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alberto tao

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Tutti i contenuti di alberto tao

  1. e' quello che abbiamo mangiato e non capito che cosa fosse a creare un blocco non indifferente, anche perchè ci siamo trovati tutti e tre a guardarci increduli e scombussolati non sapendo se sputare , come hanno fatto Nur e Cele o inghiottire con angoscia, come ho fatto io, quasi senza sapere il futuro che mi poteva attendere... e ti dico che ne ho vissute anche di molto ma molto peggio, ma così no, come preoccupato immedesimando quello che avevamo passato in camera con quella che poteva essere la cucina e il gusto viscido, amaro e disarmante che mi saliva dallo stomaco. davvero inusuale per dirla educatamente e SCHIFOSO!!!!!!! per dirla come stava
  2. vi invito al leggere con attenzione in particolare più giù Riusciamo in pochi minuti a sistemare tutto e prelevo il dovuto. Bene. Partiamo per Yavello e mi viene male a pensare a quello che ci potrebbe aspettare. Ora la strada è asfaltata, perfettamente dritta, tenuta bene, probabilmente con la manutenzione dei soliti cinesi. Stiamo entrando nel territorio dei Borana, etnia mussulmana. I Borana o “il popolo dell’aurora” (boru è traducibile in italiano con “aurora”) è una popolazione, appartenente al vasto gruppo degli Oromo, che vive al confine tra l’Etiopia meridionale (Oromia) e il Kenya settentrionale. La loro lingua (afaani Boraana) è un dialetto dell’Oromo e fa parte delle lingue cuscitiche. Popolo seminomade – a seconda delle fonti vi sarebbero tra i 100 e i 500 mila individui – sono tradizionalmente allevatori di zebù, vacche, cammelli, capre e pecore. Vivono in piccole capanne di argilla e fango la cui intelaiatura di canne è facilmente smontabile per essere trasportata durante i lunghi periodi di transumanza. Si considerano il popolo più antico e fiero del gruppo Oromo, quello che non è inquinato dalla modernità:“ Oggi siamo pastori e domani saremo sempre pastori. L’agricoltura è un’invasione” così infatti ha recentemente dichiarato Murku, l’attuale capo Borana. I Borana hanno incuriosito gli antropologi a causa di una loro particolare sistema politico, economico e sociale, conosciuto come Gadaa, basato su classi d’età. Ma quello che colpisce è la loro incredibile abilità idraulica che permette loro di scavare, nelle aride distese dell’Oromia, pozzi a gradoni profondi fino a 30 metri. Sono pozzi secolari, scavati a mano nella roccia con una fatica immane, che consentono però la sopravvivenza di loro stessi e del loro bestiame durante i lunghi periodi di siccità. Ed una regola non scritta stabilisce che a nessuno possa essere vietato l’accesso al pozzo. Lungo la strada ci colpiscono le donne che incontriamo. Sono molto alte e tutte vestite elegantemente nei loro Di tanto in tanto qualche blocco di polizia rallenta il nostro passaggio. Attraversiamo piccoli villaggi con case e capanna colorate. Incrociamo e fotografiamo una mandria di dromedari e tantissimi termitai di terra rossa e tendenzialmente di forma fallica. costumi coloratissimi Lungo la strada qualche persona, ma occidentali praticamente zero. Ora ammirati davvero guardiamo le donne passare e sembra una sfilata di moda tanto sono sgargianti le tinte dei vestiti. Bellissimo ed inaspettato. Arriviamo in albergo, all’Hotel Yavello, alle 13 in punto. La grande entrata, il verde del grande giardino e le dimensioni mi rasserenano a dispetto delle pessime referenze del posto e delle ancor peggiori indicazioni raccolte in rete. Caspita, mi sembra quasi bello. Scendiamo dall’auto con i bagagli e ci avvisano immediatamente che è in corso proprio nel giardino una riunione tra importanti personaggi politici locali e membri della polizia. E’ un summit ed è anche per questo allora che c’erano tutti quei blocchi lungo la strada!!!! In effetti basta buttare un occhio e ci rendiamo conto che mezzo esercito circonda il piccolo complesso alberghiero e controlla anche i lati del giardino dove si affacciano le camere. Diversi militari sono seduti con fucile in braccio. Ma allora, dai! Allora forse la cosa è meno brutta di quella tanto ipotizzata nella mente! Ma tra le piante ed i fiori alberi, tra il tanto verde, il giardino presenta comunque anche tanta sporcizia: abbandonata. La security non condiziona comunque la nostra presenza. Lo sporco condiziona molto di più la nostra vista ed il nostro stomaco. Facciamo il check-in subito sperando in questo modo, a quest’ora, di poter disporre di una camera accettabile. Ci danno la n°46 e Nur ci conferma che dovrebbe essere tra le migliori disponibili. Entriamo ed il primo impatto non è poi così terribile, ma……. il secondo impatto avalla tutte le nostre preoccupazioni, che diventano realtà con il passare dei minuti: le spine sono tutte storte e se si toccano o si vogliono usare si staccano dal muro penzolando e lasciando scoperti i fili; c’è la TV (cosa che non mi interessa un ciufolino), ma anche in questo caso non funziona ed i fili sono sciolti lungo la parete, spezzati; le applique sui muri sono ancora imballate, con la plastica intorno, chiediamo “lumi” sul funzionamento e ci avvertono che sono solo di bellezza; le crepe sul muro non si contano; ci sono due letti separati e sporchi, tanto sporchi. Quello a destra dove si è messa Cele è ancora ancora passabile. Quello mio non è valutabile: non ci sono materassi e ci si deve appoggiare (dormire non mi sembra un termine appropriato in questa circostanza) praticamente sulla tavola di legno, sulla quale sono appoggiate lenzuola e coperte da incubo. La porta finestra per entrare ha il vetro rotto e bisogna prestare attenzione che non ci cada addosso se muoviamo la porta con energia; la tenda che ci dovrebbe riparare dalle occhiate minacciose del militare davanti è sporca e fatiscente; il tappeto per terra, quello tra i due letti è peggio, se possibile, di quello che c’era a Ende quest’estate e fa la stessa fine per evitare contagi al solo calpestarlo per sbaglio. Lo riempiamo di biokill e lo lancio nell’angolo più impossibile sotto il letto….dove non guardo neppure per non alimentare il panico che mi sta prendendo. Ne ho viste tante e non solo da militare…… ma mi trovo costretto a svuotare il biokill in tutti i possibili posti della stanza. Siamo consci che come minimo la micosi è garantita. Ovvio che a guardar bene anche gli asciugamani sono belli sporchi ed allora li usiamo esclusivamente come tappeto per entrare ed uscire dal bagno. Per fortuna e grazie alle valutazioni recensite abbiamo, apposta per questo albergo, portato il sacco lenzuolo, asciugamani nostri e carta igienica. Con un ulteriore immediato sopralluogo ci accorgiamo che il lavandino è scollato; e per poco non cade addosso a Cele. Preoccupato, ma la necessità fa virtù, entro in bagno anche io e mi accingo a provare a fare una doccia. Coraggioso. L’'acqua è fredda, ma questo non è un problema. Magari; il piatto doccia dove sono in piedi si sta rompendo, è tutto ballerino, scollato anche questo e mi sembra di poter precipitare sotto, in un potenziale buco che appare dalla fessura tra i miei piedi se si stacca del tutto!!!! La puzza di fogna che proviene dalla tazza appena si tira l’acqua crea già dei marasmi ad entrambi. Ecco in queste splendide condizioni andiamo a pranzo, in questo magico e candido hotel, qui sotto il portico. Il tavolo scricchiola, la tovaglia bianco-grigio è spiegazzata, no, stropicciata come fosse stato fatto apposta e ci sono alcuni buchi, probabilmente conseguenza di qualche sigaretta. I piatti sono tutti sbeccati e le posate….non lo so. Mi voglio fidare. E’ abbastanza scontato che non ci sia alcun menù. O meglio. C’è un’unica opzione, che consiste in un mattoncino (anche nella forma) di riso in bianco, in un piatto di verdura cotta ed in un piatto di carne non commestibile. Ancora più dura di quella di ieri. Ci consoliamo con acqua e caffè, ma anche questo non è buono. Abili ed arruolati si diceva. Ed allora ci diamo dentro mangiando tanto pane e riso e acqua. Anche Nur è sconcertato, sia da quanto gli raccontiamo sulle condizioni della camera, sia su quello che sta toccando con mano. Anche lui non riesce a mangiare nulla e credo sia abituato molto più di noi a simili situazioni. Non moriamo di fame. Nur si alza con la sua immancabile flemma e prende in disparte a colloquio il coordinatore del ristorante; gli dice chiaramente che questa sera vogliamo una cena, vogliamo qualche cosa di mangiabile. Gli chiede chiaramente del pollo. Ci offrono due alternative; scegliamo il pollo in cotoletta piuttosto che uno spezzatino di pollo. Qui lo spezzatino di pollo mi lascia aperti molti interrogativi sulla sua natura e preparazione. Non sappiamo come, ma cerchiamo un breve riposo. E’ un tentativo, ma più che altro sistemiamo il sistemabile. Alle 14:30 partiamo per scendere ancora più a sud, verso il confine con il Kenia e per visitare i Pozzi Cantanti; sono a circa 60 km di distanza percorrendo una strada tra l'altro molto bella. Magari le avessimo trovate in queste condizioni nei giorni passati. Questi pozzi vengono chiamati “pozzi cantanti” perché il lavoro dei pastori più giovani che si dispongono a formare catene umane di 5- 10 persone per scendere giù nei pozzi e portare l’acqua in superficie, richiede sia resistenza fisica. ma anche un ottimo coordinamento che si mantiene dandosi il tempo appunto cantando in modo ritmico. Nel 2010 Paolo Barbieri e Riccardo Russo hanno girato in Etiopia un documentario The Well – Voci d’Acqua dall’Etiopia, che ha partecipato a 80 festival in giro per il mondo e ottenuto 22 premi internazionali. Il documentario segue le vicende che ruotano attorno alle attività degli antichi pozzi di Erder nel corso di una lunga stagione secca fino all’arrivo delle tanto attese piogge I “pozzi cantanti” sono per la precisione delle “ellas”, cioè strutture tradizionali scavate secoli fa dai “Suftu”, un popolo il cui nome significava “Sapore di acqua”, poi utilizzati anche dagli Ormo, attualmente abitanti del Kenya, e infine dai Borana insediatisi nella zona oltre 400 anni fa. I pozzi costituiscono delle riserve permanenti, cioè anche se il livello d’acqua diminuisce durante la stagione secca, ne rimane comunque una certa quantità per approvvigionare gli animali. I pozzi sono molto profondi, fino a 20 metri: per questo motivo, i Borana anni or sono scavarono al loro interno delle rampe, sorta di passaggi che digradano progressivamente in modo tale che gli animali possano scendere di alcuni metri fino agli abbeveratoi. Quest’ultimi vengono riempiti d’acqua grazie a un ingente sforzo umano. Nei metri che separano l’acqua dagli abbeveratoi, viene trasportata di mano in mano tramite secchi da giovani della tribù borana: i secchi sono posizionati in piedi su diversi livelli, rappresentati o da una sorta di scala o da bastoni messi per lungo. Il primo giovane di questa sorta di catena umana si trova nel punto più basso del pozzo: raccolto un secchio d’acqua, lo passa al compagno che gli è vicino e così fino all’ultimo ragazzo, il quale svuota il secchio nel serbatoio dal quale l’acqua fluisce poi negli abbeveratoi. I secchi sono in numero pari alle persone impegnate all’interno del pozzo: in realtà si tratta di jeriche tagliate in due, capaci di contenere quindi fino a 10 litri. Ogni volta due ragazzi della catena umana si passano contemporaneamente un secchio vuoto e uno pieno. Per svolgere questo tipo di lavoro, che impiega dalle 5 alle 10 persone per pozzo, occorre una buona resistenza fisica e anche un ottimo coordinamento che si mantiene dandosi il tempo cantando in modo ritmico. Ogni “ella” è di proprietà di uno specifico clan Borana: ad esse possono accedere non solo i membri del clan, ma anche quelli di altri clan, e perfino pastori non appartenenti al gruppo Borana, rispettando però determinati diritti di precedenza, calcolati su un periodo di tre giorni, e di vicinanza di clan. L’accesso alle “ellas” viene deciso a livello di clan, il quale quindi assegna alla propria “ella” un certo numero di animali e ne pianifica l’accesso in base alle richieste che pervengono. Al pastore che conduce le proprie mandrie nella “ella” non è richiesto alcun pagamento in denaro ma in futuro egli si ricorderà di ricompensare con dei doni il proprietario della “ella” e il suo clan. Ogni “ella” è gestita infatti da un proprietario e da un manager: quest’ultimo è scelto dal clan e ha soprattutto il compito di tenere pulito il pozzo, mentre il primo è un compito che si trasmette in via ereditaria; il clan però, se il pozzo è mal gestito, può decidere di rimuovere dalla carica il proprietario. Conoscendo il numero di animali che trarranno vantaggio dal pozzo, il clan pianifica anche il numero di persone che saranno addette alla catena umana per raccogliere l’acqua: ogni famiglia che quel giorno porterà le proprie vacche a bere, deve scegliere al suo interno almeno un giovane che svolgerà tale compito. Se non può fornire un uomo, allora anche una donna può essere deputata, ma se nemmeno questo è possibile allora la famiglia chiederà in prestito ai vicini la manodopera di un giovane. Il sistema funziona da secoli e conferma le buone capacità di gestione delle risorse idriche tipiche dei Borana,molto preziose nei periodi, come quello attuale, di siccità. Noi occidentali consideriamo queste popolazioni sottosviluppate, ma, vivendoci a stretto contatto e osservando il loro sistema, ci siamo accorti che a volte dovremmo essere noi a dover imparare qualcosa. Noi che rischiamo di privatizzare un bene comune necessario come l’acqua, abbiamo bisogno di sapere che esistono popolazioni pastorali che, invece, come in questo caso, riescono a garantirlo a tutti, persino al loro nemico Incrociamo lungo la strada tanti camion che provengono dal Kenya e che devono trasportare probabilmente ricambi ed essere sdoganati. Molti sono fermi sui lati ed attendono. Il paesaggio è sempre molto bello; capanne e casette colorate ovunque. Non fa caldo, il clima è ottimale; arriviamo a Dubuluk; entriamo nel villaggio dove però non incontriamo nessuno. Finalmente qualcuno sbuca da una porta. Nur chiede la strada per i Pozzi e se sono in questo momento operativi, cioè se ci sono alcune persone che stanno lavorando per tirare su l'acqua. Ne siamo abbastanza certi: non sono quelli di una volta… Nur e Mule confabulano con un ragazzo, questo si attacca aggrappandosi dietro la Toyota e ci indica come raggiungere uno di questi pozzi. Corriamo piano nel nulla, in mezzo ai campi: incrociamo bambine, donne, animali e affianchiamo alcuni pozzi che a noi sembrano abbandonati o secchi. Ci fermiamo ed ora la nostra guida parla con un vecchio con la barba rossa: tra di loro, il giovane ed il vecchio si organizzano e ci portano verso un pozzo Due altri ragazzi tirano su i secchi e mostrare come funziona Anche per l'abbeveraggio degli animali arriva come in un film, perfetta, una piccola mandria di capre. Mi sembra tutto molto finto, ma è tutto attualmente molto vero perché poi è quello che succede davvero quando la siccità incombe e c'è la necessità di recuperare l'acqua in profondità . Comunque al di là di tutto ed anche dello splendido paesaggio questa “forzatura” mi lascia un po’ perplesso, più