglia e con mele provenienti da… boh, sicuramente non dalla Namibia. Questa torta di mele era talmente buona che la voce si è sparsa e ha regalato a Moose McGregor fama internazionale e qualche guadagno, prontamente reinvestito nell’espansione urbanistica di Solitaire: al benzinaio e alla pasticceria di Moose si è aggiunto un piccolo emporio e un altrettanto piccolo lodge, il tutto contornato da insegne di legno, rottami di vecchie auto d’epoca e qualche ostinata pianta grassa. Sembra di stare sul set di un b-movie western, o magari horror. O magari un mix dei due generi. Il povero Moose si è goduto la vita e poi è morto nel 2014 a causa delle complicanze del diabete, aggravate dall’isolamento geografico. È stato sepolto a Solitarie, in una tomba kitsch proprio di fronte al patio esterno della sua pasticceria, celebrato come la leggenda che era. Alla pasticceria oggi trovate i figli. Quindi dicevo ci fermiamo a Solitaire e ne approfittiamo anche per fare benzina (ricordatevi che in Namibia la benzina va fatta ogni volta che ce n’è la possibilità). Entriamo in questa sorta di panetteria. Ci sono un sacco di cose che mi attirano per cui oltre alla strafamosa apple crunch pie compro anche un paio di biscotti. Prendiamo la torta “take away” (te la mettono in uno scatolino così data la dimensione della fetta se non la finisci puoi portartela via comodamente) e ci sediamo fuori per gustarcela al fresco ed in tranquillità (insiema a un altro bel po’ di gente, ma per fortuna lo spazio non manca). Il mio giudizio? Davvero molto buona ma anche bella pesante! Belli satolli dopo un giro tra le carcasse d’auto ci rimettiamo in marcia e lasciamo la C19 per prendere la C14 addentrantoci nella regione degli Erongo. Attraversiamo il canyon del fiume Kuliseb con i suoi paessaggi lunari poi rientriamo nel Namib Naukluft National Park dove lasciamo la C14 per prendere la Ganab road (è una strada secondaria del parco e per percorrerla serve un permesso). Questa pista taglia in due l’altopiano costiero attraversando una zona di savana erbosa costellata di monoliti in granito grigio e rosa. Tutta l’area brulica di animali: orici, gazzelle, facoceri e dicono leopardi e ghepardi (noi non ne abbiamo visti). Quasi al termina della prima parte della pista all’incrocio la D1982 c’è un boschetto di acacie dove ci sono tavoli da picnic, grill in cemento per arrostire ed anche un bagno. Oltre Ganab si incrocia la D1982 che attraversiamo proseguendo verso Hotsas prendendo l’omonima “stradina” (anche qui serve un permesso). Hotsas è nient’altro che un pozzo con una piccola area verde attorno in mezzo alla pianura che qui diventa sempre più arida e rocciosa. Dopo circa 30 km incrociamo la C28 dove ci fermiamo per il nostro pranzo/pic nic sotto un pergolato di canne con pietre per tavolo e sedie. Dopo la sosta riprendiamo la C28 procedendo a velocità sostenuta per cercare di limitare gli sbattimenti veramente fastidiosi dati dalle cunette della Tolé ondulée. Quando mancano circa 60km facciamo un’altra deviazione per accedere alla piana delle Welwitscha. La Welwitschia è una pianta appartenente alle Gimnosperme (gruppo di piante a cui appartengono anche i pini e gli abeti) ma dalle caratteristiche estremamente peculiari, tanto che Charles Darwin la definì “l’ornitorinco del regno vegetale”. Presenta una radice molto profonda che si espande in orizzontale e due foglie dall’aspetto unico, lunghe fino a cinque metri e adagiate sul terreno, con un meristema basale che compensa l’erosione della parte distale, (in altre parole: le foglie sono nastri che crescono continuamente dalla base, mentre la estremità finale progressivamente si inaridisce e muore). L’aspetto generale della pianta è quindi quello di una grande matassa di nastri verdi, larghi fino a quasi mezzo metro e lunghi cinque, attorcigliati e deposti sul suolo, con le parti finali che progressivamente muoiono, si sfilacciano, e diventano di colore marrone. Il tronco, piuttosto grande (in diametro) è cortissimo, e coperto dalle foglie. Un’altra caratteristica insolita della Welwitscha mirabilis è l’eccezionale longevità; la datazione con carbonio 14 ha dimostrato che alcuni esemplari hanno oltre 2000 anni. La pianta viene anche considerata un fossile vivente. La sopravvivenza nel clima arido del Namib non è affidata principalmente (come si credeva un tempo) alle radici particolarmente lunghe, ma all’assorbimento della umidità portata dalle nebbie costiere. Infatti mentre le piogge nel clima desertico del luogo sono estremamente rare e totalmente inaffidabili, le nebbie prodotte dalla condensazione atmosferica, dovuta alla notevolissima escursione termica tra il giorno e la notte sulle correnti di aria provenienti dal mare (e che si spingono molti chilometri all’interno), sono invece ricorrenti e frequenti. Già dai primissimi km si possono vedere vari esemplari a lato della strada, se volete potete proseguire fino al Welwitscha view point dove c’è un esemplare che pare abbia intorno ai 1500 anni, noi ci