Domenica 22 giugno 2014
Ultimo risveglio africano, ce la prendiamo insolitamente comoda, un po’ perché oggi è una giornata per così dire di decompressione, un po’ perché il meteo non promette benissimo. Anche oggi scopro che la mia singola è stata indebitamente occupata da un coinquilino
Alle 7.44 esco dal blocco che ospita le camere e attraverso il giardino pensando che sì, in effetti il cielo è bigio ma potrebbe andar peggio … potrebbe piovere Gli dei ci ascoltano, l’ho già detto, si? Alle 7.45 ho appena posato il piedino sulla soglia della reception/sala colazione che le cateratte del cielo si aprono, e intravedo i contorni tremolanti dei miei compagni di viaggio fermi sulla porta delle rispettive camere attraverso quello che posso definire solo come un fiume che scorre in verticale … dopo un po’, affamati e stanchi di aspettare, si armano di ombrello e mi raggiungono, insieme a uno sconfortato Robert. Oggi abbiamo in programma una visita a Ngamba Island, sul Lake Victoria, minuscola riserva che ospita un centro di recupero per gli scimpanzè orfani, feriti, malati provenienti da tutta l’Uganda.
Siamo stati indecisi a lungo su come riempire queste ultime ore africane, e alla fine abbiamo optato per una gita tranquilla sia pensando – con ragione – che dopo una dozzina di giornate relativamente impegnative e sistemazioni anche spartane saremmo stati un po’ stanchi, sia per non esagerare con i chilometri e l’impegno fisico in previsione dell’alzataccia di stanotte: il volo per Il Cairo è alle 4.15, vuol dire che possiamo dormire fino all’una e poco più …
Indovinate? Ngamba Island è … un’isola, lo avreste mai detto? E quindi si raggiunge in barca, e quindi sotto il fortunale magari non è una buona idea e quindi … proviamo ad aspettare un po’, il tempo da queste parti cambia rapidamente. Beh, rapidamente non tanto, comunque nel giro di un paio d’ore la pioggia scema fino a ridursi a poche gocce, noi siamo già all’imbarcadero – non lontano dalla guest house - da un po’ e alla fine i marinai decidono di azzardarsi a partire. Saliamo con un altro paio di persone su una barchetta che ha visto tempi migliori, e coperta alla bell’e meglio la struttura portante con una tela cerata e noi con un giubbotto di salvataggio che non salverebbe nemmeno un delfino e in più è di un colore che non mi dona per nulla , e una serie di cerate rappezzate “perché potrebbe arrivarvi qualche goccia” si parte.
Io sono una specie di struzzo e il mio stomaco non fa una piega, ma la movimentata traversata, che dura quasi un paio d’ore, mette a durissima prova Ale e Sabrina, che oltre a trovarsi fradici (qualche goccia, certo: ma ciascuna delle dimensioni di un elefante) soffrono tantissimo il mare grosso … si, cioè il lago grosso, dai. Le onde sono alte, sono tante, e sono africane: totalmente indisciplinate, ciascuna va per conto suo e colpisce da un lato diverso.
Finalmente attracchiamo sull’isola, grande quanto un fazzoletto, e per prima cosa i due sofferenti si spalmano sull’erba a pelle di leone e si autodichiarano clinicamente morti In attesa della probabile resurrezione, me ne vado a far pipì e ad ammirare un po’ di fauna.
Una volta recuperati i moribondi ci dirigiamo verso la recinzione che divide l'isola a metà, separando la parte riservata agli scimpanzè da quella a cui possono accedere i visitatori … questa volta la gita mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, non lo nascondo. Mi rendo conto che gli animali che vivono qui non avrebbero potuto cavarsela in natura per i più svariati motivi, che sono rispettati ed accuditi al meglio, che non possono essere reintrodotti nel loro ambiente naturale perché non sono in grado di fare da soli, ma sono diventati antipatici, cattivi e viziati – e non gli posso dare torto – e soprattutto … non sono più capace di guardare un animale in gabbia, anche se è una gabbia virtuale come in questo caso, creata per proteggerli e non per rinchiuderli.
Dopo tanti giorni passati a guardare negli occhi la libertà, non ce la faccio a razionalizzare le sbarre … e me ne vado rapidamente verso la barca, seguita quasi subito dai miei compagni, che condividono le stesse sensazioni.