che deluso. Ripartiamo mentre cadono alcune gocce di pioggia e davanti in fondo si staglia nel cielo un doppio arcobaleno. Alle 18 siamo di nuovo in quello che è ufficialmente un albergo, dove siamo costretti a sopravvivere.. Mamma ora con il buio c’è ancora più tristezza. Cele ha un attacco di mal di pancia, forse solo al pensare alla situazione. Andiamo nel giardino, anche carino dai, per sistemare un po' le nostre cose e leggo un po' il libro e mi bevo una birra. Chiediamo snack o qualsiasi cosa. Il ragazzo ci avvisa che non c’è nulla. Poi gentilmente si precipita al market vicino correndo e poi torna avvisandoci che se vogliamo un sacchetto di un-tipo patatine costa 150 bir (4,5 euro). Siamo matti??? Lasciamo stare che è meglio. Grazie comunque. Ci riposiamo almeno e abbastanza bene, anche se non c’è praticamente luce. Anche camminare è un mezzo rischio. Arriva l'ora di cena. Ci raggiunge Nur anche lui speranzoso di cenare con il pollo. Lui che fa un pranzo si ed uno no: ieri sera ha saltato per la incommestibilità della carne. Questa mattina a pranzo ha pure fatto hop, limitandosi ad un cucchiaio di riso. Capisco che sia un mezzo asceta, ma cribbio dovrà pure sostenersi anche lui!!!! Insieme facciamo 4 gradini di numero rispetto al tavolo al buio di prima ed entriamo in una triste sala, che difficilmente ce ne sono di così tristi. La luce è fioca, ma fuori è peggio e non si può pensare di cenare, mentre sotto il portico, dove avevamo pranzato, ora è pieno di militari e c’è un tavolo occupato da alcuni locali Poi mi accorgo che in un angolino, quasi ghettizzarli, ci sono due ragazzi bianchi, gli unici altri due occidentali che abbiamo visto in questi ultimi due giorni. Chiedo e poi provo a guardare le etichette e le condizioni di alcune bottiglie di vino vendibili, ma anche dalle scritte interpretabili e dalla gradazione mi sembra non siano un granché. Decidiamo di mantenerci saldi sulle birre, che sono l’unica cosa buona del luogo. Passa il tempo; aspettiamo incuriositi il pollo prenotato; Nur lo ricorda nuovamente al “capovillaggio”. Poi quello che arriva è qualche cosa di terribile: Un ufo camuffato da cotoletta non bruciata, ma ugualmente di colore nero. Sarà una impanatura particolare del posto, una soluzione etiope gourmet. Il pezzo che assaggiamo lo sputiamo al primo contatto con la lingua. Dai non può essere, riproviamo: è grasso, ma strano, gommoso e pieno di cartilagini, duro in alcuni casi come un osso, ma non può esser un pollo. E’ piatto ed ha un gusto mai sentito prima, forte, nauseante. Cele che è di solito quella brava ha dei piccoli conati e molla tutto con la nausea che cresce. Io penso a situazioni già vissute e dunque vado avanti, assaggio due pezzi poi al terzo mollo. Nur sposta il piatto e lascia tutto disgustato. E’ veramente un caso limite. Mangiamo solo del riso bianco e rinunciamo a qualsiasi sugo che ci propongono. Per carità!!!! La birra almeno è buona. Finiamo: leggeri di stomaco e incazzati di testa. Andiamo a nanna o meglio rientriamo in camera. Prima ci fanno pagare le birre; inizialmente vorrei piantare un bel casino, ma non ne vale la pena. Non ho voglia di litigare per 100 bir per 4 bottiglie. In camera continua il nostro incubo; appena entrati ammazziamo con le suole delle scarpe a fatica alcune bestioline, ma ci devo sbattere tre/ quattro colpi da quanto resistenti sono. Ci caliamo prudentemente all’interno del nostro sacco-lenzuolo con gli odori che hanno saturato l’ambiente. Ho anche la tosse che cresce. Alle 6:50 finalmente ci svegliamo Ma l'incubo è stato realtà. Yavello è una città dell'Etiopia meridionale, situato nell'Oromia. Il centro abitato viene chiamato anche Obda, prendendo il nome di una montagna nelle vicinanze. E’ situata a nord-ovest di Moyale, nella zona di Borana, la città si trova ad un'altitudine di 1.857 metri sul livello del mare e costituisce il centro amministrativo della zona di Borena dal settembre 2002. Durante la guerra d'Etiopia la divisione italiana Laghi entrò nel villaggio di Javello l'11 luglio 1936, ma venne poi ufficialmente occupato il 6 agosto 1936 dalle truppe sotto il comando di Giorgio Pollera. Presso Javello gli italiani realizzano un'aviosuperficie che funge da base per la 65ª Squadriglia Bombardamento Terrestre con 6 aerei Caproni Ca.133. In seguito, 15 carri armati della guarnigione di Javello tentarono di sfondare le difese degli Alleati intorno a Mega, ma fallirono. Javello fu quindi occupata dagli Alleati due giorni dopo l'assalto corazzato del 22 febbraio 1941. L'aviorimessa che gli italiani avevano costruito a Javello fu smantellata nel 1952 e trasportata a Debre Zeyit per via aerea, dove venne rimontata per ospitare i nuovi aerei canadesi della Fairey Firefly. ------ La missione luterana norvegese installò una chiesa missionaria a Javello nel 1950, anche se il personale fu poi accusato di aver compiuto pochi progressi nella conversione della gente del posto, in maniera simile ad altri missionari cristiani. Nel 1992, Yabelo fu sede di una centro di smistamento per gli aiuti alimentari per combattere una carestia locale. Le condizioni diventarono così gravi che iniziarono lotte tra le etnie dei Borana e dei Gabbra, che vennero uccisi, il loro bestiame rubato e i sopravvissuti spostati dall'associazione umanitaria CARE International. Nel giugno 2004 si è svolto un incontro dei rappresentanti dei clan Borena, Guji, Gabbra, Arsi e Marian dei woreda di Dire, Liben e Moyale con funzionari governativi, in cui sono state discusse questioni economiche e sociali, con particolare enfasi sulla ricerca di punti di accordo piuttosto che sulla discussione di controversie specifiche. Nel giugno 2006 sono avvenuti gravi scontri per la rivendicazione delle terre tra i clan rivali Guji e Borena Oromo, causando circa 100 morti nelle città di Javello, Arero e Shakiso Nel gennaio 2010 gli attivisti per i diritti umani nell'Oromia meridionale hanno riferito a Human Rights Watch che studenti, contadini e imprenditori erano stati arrestati a Javello, durante le proteste contro le attività delle società minerarie della regione
  3. ma dai.... non ci credo ed ogni piccola sfida è un trionfo di sentimenti che spaccano. E' proprio in questi posti che riesci a pensare ed a capire chi siamo stati e quello che siamo e che avremmo potuto essere, ma anche quello che potremmo fare e NON che avremmo potuto fare perchè tempo e spazio ce ne è sempre..... e l soddisfazioni sono queste, almeno per me non certo andando solo a Miami o Los Angeles o Londra, per quanto tutto, se fatto in un certo modo, ti può dare molto. Ma questi sono posti che ti permettono di guardare un'altra persona e provare a capire, non a capirla, quello è troppo difficile. ma quando incontri uno di colore per strada, puoi anche pensare a fermarti, salutarlo e chiedergli da dove viene, come puoi anche tirare dritto..... siano liberi....noi ! Loro lo vorrebbero essere se noi glielo permettiamo e invece anche a casa loro pretendiamo, siamo arroganti e ci prendiamo quello poco che hanno e li sfruttiamo solo per soldi, solo per potere. Mamma come sono cambiato in questi ultimi vent'anni, ma sono contento
  4. 02/01 Giorno 7: KONSO – YAVELLO, visita pozzi cantanti Oggi è il grande giorno del ….rischio!!! Mi preoccupo da quando ho organizzato il tour e la visita di Yavello e di tutto quello che gli sta intorno, HOTEL IN PARTICOLARE Hotel Yavello Partiamo dall'inizio. La notte a Konso è passata benissimo, anche se ho un occhio “bello incatramato”. Giocare e stare con i bambini comporta anche queste conseguenze! La vista dal lodge tra i fiori ci mette per forza di buon umore Puntuali ci incontriamo tutti e quattro a colazione e come sempre Mule è di buonissimo umore. Sorride, dice che è riposato dopo la lunga e faticosa giornata di ieri. Oggi prendiamo uova, miele, tè, due banane e un buon succo di papaya, con il caffè che è sempre la cosa migliore anche se io non sono certo uno estimatore Mule carica i bagagli e appena usciti ci incontriamo con una guida per visitare Konso. Si chiama Belloccio e lo è anche di fatto. Un bel ragazzo alto, magrissimo, simpatico. Ci accompagna in una simil- farmacia per comprare un simil-collirio. E’ un locale molto piccolo, ma pulito, assomiglia ad una piccola grotta dove sulla panca a terra sono sedute alcune donne, probabilmente in attesa di essere visitate dal medico-farmacista, mezzo stregone. Peraltro ha un simil-camice ed è gentile. Con un po’ di fatica spiego con Nur l'esigenza di avere una collirio, con la congiuntivite che mi è venuta fuori. L'uomo perfettamente in ordine prima mi propone un qualchecosa di strano e declino l’invito cortesemente. Poi passa in un'altra stanza e torna con un barattolino; ancora adesso non ho ancora capito se fosse chiuso in origine oppure chiuso da lui in qualche modo. Compro per 100 bir. Ora chiedo anche di passare in banca perché devo fare un prelievo. E’ tutto in un fazzoletto di strade, in poche centinaia di metri. Arriviamo e Cele rimane con Mule in auto. Con Nur ci avviciniamo all’ATM, dove c'è una piccola coda. Veloce si sbriga tutto ed arriva il mio turno. Scopriamo che qui gli ATM funzionano con chi vogliono e quando vogliono. Provo due bancomat e tre carte Visa e Mastercard e mi arriva un sms sul cellulare italiano con la segnalazione dell’addebito, ma senza che io abbia prelevato. Con calma chiedo spiegazioni e mostro il telefono al direttore; la banca fa finta di niente. E anche Nur mi spiega che può succedere e che anche loro vedono che non ci sono stati prelevamenti. E allora chiedo una dichiarazione ufficiale scritta e mi stampano qualche cosa …… Fino ad oggi Nur mi ha sempre cambiato lui gli euro, dandomi i bir anche in piccole taglie. I biglietti sono unti, sgualciti, spesso poco colorati e si attaccano alle dita. Ho sempre cambiato €100 = 3600 bir. Comunque non riesco a prelevare e diversamente dalle città principali in questa zona è complicato. Amen, pazienza; ci penseremo in un altro momento: Ora con Belloccio ci spostiamo a pochi km per visitare il Villaggio Konso, dove ora vivono più di 5000 persone. E’ suddiviso in clan e famiglie, Patrimonio Unesco. Il villaggio è protetto ancora in parte da alte mura a secco di 800 anni ed alte fino ad 8 metri ed ogni area è recintata da rami di legno tutti incastrati ed è molto suggestiva. I KONSO Vivono a Konso e nei villaggi limitrofi, come Gesergio e Machekie. Coltivano la terra con un sistema di terrazzamenti e la coltura principale è il sorgo. Una tradizione che li contraddistingue è quella di erigere i waga in memoria dei guerrieri morti: si tratta di sculture in legno che simboleggiano il guerriero, le sue mogli, i nemici e gli animali feroci uccisi. Ormai rimangono pochissimi waga nei villaggi Konso, perchè molti sono stati venduti a turisti e antiquari o trafugati Anche oggi è una bellissima giornata, almeno come clima. Passeggiano tra il labirinto di sentierini con tanti saliscendi; ogni tanto incontriamo un piccolo banco con oggetti in vendita. E’ un ambiente molto vissuto: due anziani ci mostrano il tipico gioco con i sassolini; si muovono con una velocità pazzesca, solo con gli occhi facciamo fatica a seguirli. E’ un divertimento guardarli anche se io capisco molto poco del regolamento Belloccio ci mostra poi anche la piazza principale, ma è un giardinetto, un piccolo spazio con un grande muro sul fondo, alcune capanne intorno ed il palo del comando in mezzo: indica come il potere sia negli anni passato di mano in mano Camminiamo ed è bellissimo, interessante; tra le capanne sbucano visi di donne e di bambini. Panni stesi, a volte un animale. Ma è molto ordinato. Ci passa davanti una vecchia con una immensa fascina di arbusti versi sulle spalle, come fossero piume Sbirciamo tra le porte che non sono porte, ma divisorio di vecchi legni e cerchiamo di scoprire quello che nasconde ogni gruppo. Ma è difficile. Arriviamo in uno spazio appena più grande dove alcune pietre sono vicine e posizionate a piccolo anfiteatro: Belloccio ci indica la zona delle sedute e dei convegni dei vari capi Clan. Le pietre sono tutte perfettamente scolpite a mano. La visita è interessante e abbiamo fatto tutto il giro da soli fortunatamente Quando eravamo arrivati stavano andando via 4 fuoristrada. Belloccio ora ci accompagna a vedere ancora altri piccoli insediamenti e mi trovo quasi costretto a incrociare gli sguardi penetranti, intriganti di ragazze e di donne. Non so come comportarmi. Mi sembrano fredde e torride allo stesso tempo. Mi sembrano anche molto fiere, ma mi scrutano in modo intenso e continuano…… mi giro, cambio zona, poi mi rigiro e ancora questi sguardi molto orientativi e difficili da interpretare e continuano, mettendomi in imbarazzo. Ritorniamo a Konso città, la parte moderna. Clamoroso: c’è un’altra banca, più grande. Mule mi dice che questa è più importante. Ma allora perché non ci siamo andati prima? Entriamo e c'è un casino di gente. Ressa e tutti in coda ai 6 sportelli. Un po’ tanto diversi da quelli dei nostri istituti, ma come erano un po’ di anni fa anche qui da noi, dove il contatto è molto stretto e dove la privacy non esiste. Siamo sicuri di avere fatto un salto di qualità noi??’ Riusciamo in pochi minuti a sistemare tutto e prelevo il dovuto. Bene. Partiamo per Yavello e mi viene male a pensare a quello che ci potrebbe aspettare............................................................................................................................................................................................................................ a s p e t t a r e p e r l e g g e r e e p e r c r e d e r e