fermiamo un po’ prima e poi torniamo indietro per riprendere la D1991 e dirigerci verso la Moon Valley. Lo Swakop è uno dei principali fiumi della Namibia occidentale. Scorre attraverso un tratto di deserto del Namib e sfocia nell'Oceano Atlantico nei pressi dei sobborghi meridionali della città di Swakopmund. Il fiume rimane asciutto per lunghi periodi. Nell'arco di millenni, il corso dello Swakop ha dato origine a un complesso di canyon e fenomeni erosivi che prende appunto il nome di Moon Valley a causa del suo aspetto surreale e desolato. Dal view point del Moon landscape si ha una visione di insieme Ritorniamo sulla C28 e percorriamo gli ultimi 40 km per arrivare a Swakopmund, dove ci accolgono una sottile nebbiolina ed un’aria bella frizzante. La colpa di questo tempo non proprio piacevole pare sia da attribuire alla corrente del Benguela che scontrandosi con le correnti di aria calda del deserto provocano le caratteristiche nebbioline e tempo di m*a della Skeleton Coast. Swakopmund è una città della Baviera trapiantata in un deserto africano. Architetti tedeschi degli inizi '900 fecero a gara per ricreare atmosfere di una città della madrepatria secondo i dettami dello Jugendstil allora imperante. Arriviamo verso le 4 ma è domenica per cui è praticamente tutto chiuso, facciamo comunque una passeggiata fino al mare e poi andiamo in hotel che è stato ricavato nella vecchia stazione ferroviaria. Marco si raccomanda di non girare a piedi dopo il tramonto dato che pare la città non sia molto sicura (la conferma è data dal fatto che ci sono guardie di sicurezza sia all’ingresso che nel cortile interno e che tutto il perimetro è circondato da filo spinato). Per cena andiamo al The Tug ristorante che si trova proprio sul molo (la vista sarebbe molto bella se non ci fosse nebbia e non piovigginasse) che a quanto dice Marco è tra i miglori di Swakopmund (se pensate di andare prenotate con anticipo perché non è molto grande e di solito è molto affollato). Mangiamo dell’ottimo pesce (splendidi fried calamari come antipasto e Kabeljou ‘Danie Hugo’ come piatto principale) accompagnato da vino sudafricano. Il prezzo è più che onesto… per noi… per loro abbastanza caro, intorno ai 300 dollari namibiani (circa 20€).
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  18. 19 agosto Namib Naukluft National Park - Sesriem e Soussvlei (II parte) Il Sesriem Canyon si trova a circa 4,5 km dal cancello d'ingresso del Namib-Naukluft National Park. Il fiume Tsauchab ha modellato il Canyon per milioni di anni ed è uno dei pochi posti dell'area dove si può trovare l'acqua (poca) tutto l'anno. Come dicevo nel post precedente il nome deriva dal numero (sei) di cinturini in pelle ("riem") che i primi esploratori della regione dovevano utilizzare legati insieme per creare una corda abbastanza lunga per calare i secchi nel canyon sottostante, al fine di prendere l'acqua. Oggi il fiume Tsauchab è un fiume effimero che scorre solo dopo le piogge scendendo dalle Naukluft Mountains. La discesa nel canyon è un po’ accidentata ma abbastanza semplice e non troppo faticosa in un’ora si riesce a scendere fare tutta la passeggiata all’interno della gola fin dove si trova la pozza d’acqua e risalire. E' carino ma se non avete troppo tempo e non riuscite ad andare non fatevene un problema. Finito di esplorare il Canyon troniamo al Sossusvlei Lodge dove abbiamo prenotato il sorvolo in aereo dell’area di Sossusvlei. Il volo è puntato per le 16.00 per cui andiamo in agenzia dove paghiamo (130 €) e aspettiamo che venga a prenderci il nostro pilota per portarci alla pista che si trova cinque minuti di jeep dal lodge. La compagnia è la Desert air e offre diverse possibilità con ovviamente costi e tempi diversi, il nostro tour è purtroppo il più breve, quello da 40 minuti, ma prenotando il giorno prima c’era disponibilità solo per quello e solo per 4 persone, andremo quindi io, Anto, Raffa e Gianni. Alle 15.45 il pilota, un ragazzone dai capelli rossi di cui non ricordo il nome che sembra australiano ma che ci giura di essere namibiano ci recupera e ci porta alla pista dove ci fa un breve brifieng in cui ci spiega il percorso ed i segnali che utilizzerà per segnalarci quello che vediamo e si raccomanda di vomitare nei sacchetti se no ci toccherà pulire (ahi ahi mi vedo già a strofinare l’aereo con secchio e stracci…). L’aereo è un Cessna 210 light 5 posti Saliamo e accendiamo i motori e siamo pronti Lo spettacolo delle dune dall’alto è qualcosa di indescrivibile, lascio parlare le immagini: Lasciate le dune ci dirigiamo verso la zona dei Fairy Circles che sono zone circolari prive di vegetazione circondate da un anello di erba alta del genere Stipagrostis. Distribuiti in maniera irregolare essi si presentano lungo una fascia di 2.000 chilometri che percorre il margine orientale del deserto della Namibia meridionale, dall'Angola fino alla parte nord occidentale del Sudafrica. I cerchi non sono perenni. In media vivono circa 24 anni, ma alcuni di essi, soprattutto