Nel frattempo il cielo si sta aprendo, il lago si è calmato e la traversata di ritorno perde i contorni da incubo che temevamo avrebbe avuto, è molto più veloce e ci riconsegna alla terraferma addirittura affamati. Abbiamo un pomeriggio da riempire, e Robert ci suggerisce un giro al Giardino Botanico di Entebbe, avvertendoci però che è a pagamento. Decidiamo che possiamo permetterci di sostenere una spesa di due euro a testa, e persino di pranzare in riva al lago a fish&chips e cocacola
Il pomeriggio passa pigro, il clima da fine vacanza si fa sentire, molle e sonnacchioso … torniamo alla guest house, salutiamo Robert con un piccolo regalo, gli lasciamo le scarpe da ginnastica che per noi sono vecchie ma qui faranno molto felice qualcuno, e con un pizzico di malinconia gli auguriamo buona strada … ci godiamo l’ultimo magico tramonto equatoriale, la cena buonissima e ce ne andiamo a riposare per qualche ora.
La sveglia suona inesorabile all’una e un quarto, alle due siamo già in aeroporto e … che bella sorpresa, il nostro volo è l’unico in ritardo Di un’ora E abbiamo un’ora e quaranta per la coincidenza … vabbé, siamo ancora in Africa: hakuna matata, ci metterano sul Cairo-Malpensa del pomeriggio e amen. Ok, domani devo andare in ufficio ma tanto sono abituati, dormo comunque
In volo sull’aereo più scassone delle galassie! il mio tavolino non si riesce a fissare bene e mi sveglia di soprassalto con un amichevole SBONK ogni volta che mi appisolo, tanto che alla fine perfeziono una tecnica spettacolare per dormire con un occhio aperto e una mano tesa a puntellare l’infernale pezzo di plastica . Chiediamo alla hostess – brutta come l’orco e aggraziata come un facocero - a gesti e mostrandole i nostri biglietti CAI-MXP se secondo lei abbiamo qualche speranza … ci guarda stranita e ci fa capire che certo, non c’è problema, per un po’ di ritardo, ma via, ma certo che ce la facciamo, ma che domande!
Stranamente non siamo per nulla rassicurati ma che ci possiamo fare? Atterriamo alle 10, la coincidenza è alle 10.40 e l’aeroporto del Cairo è più grande del Cairo, il bus fa il giro dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno e finalmente ci scarica al terminal. Immaginate cinque pazzi conciati come se fossero appena usciti dalle foreste dell’Uganda con sulle spalle lo zaino ottochilidueettiesemelopesanoadessoliuccido che corrono come se non ci fosse un domani verso i transiti, travolgono senza pietà passeggini, vecchiette, storpi e mamme in attesa, arrivano ai gate e inchiodano di colpo tamponandosi l’un l’altro
Ci guardiamo un secondo, guardiamo Riccardo, lo scaraventiamo nella fila per Fiumicino senza quasi dirgli ciao e ricominciamo a correre come pazzi, scavalchiamo la gente in fila per i controlli (si, al Cairo ci sono anche prima della sala di imbarco), passiamo sul corpo di innumerevoli vittime, arriviamo al gate e … devono ancora iniziare le procedure, il volo è in ritardo di un’ora
Alle due del pomeriggio o poco più, la navetta del JetPark di Somma Lombardo ci raccoglie in stato confusionale, il mio cellulare esplode per i whatsapp delle mie amiche che si scambiano informazioni sul volo, di “eccoli, eccoli, sono atterrati” e di un meraviglioso “sarebbe bello vederla uscire dall’aeroporto con ancora l’Africa negli occhi” della mia Stefi che mi commuove un sacco … e poi via verso Verona e Cesena.
Pronta a svenire nel letto di casa dopo 36 ore sveglia, mi trovo a tracciare il bilancio iniziale … questa mia prima Africa nera non può essere l’ultima, mi ha rubato il cuore e mi ha portato via un pezzo di anima, rendendomela poi più grande e più felice … è stata un’emozione, una gioia, una nostalgia profonda e primordiale di qualcosa che non sapevo di avere dentro, un’intensa, autentica, viva felicità. Unico rimpianto: la saponetta. Fotografare mi è sempre piaciuto, ma non ho mai pensato di farlo seriamente … finché non ho guardato negli occhi il mio primo leone, e mi sono resa conto che il ritratto che ne stavo portando a casa non gli avrebbe reso giustizia, né l'avrebbe resa ai miei ricordi.
Per tornare dalla settimana nel deserto marocchino qualche mese fa ci ho messo parecchio tempo, il solco che mi ha lasciato è diverso e forse più profondo, dall’Uganda sono tornata ‘a casa’ immediatamente, ho ritrovato subito il piacere di sentire chi mi è caro, non ho sentito lo stesso bisogno di solitudine e la stessa fatica di tornare io. È un mal d’Africa diverso, meno prepotente, sicuramente più dolce … riviverlo scrivendo questo diario mi ha portato nuove emozioni, nuovi colori e nuovi profumi … grazie per avermi accompagnata in questo mio viaggio dentro il viaggio. E via verso il prossimo!