  5. 01/01 Giorno 6: Turmi: ESCURSIONE A OMORATE, visita Dassanech a Omorate e villaggio Kara, poi ritorno a Konso A Omorate si attraversa il fiume Omo per visitare un villaggio dei Dassanech sull’altro lato. Questa popolazione comprende circa 30.000 persone, alcuni dei quali vivono nel nord del Kenya. Sono noti per i loro pezzi d’avorio nel lobo dell'orecchio o nel labbro inferiore. Poi Villaggio Karo Buon Anno, Buon 2020!!!!!…La colazione è molto meglio della cena di ieri sera. Siamo in una saletta carina. Per accedere ai piatti ci spostiamo in una vicina struttura dove una gentilissima signora prepara per Cele e per me le omelette con una cura particolare. Sentirci quasi coccolati il primo dell’anno è molto suggestivo. Purtroppo sono già passati i lituani ed hanno già preso molto, ma quello che c’è ci basta e avanza!. La stanza e la doccia di questa mattina sono da dimenticare. Ho dovuto usare la ventosa per sgorgare il piatto doccia e quello che è “emerso” mi ha consigliato di lavarmi veloce- veloce e di abbandonare il locale prima di ……contaminazioni pericolosissime. Carichiamo i bagagli e via! Partiamo di corsa verso Omorate, un altro dei punti cult del nostro viaggio. E’ la zona dove si attraversa il fiume per visitare un villaggio dei Dassanech, proprio sull’altro lato dell’Omo River. Per comprendere l’importanza della giornata è importante comprendere quello che stiamo per andare a vedere: I popoli cuscitici sono: Dassanech (o Galeb), Arbore, e Tsemay, Sono arrivati, presumibilmente, nella valle dell’Omo con le grandi migrazioni del XVI secolo, provenendo dal sud, come gli Oromo (fra i quali i Borana dell’area di Yabello e i Konso dell’omonima regione: entrambe zone confinanti con la valle dell’Omo). Sono prevalentemente pastori nomadi. Hanno una vita sociale chiusa, costrittiva. Praticano le mutilazioni sessuali femminili (in alcuni casi con una ritualità brutale, come avviene fra gli Arbore, che mutilano le loro donne da adulte, il giorno del matrimonio, dopo che lo sposo ha avuto il primo rapporto sessuale con loro). Le donne, fra l’altro, non hanno nessuna possibilità di scelta, se non quella di essere sottomesse, prima al padre e quindi al marito. Il divorzio è proibito, a meno che non si verifichino violenze feroci (accertate pubblicamente) o ubriachezza patologica da parte del marito. Sono, generalmente, aggressivi, anche se alcuni di loro (gli Tsemay, che sono diventati prevalentemente coltivatori) hanno molto attenuato tale atteggiamento, e ora vivono in pacifica vicinanza con i Banna, popolo dalle attitudini del tutto opposte. Nello specifico i Dassanech sono il popolo più rappresentativo e numeroso di questo gruppo etnico. Sono circa 65.000, e vivono di pastorizia e in modo nomade in un territorio piuttosto inospitale: a ridosso delle sponde settentrionali del Lago Turkana (fra l’Etiopia e il Kenya), alle foci del fiume Omo, dove praticano anche abbondantemente la pesca (il loro pesce viene venduto fino ad Addis Abeba, e hanno anche uno stabilimento per la lavorazione, conservazione ed essicazione della tilapia e del persico del Nilo) e la caccia ai coccodrilli. Sono divisi in otto clan principali, ognuno dei quali ha un suo territorio (mobile), modi di vivere, e autorità sui propri componenti. La loro è una società chiusa, patriarcale e sessuofobica (le donne lavorano molto duramente, mentre agli uomini è richiesto solo di badare al bestiame e fare i guerrieri, quando occorre), dove contano moltissimo la sofferenza e l’orgoglio. Il rito di passaggio per i maschi, la circoncisione, viene effettuato molto tardi, a 16-18 anni (quando i ragazzi sono già adulti) e in pubblico. Si tratta di una prova durissima e cruenta. Il giovane viene sottoposto, di fronte a tutti e senza alcun analgesico, a circa 40 minuti di tagli sulla superficie estrema del pene, prima con lamette, e poi col coltello. Deve affrontare stoicamente il dolore e la vergogna, sorridendo. Chi piange o urla viene considerato indegno di essere uomo, e viene escluso, come un reietto, dalla vita civile del villaggio e di tutto il suo clan. Anche le ragazze vengono tutte mutilate sessualmente, prima della pubertà. I matrimoni sono combinati dalle famiglie, e restano indissolubili per sempre. Qualsiasi rapporto sessuale prima del matrimonio è proibito, così come qualsiasi relazione extramatrimoniale. Anche gli incontri rituali di danze fra i giovani (che si tengono solo una volta all’anno) si svolgono senza che ragazzi e ragazze possano avvicinarsi troppo l’uno all’altra, e sono i maschi a scegliere (“marchiare”) le femmine che, idealmente, preferiscono. Non hanno divinità, ma solo il culto per gli antenati, che ritengono possano animare, col loro spirito immortale, animali, piante, eventi naturali. Prima di attraversare il fiume Omo ci fermiamo in un piccolo paesino: sarebbe un borgo fantasma dove ci sono anche alcuni operai cinesi che lavorano alla manutenzione della rete stradale; forse anche per questo la manutenzione è del tutto inadeguata!!!! Entriamo con Nur nell’ufficio della dogana che controlla il traffico con il Kenya e qui dobbiamo mostrare i nostri passaporti ed i visti. Per andare al villaggio da visitare dobbiamo forzatamente passare per questa strada che è appunto anche un pratico confine doganale. Il poliziotto prende nota dei codici del nostro visto e ci racconta che ieri è stata una giornata infernale da tanta gente che si è presentata per i pass. Oggi siamo arrivati presto. Mule ha corso come un matto, al solito, ed ha superato alcune vetture proprio per anticipare tutti ed in effetti al momento non ci sono altre persone. Omorate prende nome dal fiume Omo e per la traversata del fiume e per andare poi al villaggio Dassanech bisogna avere l’ok della corporazione delle guide e lo si fa attraversando un blocco con tanto di fucili spianati e prendendo una guida locale. Nur ci presenta Stefano, questo è il suo nome e con il quale si erano già accordati e dati appuntamento. Insieme scendiamo verso la riva dove ci attende una imbarcazione di legno di sicomoro Passiamo il mitico OMO River Sembra che Omo appunto significhi proprio fiume e che i colonialisti lo nominarono Omo Bottego, proprio come l'esploratore emiliano che morì a fine Ottocento in questa zona. BRAVISSIMO PANDAAAAAAAAA!!!!!!!!! Stefano è un ragazzo di 26 anni Dessanech, ma che si è in parte “occidentalizzato”, uno dei rarissimi; ci spiega e ci accompagna alla piroga condotta da un altro ragazzo che rema con la “voga alla veneta”, con un unico lungo bastone e remando sempre in piedi dalla stessa parte. Attraversiamo il fiume ora molto calmo e nel massimo silenzio ed in un clima di assoluta tranquillità. Prima di salire a bordo ci stende alcune verdi frasche appena raccolte per una seduta morbida e fresca, Scendiamo senza difficoltà, ma con qualche aiuto e ci dirigiamo verso il villaggio. Camminiamo a piedi tra i campi in parte coltivati, dove però solo poche persone stanno ora lavorando la terra. Raggiungiamo il villaggio, ma, a differenza di quello abitato dai Mursi , questo è sporco, anche con molti escrementi di animali per terra, tra le capanne. Queste sono l’esempio delle costruzioni, fatte con quello che capita, con lamiere, legni, plastica e quant’altro per coprirsi dalla pioggia, dal vento e dalla polvere, se possibile. Sono come assemblate, ma ben poco curate. Qui vivono in migliaia: le donne sono decisamente interessanti. Nerissime, magrissime, alte, slanciate e tutte, fin da bambine, con grandi collane rosse intorno al collo. Anche oggi paghiamo a Stefano un tot a forfait per poter fotografare e riprendere. La prima impressione è quella di un ambiente molto meno affascinante di quello dei Mursi, ma non è così. E’ molto diverso, come le singole etnie tra loro e per comprenderlo è necessario capire le loro caratteristiche e le loro tradizioni Forse c’è meno dignità femminile, ma la storia del popolo lo fa capire per bene. C’è molta più semplicità, ma a volte anche una relativa arroganza, che comunque secondo me è conseguenza della miseria e della loro condizione di vita, alla quale sono però ancestralmente legati e dalle quali non intendono staccarsi, salvo casi rarissimi Assistiamo anche ad alcune danze, poco organizzate, diverse da quelle che abbiamo furtivamente visto degli Hamer. Credo lo facciano un po’ per ingraziarsi noi turisti, ma di certo fanno parte della loro cultura e credo sia l’unico modo per divertirsi insieme tra uomini e donne, ragazzi e ragazze Gli uomini ora passano il tempo all’ombra di una capanna. Ci spiegano che è il loro “bar”, ma dove non ci sono sedie o altro. Solo una tettoia ed una panca di due metri scarsi. E loro inginocchiati intorno al warri Le regole Scopo del gioco Catturare il maggior numero possibile di semi. Giocatori Due, uno di fronte all’altro, che per comodità chiameremo Nord e Sud. In questo CD-ROM voi siete Sud, e quindi guardate il tavoliere dal basso, mentre Nord è rappresentato dal computer. Il caso determina chi gioca per primo. La tavola di gioco Il piano di gioco è rappresentato da un tavoliere di legno intagliato con dodici buche, sei per parte, abbastanza profonde per contenere fino a venti pezzi. Il territorio Ciascun giocatore dispone di un proprio territorio, composto dalle sei buche che si trovano davanti a lui. I semi I ‘pezzi’ da raccogliere e seminare sono 48. Indifferenziati, all’inizio del gioco non sono di proprietà di nessuno dei due giocatori. Avrebbero potuto essere sassolini, pietre più o meno preziose, biglie, palline, perle o conchiglie. Nel nostro caso i ‘pezzi’ sono rappresentati da semi, che durante il gioco producono un suono caratteristico. Direzione del gioco Si gioca in senso antiorario. Preliminari I 48 semi vengono distribuiti nelle dodici buche, in modo che ogni buca ne contenga 4. Le mosse 1) Estratto a sorte il giocatore a cui spetta di iniziare la partita, ogni giocatore, al proprio turno, prende i semi contenuti in una delle buche del proprio territorio e li ‘semina’ ad uno ad uno nelle cavità seguenti. E’ possibile ed anzi spesso inevitabile, sempre partendo dal proprio territorio, ‘seminare’ anche nel territorio avversario. 2) La mossa è comunque obbligatoria. 3) E’ vietato ‘seminare’ più di un seme per buca o saltare buche, con un’unica eccezione, descritta al punto seguente. 4) Solo quando si depositano più di 11 semi - e quindi si torna al punto partenza - si prosegue la semina saltando la buca da cui i semi sono stati raccolti. La cattura 1) La cattura avviene sempre e solo nel territorio avversario. 2) Quando l’ultimo seme deposto finisce in una buca del territorio avversario che contiene soltanto uno o due semi, questi vengono catturati e eliminati dal gioco insieme al seme appena giocato. 3) Se le buca o le buche precedenti a quella in cui è avvenuta la cattura contengono anch’esse due o tre semi, anche questi vengono catturati ed eliminati dal gioco. La fine del gioco 1) Se, dopo aver mosso, uno dei giocatori si trova senza semi nel proprio territorio, l’avversario che ne abbia la possibilità deve effettuare la propria mossa in modo da ‘alimentarlo’ di semi. Se ciò non è possibile, il gioco ha termine. 2) Il gioco ha termine anche quando è evidente che nessuna presa sarà più possibile. Il conteggio 1) Alla fine del gioco ciascun giocatore conta quanti semi ha catturato. 2) Il giocatore che ha ancora semi nel proprio territorio li somma a quelli catturati. La vittoria Vince chi alla fine della partita ha catturato più semi. Per vincere quindi bisogna aver catturato almeno 25 semi. Con 24 semi per ciascuno la partita è patta. Il galateo del Warri Così come avviene in tutti gli aspetti della nostra vita sociale, anche nei giochi esistono regole precise - scritte e non scritte - da rispettare. Non solo bisognerà seguire quelle relative a movimenti, catture, calcolo dei punti e vittoria, ma ancora più attentamente quelle che disciplinano il comportamento da tenere con l’avversario. Anche nel Warri si è consolidato nei secoli una sorta di galateo, da tenere a mente e da utilizzare la prima volta che deciderete di cimentarvi in una partita di Warri con un africano. Regola numero 1. Nella prima partita, è il giocatore più anziano ad aver diritto alla prima mossa. Sarà lui eventualmente a rinunciare al privilegio. Regola numero 2. E’ proibito muovere i pezzi contenuti in una buca per contarli. Buca toccata ... buca giocata. Regola numero 3. E’ estremamente scortese chiedere di verificare la regolarità di una mossa appena effettuata dall’avversario. Questo anche se i giocatori più esperti depositeranno molto rapidamente i semi nelle buche, e quando il numero dei semi è molto alto sarà davvero improbabile riuscire a capire se il vostro avversario ha rispettato l’obbligo di depositarne uno per ogni buca. Regola numero 4. Non si gioca mai di soldi: il vero scopo del gioco è misurare l’abilità vostra e del vostro avversario, e scoprirete che i giocatori molto più bravi di voi tenderanno a ‘barare’... ma a vostro favore, per non farvi fare brutta figura. Sono una ventina, solo uomini, tutti raccolti in un fazzoletto d’ombra, tutti accalorati a giocare o a fare il tifo o a dare consigli, con un vociare che mi incuriosisce. Ma non capisco nulla Però posso rendermi conto di quanto sia assurda per il mio modo di vivere questa discriminazione; mentre le donne che non ballano stanno lavorando al sole o seguendo le decine di bambini che spuntano da ogni capanna, loro sono tutti qui.. Ed appena cammino un po' allontanandomi, defilandomi rispetto agli altri, mi accorgo di quanto sia penosa la situazione nel suo complesso. Nur e Stefano ci hanno raccontato e spiegato, poi ci hanno lasciati nuovamente liberi. Alla fine però il passaggio è obbligato: si deve “per forza” entrare in quello che è il loro market: una piccola area su una montagnola, dove una decina di donne hanno esposto le loro manifatture per terra e loro sono sdraiate spesso indolenti, ma con delle bellissime collane rosse, che poi risaltano in modo particolare sulla loro pelle molto scura. Sono prodotti fatti da loro e che non si trovano facilmente al di fuori del villaggio, quindi o li compri qui o “salti”. Al solito si contratta, ma fino ad un certo punto. Acquistiamo alcuni bracciali di conchiglie, un vassoio in i legno, un pesce di legno intarsiato e ancora alla fine alcune vaschette. Mentre torniamo verso il fiume ci passa davanti un serpentello velenoso perfettamente mimetizzato nel terreno sabbioso. Nessuno di noi se ne accorge e Cele lo sta per calpestare. Stefano ci blocca giusto in tempo. Pfffff! Attraversiamo con calma l’Omo River. Il tempo al solito vola. Ci rinfreschiamo, ma senza fermarci per bere ad un tavolo. Il modo che hanno di lavare le vettovaglie ci consiglia di bere in auto la nostra acqua. Breve meeting per valutare il da farsi, il programma per oggi: dobbiamo decidere se spostarci e andare a vedere il villaggio Karo oppure attendere le 15 ed andare al villaggio Hamer dove c’è il Salto del Toro e tutto lo spettacolo che ne segue, fino alle 18, quando ci sarà il momento culmine. Mi informo meglio e tra la parte iniziale e quella finale c’è una pausa di quasi due ore. Memento topico. Il Salto del Toro sarebbe una occasione da non perdere, visto che è una casualità, una coincidenza poterlo vedere, ma se ripartiamo da qui alle 18 non ho idea a che ora tarda arriveremo poi a Konso, tenendo conto che ci vorranno 3 o 4 altre ore di viaggio.. Il Salto del Toro non è programmabile. Non si sa fino alla mattina del giorno stesso e quindi fino a questa mattina quando e se lo fanno. Pertanto purtroppo non potevamo conoscere questo e programmare di fare un’altra notte qui, come sarebbe stato opportuno. Cribbio. Decidiamo quindi un po’ a malincuore di andare a vedere i Karo. Tutto non si può fare; Nur e Mule ci dicono che per raggiungere il loro villaggio impiegheremo un'ora e 20 di strada da Turni per poi tornare con un’altra un'ora e 20 a Turni e poi ovviamente le 3 o 4 ore per Konso!!!! Per fare questi calcoli non ci vuole Pico della Mirandola. Dobbiamo rientrare a pranzo al Busca Resort, dove oggi abbiamo dormito e fatto colazione e poi partire verso Konso alle 15, massimo 15:30. Anche se la scelta e la rinuncia soprattutto non è facile, questa seconda opzione e quindi la visita al villaggio Karo è l’unica possibile, per quanto ci siano comunque 65 km di sterrato per l’andata ed altri 65 al ritorno anche oggi. E’ vero che stanno costruendo una nuova strada, ma per ora nessuno sa nulla di preciso. Nur non lo sa e questo mi fa girare un po’ i bagigi. Partiamo e Mule comincia a fermarsi e poi a cambiare percorso; poi di nuovo entrambi confabulano in mezzo al nulla tra vari possibili sentieri e voragini spaventose, una volta semplici buche. Ci perdiamo: il classico sentiero ora è una mulattiera piena di avvallamenti e di sassi e di strettoie. Mule ancora gira