i più grandi, raggiungono anche i 75 anni. Dal diametro variabile (dai 2 ai 12 metri), i cerchi delle fate sono un fenomeno dalle cause ancora sconosciute, anche se negli ultimi 40 anni molte ipotesi scientifiche sono state proposte. La più accreditata riguarda la presenza delle termiti della sabbia, del genere Psammotermes allocerus, ritenute le uniche responsabili. Teroicamente sarebbero questi (prese da google) ma quando siamo partiti c’era un po’ di vento che ora si è calmato per cui ci abbassiamo per vedere meglio ed il nostro giocoso pilota comincia a divertirsi davvero facendo su e giù e giri vari che le montagne russe a confronto sono una passeggiata … Il risultato è che ci divertiamo da matti vediamo vari gruppi di Orici, Antilopi ed altri animali non meglio identificati ma io non ho fatto più foto perché ero troppo impegnata a cercare di non vomitare (per chi non se lo ricorda SOFFRO DI CINETOSI!!) La mia faccia soddisfatta per essere riuscita ad arrivare a terra indenne e non dovere pulire l'aereo Rimessi i piedi per terra torniamo al Sossusvlei Lodge dove Marco ci sta aspettando per tornare in hotel. Arrivata in camera sono completamente scombussolata dal volo per cui svengo sul letto per circa tre quarti d’ora e mi sveglio di botto e per pura fortuna in tempo per darmi una ripulita ed andare a cena. Altra chiacchierata serale bevendo Amarula sotto le stelle (Croce del sud sempre assente) e poi ci ritiriamo per la notte. Qui http://desertair.com.na/sossusvlei/ e qui http://www.sossusvleilodge.com/scenicflights.html trovate le info sul volo e questa è la mappa:
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  19. Qualche altra foto sparsa della mattinata prima di continuare:
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  20. 19 agosto Namib Naukluft National Park - Sesriem e Soussvlei (I parte) Colazione alle 5.30 ed alle 6 tutti pronti per una delle giornate più belle del tour, per me probabilmente LA più bella dato che tra le dune ci ho lasciato un pezzo di cuore (oltre a ginocchio e polmoni). Il sole i dà il buongiorno così: La leggenda racconta che la Namibia e le dune del deserto del Namib siano “scappate” in un momento di ira divina… se questo è vero non si può certo dire che siano venuti male. Anzi!! Ci sarà forse qualche dubbio sul fatto che il Namib sia il deserto più antico del mondo ma che le sue dune siano tra gli spettacoli naturali più suggestivi del pianeta, c’è poco da dubitare. Se la rabbia di Dio ha un colore, allora non può essere che un arancione che a tratti sconfina nel rosso, a tratti s’aggrappa al giallo. L'area di Sossusvlei è la parte più accessibile di una vasta area sabbiosa del Namib meridionale con caratteristiche simili, che si estende fra i fiumi Koichab e Kuiseb su un'estensione complessiva di 32.000 km². Al di là delle leggende il particolare colore delle dune è dovuto alla composizione ferrosa della sabbia e alla sua ossidazione; le dune più antiche sono quelle dal colore rosso più intenso. Diverse dune dell'area di Sossusvlei superano i 200 m di altezza rispetto al suolo circostante, e si classificano fra le più alte del mondo (la più alta è la "Big Daddy", circa 380 m). Il nostro Lodge si trova a circa 25 km dal cancello di Sesriem (lungo la C27 non asfaltata), il cui nome in lingua locale significa “sei cinghie”, dal numero delle corregge di cuoio che in passato venivano utilizzate per attingere l’acqua dal fondo della gola. Sesriem è un piccolo villaggio dove si trovano gli uffici che rilasciano i biglietti di ingresso al Namib Naukluft National Park e dove fare benzina e scorta di viveri prima di entrare nel parco. Il parco è aperto dall’alba al tramonto, i fortunati che alloggiano al Sesriem Camp site o al Sossus Dune Lodge possono entrare prima dei comuni mortali che alloggiano fuori dal parco e godersi l’alba dalle dune, noi ci accontentiamo di arrivare ai cancelli alle 6.30 circa per essere tra i primi ad entrare. Il luogo da cui l'intera area di Sossusvlei prende il nome si trova circa 60 km all'interno dopo i cancelli di Sesriem. 6 km prima di Sossusvlei la strada asfaltata termina nel "2x4 Parking"; è il limite oltre il quale le automobili a trazione a non integrale (2x4) non possono procedere, perché il fondo stradale lascia il posto alla sabbia. Sossusvlei dista dal parcheggio altri 6 km che si possono percorrere o a piedi o utilizzando il servizio di navette. Anche se avete un 4x4 se non avete esperienza di guida sulla sabbia il mio consiglio personale è quello di approfittare delle navette: ho visto almeno 5 geni insabbiati che aspettavano nella speranza che uno dei ranger che guida le navette si impietosisse e li aiutasse a venirne fuori (due ragazzi di Siena che alloggiavano nel nostro stesso hotel sono stati tra i fortunati e ci hanno raccontato che il ranger che li ha tirati fuori sghignazzando come un matto gli ha anche impartito, dietro pagamento di una piccola mancia, una rapida lezione di guida su sabbia) . Entrati dal cancello percorriamo