intorno, prova a guardare. Vedo l’incertezza che regna e che il tempo passa. Chiedo di fermarci e di ragionare un attimo. Approfitto che dal nulla come al solito sono apparsi dei ragazzini. Lo invito a chiedere a questi piccoli pastorelli (neanche fossimo in un presepe) la direzione. E’ possibile che conoscano la strada e la zona meglio di noi, almeno in questo momento. Ci fermiamo e automaticamente, con effetto calamita, questi si attaccano alla portiera chiedendo soldi. Mentre confabuliamo da dietro un cespuglio viene fuori il papà pastore, coperto solo da una coperta e con i bargigli a penzoloni e con il fucile in spalla. A Cele viene il più classico dei coccoloni!!! Il coccolone aumenta quando gli chiediamo di salire con noi. Cerca come Eta Beta all’interno di un sacchetto e raccoglie un similslip dalla dubbia fattura, ma che almeno copre e trattiene le sue nudità. Gli creiamo spazio nel bagagliaio, dove si siede appena dietro a noi. Conosce la strada e questo è l’importante e ci accompagnerà fino al villaggio. Per ora gli diamo banane e acqua, che spolvera in pochi attimi. La Toyota si satura di un odore acre che in questo momento non è il massimo, visto anche il caldo. Ma il kalashnikov che sbuca da dietro di noi ci fa capire che tutto va bene, per forza! La strada si rivela molto peggio di quello che si riteneva. C’è da qualche parte la nuova strada in costruzione e questo tratto, quello che stiamo percorrendo, è stato abbandonato ben oltre il minimo sindacabile. Difficilmente superiamo i 25 km orari; scavalliamo colline credendo sempre che sia l’ultima ed invece manca sempre tanta strada. Il paesaggio è bellissimo, ma lo sconquassamento non ce lo fa apprezzare come si dovrebbe! Arriviamo esausti e siamo preoccupati perché sono già le 14:10. Secondo il time-plane di Nur a quest’ora dovremmo essere già tornati o quasi a Turmi per mangiare. I Karo sono un'etnia che sta scomparendo; ormai non sono più di 1500 o 2000 persone e vivono in villaggi tra cui quello di Kolcho. Siamo in una posizione meravigliosa, su un'altura con la vista su una grande ansa del fiume Omo e assomiglia molto all’ Horse Shoe Bend in Arizona. A differenza, qui non c'è nessuno e la vista è sconfinata Il villaggio comprende poche capanne di legno e di paglia in una zona che fino a pochi anni fa era coperta di vegetazione, ma che oggi non è più quella terra fertile con la conseguenza che ha portato ad una degenerazione anche della popolazione. La zona del fiume e la sponda opposta sono state disboscate ed al posto della foresta avevano piantato una serie di campi di cotone con un investimento di un’industria turca. Poi questa non ha ritenuto conveniente l’operazione ed ha abbandonato tutto, lasciando devastato tutto il territorio. E chi ci rimette???? I Karo hanno sempre vissuto di pastorizia e di agricoltura, basata su ciò che era coltivabile sulle sponde del fiume, grazie anche alle esondazioni annuali. Prevalentemente vengono ancora in parte coltivati cereali poveri, come il sorgo. Purtroppo questa terra così fertile in confronto al resto, ha fatto gola ad alcune industrie straniere che sono riuscite ad ottenerne dal governo etiope la proprietà. La sponda del fiume su cui sorge il villaggio è stata così disboscata. I Karo sono solo la più piccola delle tribù dell’Omo, quella che forse sparirà per prima. Ma in realtà questo destino sembra spettare a tutte le tribù della Valle. Importante è andare, vedere con i propri occhi. Loro sono ancora abbastanza accoglienti e nonostante la valle sia sempre più accessibile, rimangono autentici. La loro vita non è stata cambiata sostanzialmente dalla presenza di stranieri .Nessuno ha chiesto il loro permesso per occupare le terre che abitano da secoli, “sono arrivati e le hanno prese”, e nessuno ha dato loro in cambio un luogo dove andare a vivere, lontano dalla piantagione turca, che gli uomini sono stati spinti a lavorare nella piantagione per poi mollare tutto e con tutti i soldi finiti negli spacci di alcolici di turni. I KARO – Sono un piccolissimo gruppo etnico decimato da carestie ed epidemie che ormai sta scomparendo. Vivono in poveri villaggi di capanne sulla riva orientale dell'Omo, in un ambiente spettacolare ma che impone condizioni di vita molto dure. L'abbigliamento assomiglia a quello degli Hamer, ma i Karo si distinguono per la fantasia con cui utilizzano materiali di recupero (bottoni, graffette, cappucci delle penne, chiodi) per creare decorazioni e gioielli. i Karo (o Kara: il loro nome significa “Pesce”, e vivevano e solo in parte ora vivono di pesca e allevamento in soli tre villaggi lungo il fiume – sono rimasti solo in circa 1.500, e rischiano fortemente l’estinzione); hanno origini in comune con i Dassanech, nemici storici dei loro “cugini” Hamer (per questo i Dassanech, nei loro attacchi furiosi, risparmiano i Karo). I Karo sembrano aver ereditato un po’ della ferocia dei loro “cugini” cuscitici: nei loro riti di iniziazione i giovani devono farsi tagliare la parte superiore di un orecchio. L’ amarezza è evidente non soltanto in noi, traspare dagli occhi in tutti gli abitanti che nell’arco di pochi anni hanno assistito alla disillusa distruzione del loro habitat. Solo alcune donne sono ancora votate ad aspettare il turista e quindi anche ora cercano di mettersi in posa, da sole o in compagnia, con un animale in braccio, con un pargolo al fianco, per racimolare qualche bir e fanno i prezzi a seconda di chi e quanto viene fotografato. E’ struggente più che fastidioso. Loro sono vestite con i loro splendidi costumi, cercando di conservare l’identità di una volta Per il resto, in particolare i ragazzi giovani, sono disillusi, ma anche disorientati, si sono occidentalizzati nel modo peggiore del termine. Bevono birra, non fanno nulla, si vestono solo con magliette di qualche squadra di calcio inglese che spesso portano loro i poliziotti o raccolgono a Turmi nelle loro trasferte periodiche. E aspettano il sostegno pubblico, non hanno né fanno tanto altro. Gli uomini non ti chiedono soldi, sanno che non li fotografi, che non sono interessanti. Hanno abbandonato la voglia di colorarsi e di arricchire i loro corpi, se non con oggetti incastrati negli orecchi o in bocca. Ma sono molto attenti se ho ripreso e quanto ho fotografato. Sono soprattutto loro che poi vogliono gestire i bir raccolti dalle donne. Anche per il grande caldo la visita è breve e questa volta almeno per me deludente. E sono preoccupato anche per il rientro. Lasciamo il villaggio Karo alle 14:45. Siamo in evidente ritardo su qualsiasi tabella di marcia. Dietro in auto al solito il nostro pastore armato. Mule corre come un matto lungo la nuova strada che è in costruzione e che abbiamo ora incontrato. E’ uno sterrato con continue uscite obbligatorie per permettere l’esecuzione dei lavori. Tra entrare ed uscire e bloccarsi negli spazi stretti incrociando i camion….beh non so se ci si guadagna rispetto a prima. Alle 16 passate siamo comunque in qualche modo a Turni e ci fermiamo al Buska Lodge, il ristorante dove questa mattina abbiamo fatto colazione. Salutiamo non senza problemi il vecchio pastore Hamer che ci ha accompagnato. Nur prima mi dice di dargli solo 50 bir. Mi sembra un’offesa. Gli lascio almeno 100 bir (3 euro scarsi per tutto il tempo che comunque è stato con noi). Con gli occhi lunghi vede il portafoglio che pur cerco di tenere nascosto, ma gli spazi sono quelli che sono e ci bado al momento solo in parte. Vorrebbe più soldi dei 100 bir, ma poi si gira e con qualche maledizione torna sui suoi passi. Partiamo dopo le 17, invece delle 15 previste da Nur!!!!!! La strada è uno spettacolo: attraversiamo la savana, ma è sterrata, la gruviera è la solita. Poi finalmente arriva anche l'asfalto; la luce cala; troviamo al solito tante mandrie intere, tante persone; corriamo veloci tra i piccoli villaggi illuminati con qualche fuoco. A lato della strada vediamo i pali della luce elettrica o che comunque la trasportano. Ma qui non sono collegati. Non c’è forma di energia per decine di km. A bordo guardiamo e siamo tutti e quattro molto vigili per vedere la strada ed i suoi pericoli. Nur e Mule per fortuna parlano e sono belli svegli. Finalmente siamo a Konso il resort è decisamente molto bello. Qui abbiamo pranzato l'altro giorno. Lungo la strada, prima, Nur ha telefonato ed ha prenotato la cena in modo tale che, arrivando molto tardi e ben oltre l’orario di chiusura, comunque trovassimo qualcosa da mangiare. Hanno tenuto la cucina aperta solo per noi. Al telefono tra il “niente” disponibile, ad ogni possibile semplice richiesta la risposta era sempre “niet” , ancora alle 17 avevamo optato per riso in bianco, verdure cotte e carne gulash sperando che con la cottura la carne sia i più morbida di quella dura ed immangiabile dell'altro giorno ed assaggiata da Cele e che abbiamo ordinato in quanto non c’era altra scelta e Cele la ricorda come “terribile”. Vedremo, sia mai che si sia ammorbidita? Ci danno il tukul 26: è bellissimo davvero: è molto ampio, pulito, silenzioso, ottimo. Solo il tempo di lavarsi le mani e scendiamo per la cena. Ci hanno fatto tanta fretta fin dal momento che ho appoggiato i piedi a terra, appena arrivati. Ci hanno aspettato e ce lo fanno capire per bene! Ovviamente siamo solo noi quattro; il locale è bello, arredato in legno con tavoli in pezzo unico, tende e tovagliati molto eleganti. Oltre all’acqua ordiniamo almeno una bottiglia di Rift Valley Cabernet, al solito buona, ma non compensa il resto: i m m a n g i a b i l e. Tutti e tre ( Mule prende della brodaglia che anche lui trascura per forza) lasciamo completamente la carne sui piatti, indichiamo al cameriere che il tavolo è decisamente più tenero. Allora ci portano altro riso ed in una ciotola del pomodoro triturato, cipolle, aglio e peperoni piccanti: un mix da brivido, coperto con tanto riso e con tanto pane. Dai, anche grazie al vino passa tutto e chiacchieriamo ora distesi in allegria. Usciamo dal locale e ci sediamo all'aperto per fare il punto della situazione e della giornata appena trascorsa. Non ho intenzione che si ripeta! Voglio chiarezza per quello che ci aspetta davvero domani e pretendiamo che la giornata di domani sia molto più chiara e trasparente sulla tempistica del trasporto. Domani ci trasferiremo verso Yabelo e quindi nell’'area dei pozzi cantanti. Sappiamo già che l'albergo è tra i più brutti del viaggio. Per quanto riguarda i Pozzi Cantanti Nur ci ribadisce come non sono quelli di una volta e come dipenda molto dalle precipitazioni. Peraltro andremo nell'area della etnia Borana . E’ una etnia molto orgogliosa, molto bella, ma la zona ha una totale assenza di strutture ricettive adeguate. Questa circostanza ha determinato che i tour operator e le agenzie abbiano eliminato l’attraversamento di questa zona dai loro percorsi e programmi. Domani mattina invece visiteremo subito qui vicino il villaggio Konso, il vecchio villaggio, anche questo dichiarato Patrimonio Unesco. La notte passa perfetta e riposante. Sono bello sveglio alle 7:40. La tosse mi ha lasciato stare. Parto carico come un matto dopo una bella colazione verso le 9 wow
  6. Purtroppo in questi casi il tempo è tiranno. Dobbiamo lasciarci ed andare via. Non mi aspettavo di avere questo problema, quasi già di nostalgia. Dobbiamo spostarci e raggiungere Turni a sud e poi passare per diversi altri villaggi ed arrivare in tempo per visitare il mercato di Alduba, visto che oggi è martedì. Ripartiamo sotto il sole che picchia forte e in auto con Cele cominciamo già a sistemare i file delle foto e quindi poco badiamo alla strada; sembra tutto tranquillo; la strada è la stessa di prima, quella sterrata con tante buche. Alle 11:25, dopo un ennesimo salto, la Toyota si ferma. Il motorino di avviamento gira, ma il motore no, non parte più! Al momento siamo tranquilli, dentro seduti sui nostri comodi sedili all’ombra. Nur e Mule aprono il cofano e cominciano ad armeggiare, ma senza alcun risultato. Passa un’altra auto di rientro, si ferma e poi ancora un’altra. Tutti insieme con gli altri autisti cercano di trovare una qualche soluzione ma p**** pupazzola il tempo passa e qui nulla migliora. Le jeep che si sono fermate ripartono…..abbandonandoci al nostro destino, sigh! Al telefono Nur non sembra concludere tanto. Parlo con Marco ad Addis Abeba e chiedo se è in grado lui o come sia eventualmente possibile far arrivare un nuovo mezzo da Jinka. Ma sono almeno 60 km e non c’è nulla in mezzo tra noi e la città. Ottimo. Scendiamo e tutti insieme proviamo a spingere anche se mi sembra una scelta imbecille. In effetti spingere una grossa Toyota su uno sterrato di buche in leggerissima salita sotto il sole a 40 gradi non è una opzione tra le più consigliate. Passa un camion ed anche l’autista di questo scende e ci prova senza alcun esito e non ha alcuna corda per trainarci. Sempre meglio. Tutti hanno grande volontà e ci provano, ma il risultato è uno splendido: nulla. Il tempo passa, anzi vola, il sole brucia, non c’è ombra e comincia a crescere anche il panico. Mule e Nur si legano letteralmente al cellulare, ma la disorganizzazione è da incubo. Ci sentiamo abbandonati praticamente nel nulla. Collegano cavi e cavetti, ma il motore non parte e non dà cenni di vita. Nonostante il caldo riproviamo ancora a spingere, questa volta insieme ad un gruppo di ragazzi Mursi, belli pronti per le foto lungo la strada ed ora accaldati ed impegnati come noi a schiattare, anche se loro il caldo lo sopportano meglio. Ei vanno a farsi un bel bagno in un piccolo torrente di sabbia. Il tempo passa ancora: alle 12:30 dico con un po' di acredine che forse è il caso di chiamare un noleggio, un taxi comunque, anche se distante. Passa un’altra buona mezzora e non c’è disfattismo, si continua a scasinare, ma la rassegnazione comincia a dare qualche segno. Alla fine arriva il solito miracolo!!!! Come già ci era avvenuto nel New Messico al Chaco quando avevamo forato nel nulla senza ruota di scorta, né kit o come lungo il confine tra Cile e Bolivia quando siamo rimasti per ore ad aspettare inutilmente l’autista cileno, che, diventando padre ed assistendo la moglie al parto aveva allora pensato bene di lasciarci a 4000 metri tra i vulcani ad aspettare. In questo caso arrivano due fuoristrada nell’altro senso di percorso. Devono fare un lavoro da qualche parte più avanti. Si mettono di lena e telefonano ad un loro meccanico a Jinka. Riprovano con i vari cavetti sotto la nuova guida vocale fino all'incontro meraviglioso, al contatto fatale. Il motore si riavvia. Riprovano ancora e riescono a fermare alla meglio i contatti. Sono le 13:35 e sono passate oltre due ore. Siamo stravolti in auto, ma lo sono certamente di più Mule e Nur che ci hanno messo anche andrenalina, fatica. e la ovvia preoccupazione. Ripartiamo e passiamo forzatamente per Jinka, di passaggio. Arriviamo belli accaldati e ci fermiamo per un toast e verdure al BESHA GOJI RESTAURANT. Credo sia l’unico posto accettabile. Quello che mangiamo è altrettanto accettabile più per la fame che abbiamo a quest’ora che per la qualità del cibo. Però siamo all’ombra, fa fresco, si sta bene. Avevamo prenotato i toast già questa mattina, appena prima di comprare la cintura, con l’intenzione di rientrare e di passare a prenderli alle 10.20. Ora sono le 14,45. Giusto per dire come siamo messi bene con i tempi previsti, Riusciamo anche a telefonare in Italia con la scheda etiope. Enrico è alle prese con una torta che sta preparando per il cenone di questa sera. Al solito sistemiamo un po’ le foto, chiacchieriamo ancora con Nur. Davanti al locale vendono maschere ed oggetti carini. Mulé ha portato la Toyota dal meccanico per cercare di sistemare in modo meno precario la situazione. Ordiniamo anche due birre. Alla fine compro anche una maschera di ebano ed una faraona in legno. Ripartiamo dopo altra mezz'ora quando finalmente Mule arriva, stravolto, ma comunque sorridente e sodisfatto. Ormai sono le 16 e dobbiamo fare altre ore di strada: come al solito passiamo villaggi ed entriamo nel territorio Hammer. Ad un certo punto lungo la strada mi accorgo di qualche cosa di strano. Chiedo di fermarci. Scendo e poi scendono anche gli altri. In fondo, ad un centinaio di metri tra i campi, un gruppo sta danzando. Il rumore del motore li distrae e qualcuno si gira come infastidito. Mi sembra un qualchecosa di abbastanza particolare, ma di intimo, Nur ci chiede se vogliamo scendere e raggiungere quello che fanno. No, mi sembra proprio di poco gusto intervenire. Sparo a fondo lo zoom della videocamera e riesco a cogliere diversi soggetti e molti dettagli di questa singolare situazione. Solo dopo scopro di che cosa si tratta.. Gli Hamer organizzano le Evangadi. Sono delle serate di danza, che iniziano al tramonto, in un ampio spazio ampio, vicino, ai margini di un villaggio e possono protrarsi a lungo, nella notte. Se ne organizzano tante, specialmente alla fine della stagione delle piogge, quando la natura rende fertili le terre. I ragazzi si presentano, agghindati nel modo migliore che possono, e iniziano a danzare, saltando sul posto e avvicinandosi al centro dello spazio, per invitare le ragazze. La musica ritmica è data solo dal suono delle piante dei piedi sul terreno, dai campanellini che le ragazze portano addosso ed anche adesso dal battito delle mani di chi è vicino alla scena. Le ragazze si presentano in gruppo, poi una, due, tre di loro si fanno avanti, e ciascuna, se e quando vuole, si avvicina ad un ragazzo ed in modo impercettibile per chi guarda, tocca col piede il tallone del prescelto. Significa, semplicemente, “mi piaci”. Ogni ragazza ha la possibilità di scegliere anche più di un ragazzo, come è nella logica e nella cultura del loro popolo. Hamer Banna Vivono nella zona dell'Omo River e si possono incontrare numerosi ai mercati di Turmi e KeyAfer. Coltivano sorgo, miglio, verdure e allevano capre e galline. Le donne indossano pelli di capra decorate con perline e cipree; utilizzano le zucche svuotate e decorate come contenitori e indossano pesanti bracciali di metallo. La prima moglie di solito indossa un particolare collare di ferro, che ne indica la posizione privilegiata. Gli uomini indossano particolari copricapi di argilla impastata, con una o due piume di uccello. Si muovono stringendo fra le mani il "borkota", poggiatesta in legno intagliato. Ogni giovane che decide di cercar moglie deve prima superare la prova del "Jumping Ox". Anche per gli Hamer il sistema sociale si basa sulla divisione in classi di età degli uomini. Gli Hamer (o Hamar) sono il popolo più gentile e ospitale della valle dell’Omo. Sono in tanti, circa 75.000 oggi, e vivono in tre piccole città localita’: Turmi, Dimeka e Alduba, e in molti villaggi sparsi per la savana. Hanno una struttura sociale molto aperta: vivono in maniera quasi del tutto anarchica. Non hanno capi (decide l’assemblea del villaggio – riservata però agli uomini), né religione strutturata, né preti, né poliziotti né giudici né galere. Tutto ciò è possibile perché hanno due tabù innati (come per noi l’incesto), cioè maturati in secoli o in millenni, per difendersi dalla piaga dell’autoritarismo: “Non uccidere e non rubare nell’ambito del tuo popolo”. Chi dovesse infrangere uno di questi tabù, verrebbe punito con la cacciata dal villaggio e con l’espulsione dal suo popolo. Anche per questo (come per risolvere altre diatribe fra loro) hanno un “re”, una presenza che detiene una pura carica simbolica, e risiede sul Monte sacro dal quale gli Hamer provengono: il Buska. Il primo matrimonio, per un giovane Hamer, è quasi sempre stabilito dalla famiglia di origine. Ma il secondo matrimonio (gli Hamer sono poligami) è sempre per amore. È la seconda moglie la donna più importante dell’esistenza. La vita sessuale degli Hamer è assolutamente libera: prima e dopo il matrimonio. Quando i ragazzi e le ragazze raggiungono la maturità sessuale, i genitori li spingono ad andar fuori dal villaggio, a conoscere giovani della loro età, a corteggiarsi gli uni con gli altri, a frequentarsi, a fare l’amore. Nessun ragazzo Hamer sposerebbe mai una ragazza vergine: vorrebbe dire che non ha imparato nulla nella vita. Anche dopo il matrimonio marito e moglie restano liberi (relativamente: senza esagerare, perché i figli rimangono comunque al marito ufficiale, che può chiedere il divorzio). La tutela e il mantenimento della prole è molto importante, e anche le adozioni sono assolutamente di routine Al solito confiniamo con il mondo che vive lungo la strada. Attraversiamo Key Aser ed il casino che circonda la cittadina e mentre comincia il tramonto finalmente raggiungiamo Alduba, dove ancora ore fa avremo dovuto fermarci anche per visitare il mercato e le numerose etnie che barattano i loro tipici prodotti. A quest’ora sono molti i “banchi” che stanno chiudendo o che hanno già tolto la merce esposta. Altri sono ancora presenti e non ci sono occidentali. Ma almeno non fa così caldo: i colori dei tessuti dei prodotti sono davvero molto interessanti e come sempre i bambini ti saltano addosso. Anche in questo caso due di loro mi prendono per mano . Evidentemente loro ci sanno fare e capiscono che io ci sto. Camminiamo piuttosto veloci, è complicato vedere bene la merce, perché se ti mostri interessato sei subito circondato. E’ anche difficile fermarsi e fotografare con calma, impossibile. Giriamo in modo piuttosto rapido; poche foto, diversi sorrisi, tanto contatto. Compriamo due banane da una vecchietta per i due mignon che mi sono appiccicati e che le mangiano in pochi secondi Siamo tutti contenti. Basta talmente poco certe volte. Ci spiace per non poter dedicare più tempo , ma a quest’ora non ne vale più tanto la pena ed abbiamo ancora strada da fare. Mule ci aspetta per la prima volta lascia trasparire un po’ di impazienza. Credo che sia già molto stanco, non si è mai fermato. Partiamo verso Turmi. Quando entriamo nel lodge è già buio da un pezzo. Il villaggio è già pieno di ospiti. Sarebbe stato importante arrivare presto per poter prendere i capanni migliori, belli, comodi e puliti. Dobbiamo per forza accettare quello che è rimasto ed è rimasto il peggio, ovviamente. Appena prima di noi sta completando il check in un gruppo di una ventina di lituani. Con Nur anche noi compiliamo rapidamente i documenti e le carte con le firme di routine che Cele ormai gestisce come una hostes consumata . Scendiamo verso la camera lungo un sentiero e attraversiamo il piazzale dove sono già stati preparati in tavoli per la cena di questa sera. La Cena di San Silvestro. Tavoli all’aperto, ben tovagliati. Faccio due conti ed in totale saremmo al massimo 40 persone. Ci accompagna alla camera un vecchietto. Le valigie rotolano a fatica sul cemento del sentiero. Raggiungiamo la stanza, affiancata ad una serie di altre camere rumorose. Anche la nostra mi sembra una stanza che non consiglierei ad un amico. L'uomo facchino apre la porta e con lui salta anche un bel rospo proprio davanti al letto. Imperturbabile, a differenza di noi, in qualche modo lo spinge fuori. La camera è appena passabile, la luce è di quelle che ti fanno invidiare una bella cena a lume di candela; le tende o simili sulla finestra ci devono essere, altrimenti ti vedono anche le cicogne, ed hanno vissuto tempi molto, ma molto migliori. Qui dentro fa un caldo terribile. Il bagno e la doccia in particolare sono da dimenticare, L’acqua non scende e per terra vedo una ventosa che non mi induce a pensare a nulla di positivo. Ma non importa. Oggi è San Silvestro ed alle 20:30 appena passate siamo felicemente ed incredibilmente seduti in un tavolino bene apparecchiato, benissimo, in maniche di camicia, al fresco, con una temperatura giusta, noi due qui, in mezzo all’ Africa. Guardo in alto e sopra di noi abbiamo uno splendido cielo stellato: wow!!!!!! Grazie! Solo a pensare a dove eravamo10 ore fa. Non mi sembra che ci sia nulla di organizzato, molto bene dunque ed ordiniamo intanto una splendida bottiglia Rift Valley Cabernet Sauvignon: molto, ma molto buono. Il buffet del “cenone” non lo è altrettanto. E’ molto triste sia per la varietà minima delle proposte, sia per qualità. Non abbiamo grandi scelte.; alette di pollo, spezzatino forse di zebù, crema di lenticchie, riso in bianco, pezzi di manzo tipo gulash piccante. Non c'è altro!!!! Non importa, siamo noi e poi il gruppo di lituani , tre portoghesi, una coppia spagnola, due ragazzi giovani americani e poi qualche coppia, decisamente non più giovane… e se lo diciamo noi!!!. La serata e la cena non prevedono particolari festeggiamenti. Non ci sono dolci o creme, neppure una marmellatina. Però proprio per la ricorrenza ecco che alle 21.15 con un piccolo rituale, sopra un grande piatto……. ecco che portano del pane caldo appena sfornato. Si. Proprio e solo del pane caldo, senza alcuna farcitura. Ci scambiamo dei piccoli pezzi di pane e poi chi in piedi chi seduto anche un mezzo brindisi con quello che ciascuno ha sul tavolo; noi per fortuna abbiamo ancora dell'ottimo vino. E allora via alle danze. Comincia la musica che qualcuno ha preparato più o meno inopinatamente, ma vince l’allegria e qualcuno del gruppo lituano si mette a ballare. Si cerca in tutti i modi di fare un po’ di allegria e si sorride tutti o quasi. C’è sempre quello che si alza e va in camera ancora prima. I camerieri portano furtivamente 3 botti e ci chiedono, proprio a noi, se vogliamo accenderli. Non se ne parla neppure. Decliniamo l’invito e per fortuna. Li appoggiano loro per terra accanto ai tavoli. Due di questi sono la classica fontanella alta un metro o poco più che dura quei 30 secondi per fare un po’ di festa. Il terzo parte e poi scoppia, il cameriere perde il controllo, partono mini razzi in tutte le direzioni ad altezza uomo ed uno mi passa a meno di venti centimetri dal braccio. Mezzo parapiglia, chi si prende un attacco di panico, mentre altri piccoli fuochi partono dappertutto e poi direttamente in cielo dove sbottano di nuovo. Ma che “maradona” è mai questo. E per fortuna nessuno si è fatto male. Ma che rischio!!!! E allora tanti saluti, scampato il pericolo si va a nanna. Non sono ancora le 22 e chiudono anche i generatori della corrente. Ora internet funziona a scatti. Non posso e dunque non riusciamo a collegarci con l’Italia ed a mandare foto e gli auguri. Solo con il telefonino con la card etiope riusciamo a fare qualche spizzico di augurio, ma si prende poco, non si capisce nulla. Interpretiamo e speriamo che tutti siano felici. Comunque anche questa è l'Etiopia ed anche questo è il fascino di dove siamo ora. Non so, ma credo che non si possa scegliere di venire fino a qui per caso e noi non siamo venuti qui per il Capodanno da festeggiare. Siamo a 600 chilometri a sud della capitale Addis Abeba, anche per esplorare due degli otto parchi nazionali etiopi (il Mago e l’Omo), nati per proteggere savane e foreste di acacie, riconosciuti anche dall’Unesco. Non vedo nessuno e noi tanto meno impegnato a cercare leoni, elefanti, bufali, leopardi, giraffe, zebre. Gli animali selvaggi esistono, sostengono i ranger, ma sono pochi e difficili da avvistare. Non si viene qui per godere i lussi di campi tendati etnochic, tanto diffusi in altri Paesi africani. I lodge non mancano, ma sono semplici, spesso confortevoli e funzionali all’itinerario. Si arriva fin qui per ammirare, finché sarà possibile, un’umanità diversa e unica, che fa riflettere. Ed adattarsi è la parola chiave. Questo però ci consente, come una macchina del tempo, di tornare indietro per gettare uno sguardo sulla vita di millenni fa. Non è solo un tour turistico, ma proviamo a renderlo un viaggio che diventi confronto e dialogo, senza bisogno di parole, con le persone che si incontrano, un’esperienza da vivere con realismo e un pizzico di disincanto. Per non cadere nel falso mito del paradiso terrestre. Se la Valle dell’Omo un eden lo è davvero, e si nutre di natura e di cultura primordiali e intense, di certo non ha nulla di incontaminato. E l’incontro con la gente dei villaggi non è né spontaneo, né innocente. Non mi sembra ci sia più alcuna popolazione o etnia, anche in quest’angolo di Africa, che sia rimasta indifferente alle lusinghe dell’industria turistica. E spesso si rischia di provare fastidio per la loro natura mercenaria. Ma non si deve dimenticare che questo può essere il mezzo attraverso il quale i gruppi etnici traggono sostentamento economico e riescono a conservare le loro tradizioni. Vivono con molte caratteristiche comuni: la religione animista, la poligamia, le scarificazioni corporali, la nudità, il potere assoluto dei maschi e la subalternità delle donne. Alcune etnie vivono di agricoltura, altre di pastorizia, altre ancora di caccia e di pesca. Su tutto dominano i corpi che comunicano e parlano. Sempre abbelliti. E qualsiasi oggetto può servire per realizzare collane, orecchini, bracciali, gonnellini: frammenti di ossi e avorio, perline di vetro, alluminio, legno, corteccia, conchiglie, semi. E rimaniamo increduli. E vediamo ed ammiriamo cercando di riconoscerli per la varietà nelle acconciature: treccine spalmate di burro, fermate da cilindretti di osso e legno, riccioli tagliati a caschetto o attorcigliati intorno alla testa. Per gli uomini, cranio rasato con ciuffi arricchiti di piume, creste, codini. Una babele di bellezze e di stili. Questa inesauribile creatività risponde però a una sola, fondamentale esigenza: distinguersi in base al gruppo di appartenenza, di età e allo status sociale. Forse abbiamo ancora noi tanto da imparare!
  7. Mi avrebbero fatto piacere vostre impressioni. Giudizi. Considerazioni.ancge per capire se in questi forum questo tipo d diari interessano o sono " un po' troppo border line" E magari è più opportuno sintetizzarli..o farli con un format diverso Se i capi e non solo possono vogliono consigliarmi😍
  8. Finalmente cominciamo a girare per il villaggio, abbastanza piccolo e riusciamo bene a vedere anche per conoscere e sono continui gli scambi di occhiate. Ci confrontiamo guardandoci forti negli occhi con donne, bambini, ragazze, uomini e anziani. Visitiamo in parte i loro capanni, ammiriamo i loro fuochi, il loro modo di essere. Sono disponibili, sorridenti; certo prendono i soldi, ma non ti danno una sensazione greve o di disagio, anzi le immagini dicono più di qualsiasi parola,,,,,, a sproposito non è uno zoo. E' una vita ma se si guarda nei loro occhi, anche in queste foto, ANCHE NEI BAMBINI PICCOLI, credo che si possano vedere tante cose, se si vogliono vedere!