quindi i 60 km che portano a Sossuvlei facendo un po’ di soste durante le quali Marco ci spiega la particolare conformazione di queste dune che a differenza di quelle del Kalahari sono dinamiche perché si spostano e cambiano conformazione in base al vento che le rimodella continuamente. Abbiamo per cui Dune paraboliche, Dune trasversali, Dune a stella, Dune a barcana. La prima duna che si incontra lungo il tragitto Sesriem-Sossusvlei è la “duna di Elim”, a soli 5 chilometri da Sesriem. "Elim" era il nome di una fattoria che si trovava un tempo in questa zona, prima che il terreno venisse annesso al parco nazionale. Proseguendo lungo la strada ecco la sagoma della “duna 45”, chiamata così perché si trova al 45º km dell’arteria Sesriem Sossusvlei. La 45 viene considerata la duna più fotografata del mondo. Ha una forma ad S particolarmente elegante ed è alta circa 100 metri. Il territorio è attraversato da diversi corsi d'acqua effimeri, che in alcuni punti formano pozze d'acqua anch'esse effimere; tali pozze prendono il nome generale afrikaans di vlei ("pantano", "acquitrino"). Il fondo di queste pozze, asciutto per gran parte dell'anno (e talvolta per interi anni) assume a causa della composizione salina un caratteristico colore bianco. Arrivati al 2x4 parking dopo la doverosa pausa pipì prendiamo le navette che in una decina di minuti (tra salti e saltelli) ci portano al Big Daddy. La Big Daddy è la duna più alta dell'area di Sossusvlei e, dicono, del mondo. E’alta circa 390 m (l'altezza esatta, trattandosi di una duna di sabbia, è ovviamente variabile) e si trova all'estremità del percorso che conduce da Sossusvlei a Deadvlei A questo punto ci sono due possibilità per arrivare al Deadvlei: scalare la duna e poi scendere dal fondo oppure costeggiarla (facendo comunque un po’ di saliscendi). Il gruppo si divide: Alessio, Max, Gianni e Silvia accompagnati da Marco partono alla conquista della Big Daddy , io e gli altri scegliamo la passeggiata “più soft” Sinceramente non mi ricordavo che camminare sulla sabbia fosse così pesante ma facendolo con calma con numerose soste fotografiche e considerato che ancora fa abbastanza fresco complice un piacevole venticello non fastidioso (il sole però picchia per cui cappello e crema solare obbligatori!) arriviamo al Deadvlei in poco più di mezz'ora (loro ci stanno poco di più a scalare il big daddy). Superata l’ultima collinetta dove si scavalla per poi scendere verso il vlei mi fermo per prendere fiato e resto praticamente folgorata tanto che non ho ben chiaro se quello che avevo intorno mi ha distratto dalla fatica o se mi avevano drogato l’acqua ma ho di colpo recuperato le forze e davvero non trovo parole per descrivere quale meraviglia fosse (provo a farvela vedere ma le foto non gli rendono giustizia), vi basti sapere che a un certo punto sedute sul tronco di un albero con Anto ci siam guardate e ci siamo dette: ok lasciateci qui! Il Deadvlei (o Dead Vlei) è una depressione caratterizzata da un suolo di sabbia bianca che in passato era un'oasi di acacie. Il fiume che alimentava l'oasi mutò il proprio corso in seguito al movimento delle dune . A questo si deve l'elemento più caratteristico di Deadvlei (letteralmente, il "vlei morto"), ovvero un grande numero di alberi di acacia morti, che hanno assunto col tempo un colore molto scuro che contrasta col bianco del suolo e l'arancione delle dune. Tornati indietro siamo stanchi, accaldati con le labbra secche e la sabbia ovunque ma talmente felici che non vorremmo andarcene per nulla al mondo ma ci tocca riprendere la navetta Facciamo una breve sosta a Sossusvlei Sossusvlei è un pianoro di forma grosso modo ellittica, coperto da una crosta di sabbia salina indurita e screpolata. Il pianoro è il fondo di un lago quasi sempre asciutto, ed è stato modellato attraverso i millenni dalle acque del fiume Tsauchab. Lo Tsauchab, secco per la gran parte dell'anno, si riempie d'acqua solo in occasione di piogge particolarmente intense; in queste occasioni, può accadere che la piana di Sossusvlei venga alluvionata. (Il fenomeno non ha luogo tutti gli anni. Una delle ultime alluvioni di Sossusvlei avvenne nel 1997.) Il nome del luogo descrive questo fenomeno periodico: vlei è il termine afrikaans che indica il pantano, mentre sossus, in lingua nama, significa "senza ritorno" o "fiume cieco", con riferimento al fatto che qui le acque dello Tsauchab si perdono nel Namib. Torniamo al parcheggio per percorrere a ritroso i 60 km e si è fatta ora di pranzo per cui ci fermiamo al Soussuvlei lodge per rinfrescarci e rifocillarci, siamo proprio a un passo dalle dune che si vedono in lontananza, location bellissima! Dopo pranzo passaggio veloce all’agenzia per confermare l’orario di partenza del sorvolo in aereo del pomeriggio e poi ci rilassiamo un attimo a bordo piscina godendoci il fresco degli alberi prima di rientrare nel parco per dirigerci al Seriem Canyon. …to be continued…