  9. No, non sei allo zoo. Noi li abbiamo abituati e se avrai pazienza di continuare a leggere, ti renderai conto come siamo stati noi, anche in combutta con il precedente governo, che abbiamo tolto loro le terre, la vita e li abbiamo costretti a segregarsi in piccole zone. Non sono delle riserve tipo Pellerossa, ma solo perchè le etnie sono troppo diverse le une dalle altre, troppo legate alle proprie ancestrali tradizioni, integralmente integrate in quella che è la natura in cui vivono e dalla quale non hanno o meglio non avrebbero nessuna intenzione di staccarsi No, non è uno zoo. loro ci credono, se permettiamo loro di vivere ancora Non si mettono in mostra, a meno che tu non lo chieda esplicitamente e potresti avere una risposta positiva, pagando, ma anche una risposta molto aggressiva anche se proponi dei soldi.
  10. 31/12 Giorno 5: MAGO-PARCO NAZIONALE, MURSI poi trasferimento a Turmi) Facciamo una escursione al Parco Nazionale Mago. il nostro obiettivo principale sono i villaggi dei Mursi.😍 31 dicembre oggi è l'ultimo dell'anno Che meraviglia. Che ricordi. Anche oggi possiamo salutare l’anno che se ne va in un modo diverso. Tanti anni tra la neve e le sciate e poi tra le dune in Oman, il Sik di Petra, , la piazza di Marrakesh,, la Cittadella di Damasco, Abu Simbel, i templi di Bagan. Sempre a cavallo dell’ultimo dell’anno. Ed anche oggi abbiamo la fortuna di essere in questa stupenda parte del mondo. La sveglia è altrettanto splendida: il tukul si è rivelato poi perfetto. Apro la porta e davanti a me il sole fa capolino davanti al monte, anche qui come ieri. Posto diverso, ma esperienza molto simile. Che bello! Andiamo a colazione, piuttosto modesta, Poi due passi tra il verde del villaggio e ripartiamo per una giornata che è forse la più importante o quasi del nostro tour. E per farla bene, non bisogna che caschino i pantaloni ed allora come prima cosa, dopo colazione, andiamo a comprare la cintura. Mule ci porta lungo una strada vicino al centro e ne vedo tante in un baracchino. Bene, la scelgo in pochi secondi: bella, in pelle cuoio e la compro per 100 bir. Non discuto sul prezzo, sono meno di 3 euro ed è perfetta come misura e come “buchi”. Entriamo nel MAGO National Park per visitare i villaggi dell’etnia MURSI! 70 km di sterrato in mezzo al nulla per andare a scoprire questo sensazionale popolo I Mursi sono agricoltori e allevatori semi-nomadi e vivono principalmente all'interno del Mago N.P., Questa è ritenuta ed è vero una delle zone più impervie della regione dell'Omo. Non si sa di preciso il motivo di questa usanza, alcuni antropologi ipotizzano che servisse a scoraggiare il rapimento delle donne da parte degli schiavisti. I Mursi sono forse il popolo più enigmatico e sfuggente della valle: il più intrigante. Sono rimasti in soli 8.000 individui, circa (forse meno), e devono difendersi strenuamente sia dall’assimilazione che dall’attacco del “progresso”, dal quale per ora rifuggono. Sono bellissimi (considerano noi bianchi brutti e “sporchi” perché ci copriamo con magliette e pantaloni, mentre loro sono orgogliosi di esibire la propria nudità e il portamento statuario che li caratterizza) e hanno una grande cura del loro corpo, che lavano e disegnano incessantemente. I dischi labiali in terracotta, che adornano il labbro inferiore delle loro donne, da qualche tempo non sono più obbligatori, quindi molte ragazze non li usano più Si è molto discusso sul motivo dell’adozione, per secoli, di tale piattello. Probabilmente questa pratica è motivata da un fatto puramente estetico, decorativo (come i tatuaggi e i piercing delle ragazze occidentali di oggi). Resta il fatto che le ragazze Mursi godono di grande libertà: appaiono strafottenti e intemperanti ancor più delle nostre adolescenti. Sanno, infatti, di avere una proprietà unica, una ricchezza potenziale da far tremare le gambe… Infatti fra i Mursi i matrimoni sono sono d’amore, ed è la giovane donna a scegliere il partner. Se questi corrisponde, e i due vogliono sposarsi, la famiglia del ragazzo dovrà sborsare un capitale incredibile per il matrimonio: a seconda dei clan (e della ricchezza delle due famiglie). Si va dai 35 fino ai 100 capi di bestiame: un dono capace di far vivere agiatamente tutta la famiglia della sposa. Per questo motivo fra i Mursi la nascita di una bambina (invece che di un maschio) è sempre molto ben vista (specie se, crescendo, la bimba si rivela carina). Massima libertà sessuale e disprezzo per il lavoro (a favore del tempo del divertimento, della cura di sé, del corteggiamento, del racconto tramandato a voce, del canto e della danza) caratterizzano i Mursi. I Mursi difendono strenuamente e con fierezza la propria libertà. È bello stare con loro a lungo, provare a comunicare. Realizzano, fra l’altro, oggetti decorativi e monili meravigliosi che abbiamo comprato, per forza….non potevamo sottrarci all’abbraccio di folla!!!!! Vivono davvero in condizioni molto singolari e lontani dal “mondo”. Partiamo e facciamo 70 km, in larghissima parte di sterrato nel nulla o quasi. Poi ogni tanto, improvvisamente a lato lungo la strada alcuni ragazzi dipinti si inventano balletti, altri orgogliosi si mettono in mostra: Attendono che qualcuno si fermi e li fotografi, ovviamente a pagamento. Il territorio del Mago Park è in gran parte savana con alta erba ,ogni tanto interrotta da grandi alberi o piccole acacie. Oltre alla nostra non ci sono altre strade, solo qualche sentiero e non mancano anche qui le buche che oggi sono “sopportabili” ma che poi nel periodo estivo, dopo itemporali, diventano quanto mai difficili da gestire. Bene oggi è una bella e calda giornata di sole. Speriamo non cambi in peggio. In questo territorio vivono i Mursi ed il parco è stato dichiarato nazionale dell'Etiopia nel 1971. Arriviamo quasi contemporaneamente ad altre tre Jeep C'è turismo, ma me ne i aspettavo molto di più. Faccio un rapido conto. Con le guide siamo in meno di 20. Già in auto abbiamo chiesto a Nur di accordarci per l’entrata ed il pagamento delle fotografie e per evitare il tot bir x ogni foto. . Bene, riusciamo a concordare 200 bir ogni macchina fotografica e cento altri bir per la telecamera:500 bir in due tra me e Cele. In questo modo possiamo chiacchierare o meglio confabulare, vedere, girare, scattare foto e fare video liberamente. Ma questo vuole anche dire che anche loro sono libere di assalirci e di starci attaccate sempre e ovunque, sia per farsi fotografare, sia per cercare di vendere quello che hanno fatto. Dalle donne anziane quasi preganti, alle donne orgogliose di ogni loro manufatto, alle ragazze che ti mandano sguardi tra inquietanti ed intriganti con sorrisi maliziosi per vendere, alle bambine che ci provano anche loro insistenti. Però è bellissimo. Non mi stancherei mai, ma sono estenuanti! In gran parte la base della loro sussistenza deriva proprio da questo Sono incantevoli, bellissime, affascinanti, con i costumi colorati, gli occhi nerissimi e fieri; le ragazze sono tutte alte e magre. Anche gli uomini, peraltro meno evidenti e più defilati E per 15 minuti almeno siamo letteralmente assaliti, circondati e ci mostrano e mettono in mano i piattelli labiali in terracotta o oggetti in argilla o in legno, decorati e animali colorati. La contrattazione è quasi esasperante, ma non si può non sorridere. Alla fine stabiliamo un prezzo forfait per comprare un po’ da tute, ma è ovvio che alcune non ci stanno e altre siano scontente. Interviene Nur e con pazienza infinita sistema tutto. AHHHHHH! ma il mondo è anche questo e noi abbiamo la fortuna di esserci!
  11. E allora altra strada ora verso Jinka. Arriviamo alle 16:45 e c’è ancora caldo e tanta luce. Nur ha l’appuntamento con una guida locale, per poter entrare lei villaggi, tra le case, visitare le abitazioni e poter girare “indisturbati”. Ecco questa è una parola complicata da utilizzare in Etiopia ed anche in questo luogo, di cui ho un ricordo meraviglioso. Siamo attorniati nell’arco di pochi secondi da bambini che ci vogliono toccare e salutare. A differenza di altri, al momento non sono invadenti, ma sorridenti. Ci cercano e ci accompagnano, forse secondo un percorso prestabilito, che vuole farci conoscere o raccontarci il loro modo di vivere, dalla lavorazione della terracotta, alla preparazione della piadina, alla lavorazione del ferro a come vivono nelle loro case Ma non sono officine o altro appositamente allestite per il turista di passaggio. Sono fasi della loro vita che frequentiamo, anche se a volte ci chiedono di comprare qualche manufatto. Ma solo all’inizio Con i bambini sono subito molto chiaro. Nessun bir. Solo sorrisi, ciao e compagnia, se vogliono qualche foto da condividere e tanta allegria!!!! Strano. Accettano, Anzi sono contenti. Fanno a gara per prendermi per le dita. Un bambino con il martello raddrizza decine di chiodi, e non avrà più di 8 anni, non alza mai la testa, va avanti a martellare su un sasso, inginocchiato. Il chiodo sistemato lo ripone in una sacca sulle spalle, ne prende un altro e via. Gli passo vicino, forse non si accorge nemmeno della mia presenza. Mi allontano, mi giro. Lui sempre lì a sbattere con precisione, senza mai fermarsi. Buchi sulle gambe, botte e "pedalare". Mai un ahia, mai un lamento. Cele prova anche lei a fare la piadina, con risultati discreti, ma rischiando di scottarsi le gambe. Qui lavorano a gambe nude a 10 cm dal fuoco acceso come nulla fosse. Cambiamo posto, sempre in gruppo nonostante la guida cerchi di zittire i bambini vocianti e scalmanati. Entriamo ad soli tra altre capanne. Devo fare pipì e chiedo dove posso. Mi indicano il loro “servizio”. Torno e Cele mi domanda se sto male. Mi distraggo subito : davanti a me un ragazzino di dieci anni forgia delle lame perfette come un grande fabbro, tradizione obbligatoria di famiglia. Ogni famiglia è numerosa; i bambini sono dappertutto, ma qui molto sorridenti. Esco e mi obbligano ancora a prenderli per mano: E’ molto probabile che sia un comportamento studiato, ma al momento non me ne rendo conto, forse non voglio accorgermi e soprattutto mi fa piacere anche perché mi sembra di adottarne in pochi attimi una decina. Fantastico! Ci impegniamo in qualche Olé per fare la foto insieme, poi con altri saltiamo e giochiamo, camminando tra una casa e l'altra. Hanno capito Ho detto che non ho soldi. Mi trovo casualmente dei fazzoletti kleenex e quando li vedono scatenano un putiferio! Allora ne prendo uno alla volta, lo divido in piccoli francobolli di carta, l'unica cosa che ho. Si mettono intorno e li passo mano per mano ad ognuno, anche se qualcuno lo nasconde subito per averne un altro. Ma è quasi un gioco. Loro sono felici, accarezzano il pezzo di carta tissue come fosse preziosa seta e lo mostrano orgogliosi. Arriviamo alla Toyota per rientrare. Vorrebbero seguirci anche in auto e io forse avrei anche tanta voglia di assecondarli. Due ragazzine vestite di niente mi chiedono di aiutarle. In questo ginepraio se mi permetto di fare una mossa inconsulta sarei matto. Preferiamo lasciare alla guida. Sperando ci pensi lei a distribuire come meglio crede, sperando che lo faccia sul serio. Sperando. La guida locale invece fa la voce grossa, perché non ci disturbino, ma non ci disturbano affatto. Vorrei rimanere qui ancora per un po’. E d’improvviso loro si intristiscono, qualcuno saluta con gli occhi velati, un po’ come i miei. Emozionante davvero poter vivere anche questi momenti. Sono ricordi e grossi pugni, che però non fanno male, questa volta. Poi in 10 minuti arriviamo all’ECO OMO LODGE. E’ un insieme di tucul, in mezzo alla foresta, defilato rispetto al centro di Jinka. Le strutture al primo momento ci paiono poco più che fatiscenti, ma sono abbastanza puliti, sono tende fisse su piedistalli di cemento. Hanno anche un bagno privato, l' acqua scende a rivoli, ma è calda. Il wi fi prende solo alla mini reception, ma è già molto. Cala il sole e la temperatura cala di brutto. Ceniamo insieme con Nur alle 19:30. La cena è a buffet. il locale è pulito, abbastanza buio, un po’ triste. Peraltro ho una fame da lupetti. L’insalata di pranzo mi ha fatto bau. Prendo due volte delle penne aglio olio, da non credere! In questi giorni mi sto lanciando in piatti italiani, come non ho mai fatto in vita mia all'estero. Esagero: una zuppa di lenticchie ed un bel pezzo di pizza quasi buona e poi anche delle melanzane alla parmigiana. Ecco, queste potevo tranquillamente lasciarle sul carrello. Completo lo scofanamento con delle buone verdure lesse. Cele con Nur provano anche il dolce. Evito. Con Cele ricordiamo i tanti avvenimenti della giornata. Cambio con (banca)Nur €100 con oltre 3600 bir in taglio piccolo che ci serviranno per domani per pagare le entrate e le foto ai Mursi. Ci dicono che l’elettricità va e viene. Per fortuna riusciamo a caricare cellulari e quant'altro. Sistemo ed aggiorno il diario. Controllo i pantaloni. Domani farà caldo certamente; domani mattina devo comprare la cintura altrimenti sono cavoli amari. Buona nanna.