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  21. 18 agosto Kalahari – Maltahoe – Namib Desert Il Kalahari ospita l'antico popolo nomade dei San, che si dice vivano in queste terre da almeno ventimila anni. Minuti, dalla carnagione olivastra, occhi dal taglio orientale, zigomi alti, testa tonda, i San erano cacciatori di animali selvatici e dediti alla raccolta di bacche e piante che costituivano la loro alimentazione. Sempre in movimento, seguendo la crescita della vegetazione, in quanto potevano stare senza cibarsi di carne per giorni, ma non senza radici o bacche da cui traevano la preziosa acqua. I San hanno inventato il Braai, il barbecue tanto amato dai sudafricani e il metodo per seccare la carne…il biltong (che a me non fa impazzire). Le lingue khoisan sono particolarissime per la presenza delle cosiddette consonanti clic, prodotte facendo schioccare la lingua contro il palato o contro i denti, con diversi movimenti. Questi suoni insoliti vengono in genere trascritti usando simboli non alfabetici come punti esclamativi o barre verticali (“ǀ”). Sentirli è davvero strano! Se siete curiosi per avere un’idea provate ad ascoltare “The click song” di Miraim Makeba. I San sono stati chiamati dagli inglesi Bushman, termine erroneamente tradotto in Italiano, Boscimani. Nel Kalahari sono ormai pochissimi e quelli che restano in maggior parte “lavorano” nei Living Museums, i musei viventi, per far conoscere la loro cultura e le loro abitudini ai viaggiatori. Il nostro lodge volendo fare cosa gradita propone ogni mattina uno sprazzo di living museum organizzando una “passegiata con i San” che purtroppo però si sostanzia in una patetica pantomima con questi ragazzi che recitano per spiegare come era la vita del loro popolo. I contenuti e quello che raccontano è molto interessante ma sarebbe meglio se organizzassero una chiacchierata intorno al fuoco piuttosto di questo teatrino… https://photos.app.goo.gl/dLwaSd8eVDhfRlIN2 Dopo la passegiata facciamo colazione ed alle 9 partiamo in direzione deserto del Namib. Oggi dobbiamo fare circa 350 km il 90% dei quali su strada bianca, la maggior parte in buono stato anche se non mancano dei pezzi in cui si balla un bel po’ soprattutto nel tratto finale che non è poi così in buono stato. Oggi si comincia anche a respirare polvere a pieni polmoni … evviva!!! Lasciamo quindi il Lodge e ci immettiamo sulla D 1268 che seguiremo fino all’incrocio con la C20 dove giriamo a destra per riprendere la B1, superata Mariental di nuovo a destra per prendere la C19. La strada scorre abbastanza tranquilla tra qualche sosta, Silvia che fa ginnastica e noi che la prendiamo in giro. Arriviamo a Maltahoe dove ci fermiamo al supermercato. Maltahohe è un centro abbastanza grande (per gli standard namibiani), sono le 12.30 e siccome la scuola è appena finita i ragazzini sono tutti in giro, anzi sono tutti nello spiazzo dove ci fermiamo per cui, mentre Marco si occupa dei viveri per i prossimi giorni, io compro un po’ di lecca lecca e faccio amicizia. I più grandi parlano un po’ di inglese per cui riusciamo a comunicare e tra una parola e l’altra (quanti anni hai, come ti chiami, da dove vieni) si divertono come matti a farsi fare le foto e a riguardarle sulla macchina anche le mamme si mettono in posa: Per pranzo andiamo poco lontano al Maltahohe hotel che ci accoglie così Noi siamo clienti per cui possiamo andare in bagno gratis L’hotel è gestito da una famiglia di origine tedesca ed infatti si può scegliere tra wiener schnitzel o gulash (entrambi ottimi). Durante il pranzo Gianni (che tra l’altro ha anche il brevetto da pilota) chiede se è possibile durante il tour fare un giro in aereo o elicottero, io, anche se so già che staro male, mi accodo idem Anto e detto fatto con una telefonata prenotiamo per domani pomeriggio a Sesriem. Finiamo di mangiare in fretta perché abbiamo ancora un po’ di strada (non eccessivamente bella) da fare e per le 3 max 3.30 dobbiamo arrivare al lodge. Il paesaggio cambia continuamente e la strada peggiora sempre più https://lh3.googleusercontent.com/l-n-nc69p1lWFN9S08Ph- mbAGcTKns2vtCHc3yRXm6g_5lEj9Sd5jDrqkwMPnDzSj8siXvXCirgkKlMCw46b2zd22EZduqgBeZX323V9M81SDLBD3qazaxlRu8MBfKqro5i1PMqMKzVULbo3UuM-Q8gBoPSHZoayKp12skMbnUI-07kU4k5YgYQBp4ZSbsjoJ4vQijiclv3F_6Zj1etA2gHQfzDfwIDN2ju36uQspYIUQt7Ge4Ex0i-BTJSickwcnoIcuTquDmOH44D8k8UAJN8ynBxJAheQhzwu8UonAs2rVfJciEV4yedRjXkLldY7j1EyN_AJOMuOudSi3sX9BFs_4WdYkzPUJRGW9V8GwwnRarP5_YJyRlVs9Ues-WVqfJ-qbY_iuJIoJNBskMQAYrGZfIsWTRr-dUDCoh3K6Z2CXnPq1DfW93mPPxaIUj4DLOvvnP1SqNqLy43ec6_LGrKfu__-ngBr6f2whY57HTI8kDp_Zl3vVSiWkbrIEx14rXBqlCzcRh_LGxejkHSy4AihTOuze5WvqvgL6JHYwzqN6Dwqaxo9ozJjXb3CzZMMZ4LZQ-gq0Rzuu39Y1WO5mhBXZQqG_xDrwGzkbP7B9Maii1PvBxef=w1323-h882-no[/img] Riprendiamo la C19 e fatti un centinaio di km svoltiamo sulla D845 e infine sulla C27 dove in mezzo al nulla ecco Le Mirage Lodge. E’ proprio un miraggio dato che ha un’architettura assolutamente fuori contesto: una sorta di cittadella nel mezzo del deserto …Le camere sono molto belle e grandi ed il paesaggio intorno è da favola. (queste è la vista dal balcone della mia camera) Il deserto del Namib, arido da oltre 80 milioni di anni, si ritiene che sia uno dei deserti più antichi del mondo. Rappresenta una ecoregione di grandissimo interesse per geologi e biologi, con una fauna e una flora costituita in gran parte di specie endemiche altamente adattate a questo ambiente particolarmente ostile. Il territorio del Namib è in gran parte incluso in aree naturali protette, la più importante delle quali è il Namib-Naukluft National Park, che è quello in cui ci troviamo. Ci sistemiamo velocemente in camera ed alle 4 siamo pronti per il giro in quad bike tra le dune. Che dire se non che è stato spettacolare? 2 ore abbondanti nel deserto tra paesaggi mozzafiato che alternavano dune sabbiose e deserto pietroso e poi dopo aver lasciato i polmoni su una duna per arrivare in cima i colori del tramonto … https://photos.app.goo.gl/6l0spZbU7nIkgvQL2 Mi spiace solo che guidando non ho potuto fare troppe foto e la maggior parte le ho fatte col cell, ma va bene così: l’esperienza e l’emozione sono già abbastanza. Se ne avete la possibilità fatelo perchè ne vale davvero la pena!!!!! Dopo una doccia rigenerante per levarsi di dosso gli svariati strati di polvere accumulati nella giornata (se mi vedete abbronzata nelle foto non è vero, è la sabbia!) si cena alle 19.30. Il ristorante è quasi di lusso con cena di 5 portate di buona qualità, alla fine sembra notte fonda ma sono solo le 21 per cui ci concediamo un Amarula (una crema di liquore prodotta principalmente in Sudafrica a base di frutta selvatica e dal sapore di caramello leggermente fruttato, con una gradazione alcoolica di 17 gradi, che non si sentono, fatta con zucchero, panna e il frutto dell'albero denominato Marula, chiamato anche "Albero degli Elefanti" o "Albero del Matrimonio") seduti sotto le stelle cercando ancora la “Croce del sud” (che continuiamo a non vedere nonostante le millemila app sul telefono). Buonanotte!
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  22. 17 agosto Windhoek – Deserto del Kalahari Oggi si comincia a fare sul serio: colazione ed alle 8.00 si parte verso il deserto del Kalahari. Ci aspettano circa 250 km di cui buona parte, solo per oggi giusto per prendere confidenza, su strada asfaltata. Prendiamo quindi la B1 direzione Mariental e non appena lasciamo la città il panorama comincia a farsi affascinante piante e arbusti, sterpaglie gialle (siamo nella stagione secca), qua e là qualche albero e in lontananza le montagne. Facciamo pausa pipi, acquisto di generi di conforto e benzina a Rehoboth (che è l’ultimo distributore disponibile prima di lasciare la B1) dove mi si presenta una scena che mi ricorda tanto l’Italia : 2 lavorano …gli altri guardano … tutto il mondo è paese! Sosta dove passa il tropico del Capricorno con foto di rito E poi giriamo a sinistra sulla C21 iniziando a percorrere i circa 40 km di sterrato, direi in ottimo stato, che ci porteranno al Lodge. Non appena lasciata la strada principale il rosso che si vedeva accennato tra le steppe diventa preponderante e cominciano a fare la loro comparsa, in maniera sempre più massiccia termitai e nidi di social birds. Ma andiamo con ordine: Il Kalahari è il quarto deserto al mondo per estensione (circa 520.000 kmq), situato a cavallo del Tropico del Capricorno è un deserto semi-arido che si estende su un altopiano nei territori di Botswana, Namibia e Sud Africa. Dal punto di vista geologico la definizione di deserto per il Kalahari è impropria perché in realtà è un gigantesco deposito di sabbia, generato dall’erosione della superficie rocciosa avvenuta lungo un periodo di oltre 10 milioni di anni. I geologi definiscono il deserto del Kalahari la più vasta estensione senza interruzione di sabbia del mondo. Cosa sono i termitai lo sapete immagino … quello che colpisce è che qui sono alti dal metro in su … Il social bird, in italiano tessitore sociale o passero repubblicano (Philetairus socius), è un piccolo uccello diffuso in Africa meridionale che raccoglie e intreccia erba per costruire nidi giganteschi - fino a sei metri di larghezza e più di una tonnellata di peso - che possono ospitare fino a 500 individui. Ciascun nido è diviso in camere separate dove "famiglie allargate" di tessitori trovano riparo e si accoppiano: Ci fermiamo diverse volte e dopo aver percorso gli ultimi 10 km sulla D1268 verso mezzogiorno arriviamo al Lodge che è davvero molto bello, le stanze sono delle casette in mezzo al bush è tutto abbastanza basic ma il posto è bellissimo ed intorno non c’è nulla se non qualche Acacia e sabbia: Ci sistemiamo velocemente in camera, pranzo e alle 15.30 appuntamento per il nostro primo safari. Nell’attesa faccio una lunga chiacchierata con i ragazzi del lodge che sono affascianti dall’Italia e da come funzionano le lingue nel nostro paese: uso dei dialetti e dell’Italiano. Ci restano un po’ male quando gli dico che no, trovare lavoro in Italia, per loro e per noi, non è così facile come pensano. Mi spiegano meglio (Marco ce lo aveva