  12. Passiamo alla reception per saldare il conto del vino di queste due sere: Mi accorgo che ci hanno addebitato una bottiglia diversa e dal costo molto più alto. Piccola, ma necessaria discussione e poi tutto si sistema. Incontriamo e salutiamo anche Marco e famiglia; rientrano ad Addis Abeba in volo; nel piccolo store hanno appena comprato uno mini coccodrillo gonfiabile per il loro figlio, Christian. Proprio davanti alla reception due grossi facoceri si trastullano con qualche frutto gettato da qualcuno per terra. Mule ci riceve con il consueto sorriso e ci mette di un ulteriore buon umore. Partiamo con destinazione Konso e lungo la strada la solita umanità, alternata alle ormai solite mandrie ed alle altrettanto non evitabili malefiche buche, anche se in questo tratto comunque un po' più rare! Scendiamo di altitudine e ci addentriamo ella RIFT VALLEY; si cominciamo a distinguere anche i terrazzamenti che caratterizzano i Konso. Anche questi sono Patrimonio UNESCO. Ci sarebbe tanto da filmare per ricordare meglio, ma ogni volta che ci fermiamo, anche per un non nulla, neppure il tempo di scendere dall’auto e di scattare una foto sola, ecco che siamo attorniati, quasi oppressi da decine d bambini e di ragazzi comunque giovani che e sbucano dal niente. Tutti pronti a chiedere soldi o altro. Alcuni in modo lamentoso, altri in modo gentile, alcuni anche in tono aggressivo. Battono le mani sui finestrini e cercano anche di aprire la porta: Quando scendiamo dall'auto siamo circondati E cercano anche loro di intrufolarsi all'interno del veicolo. Un ragazzo prova con uno strattone a prendermi qualcosa anche da una tasca. Lo fulmino con lo sguardo e lui irridendomi scappa via velocemente. C’è molto da capire sul perché di questo atteggiamento, molto fastidioso, ma ci sono tanti perché, che non possiamo non considerare!!! Fotografarli può diventare un incubo. Entriamo nel territorio dei Konso. Vivono a Konso e nei villaggi limitrofi, come Gesergio e Machekie. Coltivano la terra con un sistema di terrazzamenti e la coltura principale è il sorgo. Una tradizione che li contraddistingue è quella di erigere i waga in memoria dei guerrieri morti: si tratta di sculture in legno che simboleggiano il guerriero, le sue mogli, i nemici e gli animali feroci uccisi. Ormai rimangono pochissimi waga nei villaggi Konso, perchè molti sono stati venduti a turisti e antiquari o trafugati Ed arriviamo a Konso, non manca molto all’ora di pranzo, ma adesso l’obiettivo è quello di vedere il mercato che si tiene nella parte nord della cittadina, lungo la strada. Tutti i prodotti sono messi anche ordinati sopra stracci o panni direttamente a terra. Camminiamo prima insieme a Nur, poi mi stacco e vado per i miei giri, scrutato dalla gente del posto. Al momento non ci sono occidentali. Siamo tutti sotto il sole che scotta. Molta polvere e tanti rumori. Mi rendo conto di essere un osservato speciale e devo muovermi con rispetto e molta attenzione, anche nel fotografare. Cele si fida meno. Cammina con Nur e e compra della stoffa colorata. Qui si può trovare un po' di tutto nella grande confusione, tutto appoggiato per terra. Entrambi riusciamo a rubare solo qualche scatto. Poi è meglio uscire e risaliamo in auto. Anche ora ci guardano come scocciatori. Scendiamo solo di poche centinaia di metri e pranziamo al Konso Kanta Lodge. Qui torneremo dopodomani per dormire nel resort.. Siamo all’aperto all’ombra di un grande albero, nel cortile. Poco distanti ad noi altri tavoli molto più chiassosi con diversi turisti seduti. Il posto è molto bello tra bouganville, piante e tutto è molto curato. La vista è spettacolare sulla valle. Il ristorante appare buono, sembra!!!!Oggi o mi limito soltanto a prendere insalata e macedonia con una nella birra fresca Cele insiste e assaggia il beef, al solito duro e filamentoso e quindi alquanto sconsigliato. Concludiamo il pranzo con l’altrettanto solito caffè, questa volta non accompagnato da “cose” strane. Ci rimettiamo in auto, sempre sotto il sole; il paesaggio rimane verde, bello. La strada ora diventa clamorosamente un lungo rettilineo, punteggiato da alcune buche molto ingannatrici e profonde che non permettono grandi accelerate, anzi, consigliano particolare cautela. Dopo una curva, anomala in questo tratto, ecco all'improvviso sbucano proprio in mezzo alla strada cinque ragazzi, sono tutti colorati e camminano su dei trampoli. sono belli e riportano i colori e i disegni che usano frequentemente durante le loro manifestazioni e feste, dal salto del Toro, ai matrimoni, ai funerali, alle ricorrenze. Forse possono sembrare fastidiosi, ma in questo caso fanno curiosità, interesse, compagnia e rispetto e probabilmente hanno comunque ragione, perché è anche questo un modo per sopravvivere, lontano dai nostri pensieri, ma come siamo diversi e come sono diverse le situazioni di vita. E’ bastato nascere dalla parte opposta dell’Emisfero, nulla di più!!!!!!!!
  13. 30/12 Giorno 4: ARBA MINCH – KONSO – JINKA Sulla strada per Jinka passiamo per il mercato di Konso. Questo gruppo etnico è famoso per i loro campi a terrazze sostenuti da muri in pietra, così come le loro stele sepolcrali di legno. I loro villaggi hanno una struttura fissa, in cui una casa della comunità per gli uomini non sposati costituisce il punto centrale. Jinka Eco Omo Lodge Oggi è il 30 dicembre, il penultimo giorno dell'anno. Abbiamo passato una notte non ottimale, almeno per me, ma devo aver rotto un poco le scatole nel sonno anche alla povera mia coinquilina!!!!!. Mi sono svegliato continuamente e anche adesso sono con gli occhi spalancati! E manca ancora tanto alle 7, all’ orario previsto al quale ho fissato la sveglia. Mi alzo mentre davanti a noi comincia ad albeggiare; oggi non piove ed il sole sta sorgendo sopra il manto di nebbia e sopra il monte-vulcano tra i due laghi. Mi ricorda tanto il vulcani neri di quest'estate a Flores e le albe passate solo pochi mesi fa. Anche Cele si alza e mi segue fuori in terrazzo. Poi chiudiamo definitivamente le valigie. Nella fretta, ma forse nel sonno che mi rinco…mi dimentico sulla sedia la mia unica cintura. Accipicchia!!! Me ne rendo conto ovviamente non ora, ma solo quando poi servirà indossando pantaloni senza la corda. Intanto scendiamo i pochi metri per fare colazione. Oggi fa molto più caldo, ma ci vuol poco dopo la mattinata di ieri. Il sole c'è anche se non è proprio limpido. Mi spazzolo crepes, tè al ginger, caffè e papaya; tutto buono e mangiato rapidamente.
  14. All'improvviso, appena dietro di noi,................................................................................................................................................. appena dietro di noi, un grande maschio sbuca dal nulla e sale con le sue zampone sulla terra come per salire ed inchiappettare la femmina che non ci sta e scappa buttandosi rapidamente in acqua, inseguita dal maschio, enorme! Tutto si svolge in pochi secondi, tutto davanti a noi; l'adrenalina è decollata in pochi attimi e il solo ripensarci ci fa venire i brividi. Incredibile: riguardiamo foto e filmati per credere davvero di averlo vissuto. Anche il capitano ci racconta che non ha mai assistito ad una scena così e così da vicino. Ci spostiamo e affianchiamo un grande stormo di Marabù. Altri due minuti ed adesso siamo davanti ad un piccolo branco di ippopotami. Vorremo provare ad avvicinarci, ma la cautela è d’obbligo. Infatti il più grosso, proprio a pochi metri da noi, si immerge minaccioso sbuffando ed il capitano della barca accelera rapidamente per evitare brutte sorprese. Poi prova a rientrare verso il branco, ma da lontano. Quindi cominciamo a rientrare. Torniamo verso la piccola darsena con tanti ricordi già negli occhi e con il sole e si alterna tra le nuvole stilizzate e disegnate nel cielo. Entriamo contenti e gasati nel resort, quindi in camera anche finalmente per sistemare file e foto. Il wifi prende poco ed uso la sim etiope per chiamare in Italia: tutto bene. vista dalla camera Alle 19:45 scendiamo a cena. Nur digiuna. Non prende nulla: dice seriamente che è una sua filosofia, mangia solo una volta al giorno; vuole vivere fino a 150 anni e mangia o a pranzo o a cena. Con tutto il rispetto non ce ne può fregare di meno. Il tavolo è sempre quello, bellissimo, all’aperto, sotto il limite del tetto, sul bordo del terrazzo. Invece del barbecue optiamo per il self service Noi ceniamo e riordiniamo il vino di ieri sera. Buono anche questa sera. Volevamo quasi quasi provare il Rift Valley, ma Nur si è alzato e ha cercato di anticiparci per fare una cortesia. Intorno al buffet c’è un bel casino. Le solite persone che potrebbero digiunare per mesi che si lamentano perché il brodo è finito o il sugo della carne ha delle patate in mezzo. E fanno ritardare il servizio che sarebbe valido, con diverso personale e cameriere carine ed efficienti. Siamo ormai coinvolti nel nostro tour. Riempiamo Nur di domande. Lui non mangia e può parlare liberamente. Poi rivediamo Marco; ci fa per qualche minuto compagnia, ma è impegnato a seguire due coppie di bresciani, circa della nostra età, che pure si sono affidati alla sua agenzia, ma che, a differenza nostra, hanno deciso di scendere ad Arba Minch in aereo e non in auto. Forse hanno fatto bene, ma è un dubbio che mi assale anche adesso, perché il lungo viaggio in 4x4 ci ha permesso di “entrare” a poco a poco in Etiopia ed ora ci troviamo perfettamente dentro! Facciamo due brevi chiacchiere di conoscenza anche con loro, ma alle 21:30 siamo in camera nuovamente. Fuori fa freddino, la temperatura cala velocemente dopo il tramonto ed è meglio non stare all'aperto. Forse siamo stati fino ad ora all’aperto un po’ troppo, forse sono un po’ leggerino e la tosse mi comincia a salire fastidiosa e preoccupante.
  15. riprendo..... Poi andiamo appena sotto la zona abitata, in un campo di piante coltivato e dove sono decine e decine di finti banani La donna, ora senza bambino in spalla e che, ha smesso di ululare, ma che mi guarda male da lontano, con una tavoletta di legno sfibra con cura le foglie ad una ad una, raccogliendo una pasta molle e appiccicaticcia che poi viene ammassata e sepolta in una buca del terreno, avvolta accuratamente in altre foglie, in modo che non sia sporcato dal terreno. Qui l'impasto fermenta 30 giorni, poi viene tolto , sminuzzato in piccoli frammenti e quindi mescolato con acqua per formare un nuovo impasto con il quale viene preparata la piadina (tipo quella dell'injera). Poi la porta vicino al fuoco e la cuoce su una piastra direttamente sul fuoco, da entrambi i lati. Normalmente il kotcho viene utilizzato come pane e mescolato a salse piccantissime a base di peperoncino. Infatti i ci trasferiamo in una capanna vicina dove sono esposti le loro tovaglie e sciarpe. Su una tavola sono appoggiati il “pane Kotcho e il terribile liquore a 44 gradi che estraggono dal surgo, l’arekè. Naturalmente noi dobbiamo assaggiare il prodotto appena ottenuto, soprattutto se subito dopo si butta giù, fornito ad uso idraulico liquido, tra le ovazioni degli astanti ed una serie di oi oi oi, che incitano ad inghiottire senza pensarci troppo. Ed è ill nostro amico leopardato che intona brindando o yo-yo, un tipico brindisi augurale, Evvia in un bel sorso tutto di un fiato. Beh, scalda un bel po’. Poi compriamo per cifre spropositate (10/15 euro l’una) alcune sciarpe in cotone tessute da loro, ma comunque belle e particolari, molto lunghe e colorate. Sono proprio i Dorze ad essere famosi per la loro tipica lavorazione a mano a telaio. Comunque è bello; ci stiamo divertendo e rilassando, in particolare dopo la giornata di ieri. Quello che poi assaggiamo è un po’ strano, servito bene, ovvio con le mani, ma questi sono normali altri tipici momenti e spaccati di vita, dalla raccolta del banano finto, alla lavorazione, come la “piadina preparata e poi scaldata. Non possiamo certo respingere. Stiamo cercando anche queste esperienze!!!! Vista l'ora non proseguiamo verso Chencha, dove peraltro c’è il mercato, ma in quali condizioni sarà visto il fango. Prima di salire in auto il ragazzo Dorze mi implora di pulirmi le scarpe ed anche a Cele. Inizialmente cerco di evitare, ma poi mi rendo conto di offenderlo e comincia con bastoncini e foglie a cercare di afre quanto possibile, ma è un’impresa titanica.. Una piccola mancia è obbligatoria, ma non mi è sembrato un atteggiamento finalizzato a raccogliere qualche birr, era proprio una cortesia per scusarsi della situazione. Lungo la discesa incrociamo alcuni bambini che ci fermano facendo capriole e ballando, questi si, solo per tirare su qualche soldo e se non lo facciamo subito, come è vero, corrono in discesa tagliando il tornante e te li ritrovi alla successiva curva ed a questo punto non ci si può esimere. Rientriamo al Paradise Lodge e attraversiamo Arba Minch con studenti e fedeli in bianco ovunque. Pranziamo con il sole che comincia a fare capolino. Tutti e tre ordiniamo pollo, chi ai ferri, chi pollo fritto ( saltato più che fritto) e pollo arrosto, modesto. Ma le patate fritte sono da urlo, da non credere. Oggi a pranzo solo acqua e caffè, questa volta accompagnato da incenso. Piccola pausa in camera e sbuca il sole, ma non ancora bello caldo Wow! dalla camera Alle 15 abbiamo appuntamento per il tour in barca sul lago Chamo e per il giro in barca il sole è fondamentale. Saliamo in Toyota prontamente sanificata e pulita da Mule dopo il “letamaio” creato dal fango e dalle nostre uscite e risalite ed ora siamo anche accompagnati da Marco in compagnia della moglie etiope e del piccolo figlio Cristian. Ci stringiamo, ma siamo belli comodi comunque. In paese prendiamo a bordo anche il “capitano” della barca che ci porterà in giro per il lago. E’ un vecchietto che non aprirà bocca in tutto pomeriggio, ma che si dimostra comunque abile quando serve. Il giro in barca dura un'ora e mezza Ed è molto carino. La barca è un barchino da 7/8 posti al massimo e siamo solo noi. Partiamo alle 15:45 da una tipico piccolo scalo che sbuca su uno stagno verdissimo, praticamente una piccola laguna e poi usciamo per dirigerci poi verso le più grandi Isole nel mezzo del Lago. Vediamo pellicani, gazzette, avvoltoi, aquile pescatrici e Malibu e anche sbucano dei coccodrilli almeno dei con gli occhi fuori dall'acqua ad intimidirsi ed a consigliarci di muoversi con cautela I nostri sguardi scrutano la superficie alla ricerca di qualche nuova sagoma, ma la mia quasi cecità mi porta a confondere di continuo i rami ed i piccoli tronchi con i possibili cocco Poi passiamo ancora tra pescatori (di frodo) che non raramente finiscono nello stomaco dei bestioni. Hanno delle ancora più sgangherate della nostra e non dubito che un colpo di coda li possa faccia volare in acqua, anche perché sono sempre in piedi a muovere le reti. E loro vicino i soliti immensi marabù. Cribbio sono anche io in piedi a cercare di fare qualche ripresa. Forse è meglio mi sieda e sia un po’ cauto. Poi davanti a noi, prima lontano ed ora sempre più vicino immortaliamo un bel cocco, no sono due ma quello sopra ha la bocca aperta e gli uccellini intorno si dimenano come per pulirgli la bocca e i denti come nei documentari di National Geographic. Li vediamo a due metri da noi che prudenti si avvicinano alle fauci spalancate. All'improvviso, appena dietro di noi, ........................................................................................................................................................................................................................................................................................................