accennato ieri sera) come funziona l’organizzazione dei villaggi ed i rapporti tra le varie etnie: In Namibia ci sono almeno 11 principali gruppi etnici che comprendono cacciatori, raccoglitori, abitanti delle campagne e delle città, ed è ancora forte la rappresentanza tedesca e sudafricana. Il gruppo più cospicuo è quello degli Owambo, che vivono soprattutto nel nord. Altre tribù importanti sono i kavango, gli Herero, i Damara, i Nama e i Basters. Loro per esempio sono Herero. La maggior parte degli abitanti vive in zone rurali e la sua vita è strettamente legata al proprio luogo di origine anche se per una ragione o per l’altra ad un certo punto tutti convergono verso la capitale (“La famiglia al villaggio, gli affari nella capitale!” Mi dicono); i villaggi sono aggregati in base alle famiglie o ai clan e sono diretti da un capo detto “Elenga”. Questo capo villaggio si occupa degli affari locali e dirime le dispute legate all’amministrazione delle terre comuni. L’Elenga risponde a sua volta a un capo più anziano che rappresenta un distretto comprendente decine di villaggi. Questo sistema funziona parallelamente all’amministrazione regionale, collegando la tradizione alla divisione amministrativa moderna. La cosa che mi colpisce di più è quando mi spiegano che per loro è molto difficile, quasi impossibile cambiare la loro condizione sociale anche perché potere studiare non è così facile né così scontato. Mi spiegano inoltre che sono estremamente legati ai retaggi familiari, tribali e di clan per cui se uno è così fortunato da avere successo deve farsi carico della famiglia e del clan. Stiamo ancora parlando quando arrivano i ranger con le jeep per cui saluto i miei nuovi amici e ci lanciamo su è giù per le dune rosse della riserva… facendo conoscenza con l’Acacia: Gli alberi di Acacia Erioloba possono essere alti fino a 17 metri, crescono molto lentamente, ma sono estremamente resistenti alla siccità e al gelo per questo è adattata agli ambienti aridi e sabbiosi e la si trova in gran parte della Namibia (incluso il deserto del Namib) e nel Kalahari. Il tronco è rosso-marrone all’interno, giallo all’esterno e molto duro. I rami più giovani sono di colore più chiaro, e hanno una caratteristica forma a zig-zag, con una coppia di spine bianche di circa 5 cm in corrispondenza di ogni gomito (e vi giuro che se vi beccano il braccio mentre la jeep passa a tutta velocità fanno veramente male!). Neanche il tempo di partire che io sono in estasi… non tanto per gli animali (beh si anche per quello) quanto per il paesaggio di cui mi innamoro perdutamente: Il pomeriggio è comunque fruttuoso anche per gli avvistamenti: Impala, Kudu, Springbok, Orici, Bufali qualche Zebra …: Addirittura il Suricane ed il Formichiere (che a quanto pare non sono particolarmente facili da vedere): qualche uccello (nomi per me assolutamente sconosciuti!): Senza contare LEI SUA MAESTA' la vecchia leonessa che è ospitata nella riserva e che, poverina, mi fa un po’ pena dato che il ranger ci spiega che è entrata in depressione, tanto che quasi non caccia neanche più, quando è morto il compagno ma che non possono sostituirlo perché non lo accetterebbe. Comunque vecchia e depressa o no… ma quanto è bella??? Terminiamo il pomeriggio godendoci il tramonto con un aperitivo sulle dune e poi torniamo alla base. Ora che il sole se ne è andato comincia a fare un freddo becco, saremo intorno ai 3-4 gradi, e non ci aiuta la prospettiva di cenare nel patio praticamente all’aperto … Assaggio per la prima volta la bistecca di Orix e mi piace ma nemmeno la birra riesce a scaldarmi… finito di cenare ci sediamo a chiaccherare attorno al fuoco (le camere non hanno riscaldamento per cui temiamo il momento in cui dovremo spogliarci) e tra una risata ed una battuta guardando lo spettacolo meraviglioso del cielo e cercando la Croce del Sud (trovarla diventerà la nostra sfida e missione), che ovviamente non riusciamo a vedere, comincio a rivalutare i compagni di viaggio, compresa “tacco 12” che ha le sneakers col tacco interno alla Berlusca perché dice che senza tacchi non sa stare, ma ha levato la minigonna, sa accettare le prese in giro e fa anche morir dal ridere per quanto è spontanea nel dire senza filtri tutto quello che le passa per la testa (contenti amanti del happy ending?). La strana coppia, Gianni (78 anni portati alla grandissima) e Raffaella sono di una simpatia travolgente e le battute al povero Marco, che tra l’altro si rovina con le sue mani rivelando di essere “un tipo da relazioni serie, ma per massimo tre anni e mezzo”, si sprecano. Alle 9.30 ci diamo la buona notte ma il cielo è davvero troppo bello per non provare a fotografarlo per cui me ne frego del freddo e mi dedico alla mia prima sperimentazione in notturna. Se il buongiorno si vede dal mattino so già che questo viaggio sarà meraviglioso oltre ogni mia aspettativa: quella del deserto del Kalahari è una regione magica, fatta di colori, silenzi e grandi spazi dove la presenza umana è quasi inesistente.
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  23. 16 agosto JSB-Windhoek Atterriamo alle 10.30 in perfetto orario a Windhoek (aeroporto minuscolo dove sia imbarco che sbarco si fanno a piedi, se avete presente Charleroi una decina di anni fa… ecco uguale!) foto segnaletica per l’ingresso nel paese e poi altra fila per il controllo passaporti che per fortuna scorre abbastanza velocemente. Miracolosamente la mia valigia arriva sul nastro tra le prime (non ci speravo) e all’uscita ci aspetta Marco che sarà la nostra guida. A questo punto non posso più nascondermi e mi tocca presentarmi e conoscere il resto del gruppo: una famiglia di Bologna (padre, madre e figlio 18enne), la “strana coppia” nipote e zio ferraresi che han viaggiato in business (‘tacci loro!), Maria Antonietta - la sig.ra che avevo accanto in aereo - che è di Lainate e responsabile commerciale per un’azienda che vende tubi e poi lei: “tacco 12” che si chiama Silvia, è di Brescia e che nel giro di 10 minuti ci racconta praticamente tutta la sua vita: separata da meno di un anno, 3 figli ha girato mezzo mondo e beata lei ha smesso di lavorare per fare la mamma, ora i figli sono con il padre per cui lei si fa la vacanza… Le maledizioni nella mia testa continuano a crescere … approfitto del fatto che gli altri siano a cambiare i soldi per fare due chiacchere con Marco (bel ragazzo, almeno questo) romano ma trapiantato a Riga da tre anni, molto simpatico … l’umore migliora un po’… Intorno alle 12.30 siamo in hotel dove ovviamente le stanze non sono pronte ed in pieno stile africano (ma è l’Hilton eh!) han fatto un mezzo casino ossia l’elenco che hanno loro non corrisponde alla realtà (e per fortuna che gli risultano stanze in più e non in meno!). Nell’attesa anziché stare fermi lì Marco propone un giro in centro con sosta al supermercato. Io che sono assolutamente poco di compagnia avrei preferito avere il “pomeriggio” libero come in teoria era previsto nel programma ma non posso esimermi per cui, sempre mugugnando (tranquilli vi anticipo che poi smetterò di lamentarmi) mi aggrego. Giusto perché immagino ve lo stiate chiedendo: non avendo camere “tacco 12” è venuta in giro in minigonna e tacchi senza alcuna difficoltà … ok per la gonna perché faceva un caldo tremendo … ma ancora mi chiedo come cavolo faccia a camminare spedita (l’ho vista anche correre, giuro!!!) su quei sandali (lei dice che sono comodissimi …). L’hotel è a ridosso della zona commerciale/pedonale in pieno centro, se di centro a Windhoek si può parlare. La città è moderna e assolutamente poco africana con ben poche attrattive. Prendiamo Indipendence av. dove c’è un Craft Market alla nostra sinistra ed una serie di negozi di souvenir a destra, costeggiamo lo Zoo Park, parco cittadino dove gli impiegati della zona fanno pausa pranzo, e poi giriamo in Post st Mall, una via pedonale con bancarelle di oggetti africani al cui termine c’è un centro commerciale. Espletata la missione adattatori (io ne ho approfittato per studiare il supermercato che è un posto dove mi piace andare ovunque mi trovi perché secondo me da molto l’idea delle abitudini e dello stile di vita di un posto) torniamo indietro e Marco propone di fermarci a pranzare da Ocean’s basket che per fortuna è il posto che avevo già adocchiato prima di partire avendolo già provato in Sud africa. Piatto di prawns & calamari con patatine e coca molto buono alla cifra irrisoria di 140 babbei (9 euro). Il pranzo va via veloce senza imbarazzi e cominciamo a prendere un po’ confidenza (e già si capisce che la moglie/mamma della famiglia felice è un po’ una rompicoglioni), sono ancora abbastanza perplessa sui compagni di viaggio ma mi dico che possono solo migliorare! Sazi e soddisfatti riprendiamo la passeggiata e ci dirigiamo alla Christuskirche, simbolo non ufficiale della città che sorge su un’isola pedonale da cui domina il centro. Lo stile della facciata è un misto tra gotico e art nouveau che nelle forme da casetta di marzapane richiama il Parc Guell …insomma una cosa strana che comunque non è poi così brutta come sembrerebbe dalla descrizione: La cosa veramente brutta è l’Indipendence Memorial Museum che si trova lì a fianco: Non siamo entrati quindi non posso esprimermi sulle collezioni, ma architettonicamente è veramente un pugno in un occhio! Completiamo la passeggiata passando davanti alla vecchia fortezza (Alte Feste) che oggi ospita un’ala del Museo Nazionale della Namibia e che è il più antico edificio della città e poi riscendiamo verso l’Hotel. Finalmente le stanze sono pronte (stanza esageratamente grande e qui scoprirò che in Namibia non si usano le porte tra camera e bagno) ed io sono talmente stanca che non ho la forza di fare una passeggiata aggiuntiva ma crollo in stato semicomatoso fino alle 17.30, tramonto al bar del hotel sul tetto briefing con Marco, cena (che culo becchiamo la serata pseudo italiana, belah!) e poi 10 ore di sonno filato.
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