  16. Ciao Luisa, può sorprendere solo in parte. tieni conto che questo villaggio è a 2850 metri di altitudine e Chencha raggiunge i 3000 metri !!!!! E' il punto quando finisce l'Altipiano e poi comincia la Rift Valley..... che poi siano abeti o pini potrei essermi sbagliato, certo non larici
  17. 29/12 Giorno 3: Arba Minch – villaggio Dorze verso Chencha. Pomeriggio Lago Chamo Al mattino saliamo per dei tornanti fino a quasi al villaggio Chencha, centro del gruppo etnico Dorze con le caratteristiche capanne di bambù e per vedere come questi producono un pane locale tipico dal falso banano (chiamato "Enzete"). A Chencha si svolge il mercato settimanale. Sulla strada ci fermiamo per godere la splendida vista dalle montagne sui due laghi Chamo e Abaya. Pernottamento come il giorno precedente. Paradise Lodge Nel pomeriggio esploriamo in barca il lago Chamo. Oltre al paesaggio bello, osserviamo i pescatori nelle loro tradizionali barche di papiro, e diversi tipi di animali come aironi, rapaci, pellicani, ippopotami e coccodrilli.. Arba Minch Circondata da montagne verdeggianti e sede di due dei più grandi laghi dell'Etiopia della Rift Valley, questa città è più di una comoda sosta notturna sul circuito meridionale. Con il Nechisar National Park e gli altipiani Dorze a due passi, merita di essere una destinazione a sé stante. Arba Minch (አርባ ምንጭ) è in realtà due città in una. I suoi doppi insediamenti di Shecha e Sikela, separati da 3 km di terra virtuale di nessuno, hanno personalità distinte. La più grande Sikela è più commerciale e caotica della sua sorella leggermente più raffinata su per la collina. Shecha offre anche una fantastica vista sui laghi. Arba Minch (in Amarico vuol dire, "40 sorgenti") è una città nell'Etiopia meridionale. Ci si può rivolgere alla città anche con i nomi di Gantar oppure di Minghi. È situata nella Zona Semien Omo Zone, nella Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud (S.N.N.P.R.), a circa 500 km a sud della capitale Addis Ababa. È la città più grande presente nella woreda di Arba Minch Zuria. Arba Minch ricevette il suo nome delle numerose sorgenti di acqua fresca presenti nella zona le quali danno vita a una foresta sopra ad una falda acquifera. Oltre alle sorgenti esiste anche un fiume che attraversa la città; il quale viene utilizzato dalla gente locale per lavare i vestiti e l'agricoltura. Collocata alla base della parte occidentale della Great Rift Valley, la città di Arba Minch e suddivisa in Arba Minch superiore, nella quale esiste il centro amministrativo (o Municipio) di Shecha, e la parte inferiore, 4 km più a valle, nella quale ci sono negozi e centri commerciali, il centro storico e le zone residenziali di Sikela le quali sono collegate tra di loro tramite strade asfaltate. Nella parte orientale di Sikela esiste il Parco Nazionale di Nechisar, il quale copre l'istmo di terra tra il Lago Abaya e il Lago Chamo, più a sud. La parte inferiore della città viene collegata con la parte superiore tramite degli autobus e dei taxi; sia la parte inferiore che la parte superiore della città hanno delle scuole. Arba Minch era dotata di strade che non erano asfaltate fino a che nel 1966 non le asfaltarono tutte quante. Il 15 luglio 1967 fu costruita una linea telefonica da Arba Minch alla capitale Addis Ababa del costo di 250.000 birr Etiopi Durante la notte ha piovuto, ma non piovuto appena appena, è venuto giù il cielo a dirotto: metto i piedi giù dal letto e splash! Una piccola pozza d'acqua si è formata all'interno della tukul, proprio alla base del palo di sostegno. Quando ci svegliamo alle 7:30 gocciola ancora, ma poco per fortuna.Usciamo con Cele fuori, sulla veranda della camera. Possiamo vedere quello che ieri sera abbiamo in parte intuito: i laghi sotto di noi si intravedono tra la bruma della umidità che sale dalla foresta. Pecà! E’ un peccato che la vista sia penalizzata, anche se già quello che si presenta davanti ai nostri occhi è splendido. Brrr….bel frescolino! Meglio vestirsi pesanti per ora. Al solito a colazione già ci aspetta e dopo i saluti ci diamo appuntamento alla reception. Anche oggi homelette per Cele ed invece un uovo scrambler per me. Poi un ottimo succo di papaya, fresco e poi tè etiope strong, caffè e pane jniera e ci metto anche un po' di riso. Usciamo e fango tutto intorno, la fa da padrone. Per quanto oggi sarà l'unico giorno di pioggia del nostro tour, ma l’approccio anche per le nostre povere scarpe è stato indubbiamente di un certo peso. Già con un bel peso sulle suole e con le scarpe per forza tutte melmose saliamo in auto sotto lo sguardo compassionevole di Mule, ben conscio che dovrà poi provvedere. Partiamo per raggiungere il villaggio DORZE, situato a oltre 2500 metri di altitudine Usciamo da ARBA MINCH, passiamo davanti all’università che è affollatissima di studenti e pare molto famosa in Africa, saliamo sulla montagna, la vegetazione è splendida quasi alpina, ci inoltriamo nei boschi di pino, dall’alto si vedono i due grandi laghi che circondano ARBA MINCH Dorze Vivono nei villaggi di Chencha e Dorze, nelle montagne che sovrastano Arba Minch. Sono agricoltori ed abili tessitori di cotone. Vivono in capanne che hanno una curiosa forma ad alveare, con una piccola stanza di entrata che sporge come un nasone dalla struttura principale. All'interno si trovano il recinto per gli animali, la zona dei genitori e la zona per i figli, al centro c'è il focolare. All'esterno si trovano un piccolo orto con le spezie, alcune piante di tabacco e numerose palme di ensete. In paese ad Alba Minch abbiamo appena visto centinaia di persone vestite in bianco prepararsi per la cerimonia della chiesa ortodossa e per la festa dell'Arcangelo Gabriele o così ci dice almeno Nur.In paese ad Alba Minch abbiamo appena visto centinaia di persone vestite in bianco prepararsi per la cerimonia della chiesa ortodossa e per la festa dell'Arcangelo Gabriele o così ci dice almeno Nur. Il fango rende ora la salita ancora più complicata: La strada è quasi un passo dolomitico, quelli però di 50 anni fa, tra buche e fango. Mulè più volte è costretto a l'inserimento di marce ridotte per salire. Anche qui e nonostante la pendenza della salita, sono diverse le persone che camminano a piedi lungo la strada, Altre persone stanno invece scendendo lungo la strada; sul bordo un camion si è rovesciato e numerose persone sono impegnate a studiare come sollevarlo e riportarlo in assetto Riusciamo a fatica a passare sul lato ed arriviamo al primo villaggio. Un ragazzo ci accompagna a visitare il suo gruppo di capanne: una grande capanna centrale altissima a forma di alveare con alcune tipo camere, con una tipo cucina e dall’altro lato della stessa capanna una altra stanza dove intravvedo alcune mucche Specialità del posto è la lavorazione del cotone e della fibra che ricavano dal finto banano. Dal tronco escono fuori fibre robustissime che sembrano fili, dalla polpa fatta macerare sotto foglie di banano ricavano una specie di pasta di pane con la quale ci preparano una “pizza” che più tardi assaggeremo. Piove ancora leggermente, il sentiero è scivoloso, pieno di fango. Ci teniamo attaccati l’un l’altro e ci “leghiamo” ad ogni possibile supporto di ramo o di steccato che sia. Tra pozzanghere e sassi entriamo nella loro tipica capanna con il naso dell'elefante. . Il capafamiglia ci presenta tutto orgoglioso la loro dimora; si prepara indossando una pelle di leopardo tramandata da generazioni. L’l'interno è buio, solo un piccolo fuoco riscalda ma al tempo stesso illumina. Notiamo due donne ed un bambino che cerca di intrufolarsi tra noi e poi si avvinghia vicino alla mia gamba. In un equilibrio precario scivolo appena all’indietro e gli pesto un po’ il povero piedino. Ora mi spiace, ma ulula che neanche Fantozzi ha mai fatto tanto. E va avanti per tutto il tempo che noi rimaniamo nella zona. Il capofamiglia non sembra preoccupato. La madre se lo mette in sacco-spalla e mi lancia delle occhiate che mi mettono in imbarazzo. Speriamo di tornare a casa. Ci racconta la loro storia, narrata tra aneddoti che ci incuriosiscono. L’ambiente è misero anche se abbastanza pulito, ordinato. Al momento siamo solo noi. Dopo mezz’ora arriva un gruppo di studenti di Arba Minch che abbiamo incontrato prima durante la salita. fermi in un pulmino dell'Università. Fanno allegria, poi spariscono. Provo a chiacchierare, con risultati passabili; ci fanno vedere bene come si tesse il cotone, che fin da bambini e solo gli uomini devono imparare Un altro uomo si mette al telaio; rimane l'attività tipica di molti uomini Dorzé, l'uso di un telaio che pur essendo molto artigianale, è piuttosto complesso con molte possibilità di alternanza di movimenti dell'ordito. L'uomo maneggia con destrezza le trazioni con le dita dei piedi prima di lanciare la spoletta con grande velocità e precisione. Le donne invece filano soltanto il cotone necessario alla tessitura, che viene considerata un'attività esclusivamente maschile. I lavori di questa tribù, scialli, teli, coperte e stoffe colorate, sono molto apprezzati nel paese per la complessità e la bellezza dei loro disegni, che si vedevano anche esposti al mercato. ................................................ ALLA PROSSIMA
  18. e che sia la volta buona e grazie per le informazioni!!!!!! Alle 13 siamo di nuovo seduti in auto .......................................................................................... e io spero proprio ancora di riuscire a raggiungere le cascate di Ajora; la strada è eterna, le buche ci rallentano, gli animali anche di più, il passaggio delle piccole cittadine è complicato. Sono cittadine di ventimila persone, forse anche meno, ma che si sviluppano in tutto lungo la strada in quanto normalmente non ci sono palazzi di più piani, e non mi stanco di ripeterlo: il traffico è bestiale anche perché ci sono un sacco di manifestazioni che si susseguono. Ma tutte oggi????’ il tempo passa e noi siamo sempre fermi, non so se increduli, attoniti o sbalorditi dal mix tra stupore di tutto questo baillame e la crescente convinzione di rendersi conto che non ce la faremo mai a fare quello che speravamo di fare. Alla bellezza frenetica di quello che ci circonda si contrappone la stanchezza della giornata di ieri e delle poche ore di riposo. Ci guardiamo: si alternano gioia e delusione con la ammirazione di un paesaggio e di una qualchecosa che cominciamo a capire ogni chilometro che passa.. Gli occhi rimangano aperti ad intermittenza; qualche dialogo tra Mule e Nur mi fa appena svegliare, ma poi riprendo una strana forma di catalessi fino al primo richiamo prostatico. Il trekking delle cascate lo stiamo oramai solo sognando. Magari, forse però riusciamo almeno a vederla da lontano, quello sì dai speriamo E nel frattempo...... Sono le 18:20 e siamo appena prima di Sodo. Mule si informa bene con gente del posto e sconsolato ci dice che per raggiungere le cascate, ma solo la partenza del percorso, è necessaria almeno mezz'ora e poi altri 30 minuti per tornare indietro, dove siamo ora. Poi per raggiungere Arba Minch ci vogliono almeno altre due ore perché con il prossimo buio, dopo il tramonto, poco dopo le 19, gli animali, oltre alle invisibili buche ci saranno gli animali che dai campi lungo le strade rientrano nei piccoli allevamenti e le strade non sono certo illuminate ed il rischio è dietro l’angolo . E Mule sta già guidando quasi ininterrottamente dalle 8 di questa mattina Amen. Razionalmente non possiamo fare gli imbecilli; decidiamo di partire subito e direttamente per Arba Minch. Ma mi sta venendo su il nervoso, il magone nel pensare che la giornata di oggi la stiamo passando praticamente immobili, seduti sulla sedia di una 4 x 4, quasi senza riuscire a fare una foto, se non di corsa dal finestrino. Mule corre il più veloce possibile, sì, possibile! Ed allora ci concentriamo ancora di più sui bordi della strada, che con i colori dell’imbrunire e del tramonto diventano incredibili, ma anche per la “paura” di quello che potrebbe succedere visto quello che sbuca ad ogni metro, tra le improvvise voragini e le ombre che si materializzano! Ecco bambini che corrono, ragazzi seduti lungo le strade, ragazze vestite eleganti che parlano quasi in mezzo, mamme con i i bambini che portano le solite taniche gialle, altre che lavano i panni lungo i torrenti e adesso….. attento agli asini carichi all'inverosimile ed ai carretti trainati da ragazzi, alcuni in piedi come fossero delle bighe altri invece normalmente seduti. Occhio guarda quelle donne con le ceste di legno in testa. Mamma mia, quei camion con i fari alti carichi di tutto. Cerchiamo di capire e di individuare e, quasi fossimo noi al volante, di riuscire ad evitare le persone ed i mille Tuc Tuc che caricano e scaricano uomini e donne oppure pacchi o sacchii e vediamo uomini vestiti a festa ed altri che hanno la miseria scritta in faccia, altri che come c…fanno, ma anche ora con il buio pesto stanno camminando, carichi come buoi. E tante donne con pesi pazzeschi sulle spalle e che credo facciano della loro esistenza un sacrificio quotidiano. Ci stiamo ora rendendo davvero conto di un mondo tanto diverso e da capire, anche qui! Siamo quasi sempre in silenzio, poi ci troviamo a sottolineare tutte queste enormi sfaccettature e sono solo alcuni dei 1000 spaccati che ci stanno riempiendo il cuore, il cervello, ogni qualvolta riusciamo ad aprire gli occhi e queste immagini ci stanno consumando già il primo giorno. E sono un bel pugno sullo stomaco! E cominciano a cementarsi ed a trasformarsi immediatamente in ricordi, anche se sono ora qui a lato, ma subito poi dietro di me, se mi giro dal finestrino. Mule è davvero magico, sfiora all’ultimo alcuni animali che sbucano dal niente; il buio viene distrutto di tanto in tanto dagli abbaglianti delle auto e dei camion che ci vengono incontro nell'altro senso e che non fanno nulla per evitarci. Si sfiorano le figure indistinguibili che sfrecciano a bordo della strada ancora come nulla fosse, come le ore che non passano, anche se l'ultimo villaggio lo abbiamo attraversato mezz'ora fa. Le luci di Arba Minch sembrano vicine, ma sono lontane, ma ci sono. Si vedono o meglio si intuiscono ed io le voglio vedere da quanto sono stanco. Cele è incredibile al solito; mai un lamento! Ed ancora qualche scossone di troppo, qualche buca presa in pieno, qualche frenata improvvisa e la speranza è quella di arrivare. Ed alle 20:30 arriviamo dopo una giornata quasi infinita. A quest’ora il check in è veloce e Nur coordina velocemente tutto. Entriamo e quasi subito usciamo dal tukul n 103 ed andiamo a cena. Wow, bello il posto anche se non si vede nulla, ma si intuisce sotto di noi la jungla ed il nulla. Che bravi; a cena ci hanno prenotato un tavolo sul bordo della Valle con vista anche se a quest'ora non c'è vista. Ma è bello lo stesso; peraltro c'è un vento freddo. Mentre aspettiamo, incontriamo e conosciamo Marco, il capo agenzia e con lui cii accordiamo per domani. A cena abbiamo due opzioni; barbecue o self service. Vista l’ora credo che il self service sia ben spazzolato e anche vedendo la postazione della cottura ci ispira il barbecue. Ordiniamo: pollo ai ferri per Nur e per me ed agnello per Cele. Attesa mezzo infinita e cibo tutto molto, ma molto mediocre. Molto meglio l’Acacia Red Dry, un vino rosso etiope di 13,5 °, sorprendente e ci ritorna l’allegria. Terminiamo la cena e corriamo in camera. Apriamo i bagagli, ma tiriamo fuori dalle valigie il minimo del minimo. Anche una Tachipirina. Non so a che ora ci salutiamo e ci diamo credo il primo e l'ultimo bacio della giornata. E’ bello stare con Cele anche perché mi rendo conto che entrambi abbiamo colto la fortuna e l'importanza dell'esperienza appena passata; stanchissimi! Buonanotte:ora sveglia fissata alle 7:30 di domani
  19. PANDA CREDO CHE ADESSO TU RIESCA A VEDERE ANCHE QUELLE DEL 27 CHIEDO CONFERMA
  20. tu vedi sempre, fantastica😍 Ora sono gli altri e vorrei capire perchè alcuni si ed altri no..... QUANDO PARTONO I TUOI AMICI E CHE PERCORSO FANNO?
  21. ok ricaricato foto in altro modo ditemi per favore se si vedono x TUTTI😁
  22. e ora in modo molto più intenso, perchè cominciano i pugni sullo stomaco 28/12 Giorno 2: ADDIS ABEBA – ARBA MINCH Il viaggio ad Arba Minch conduce prima attraverso l’altipiano etiopie (Butajira, Hosaina, Sodo). A sud di Addis Abeba facciamo il primo stop a Tiya. Il sito archeologico si compone di oltre 30 stele in pietra ricoperte di simboli di un'antica cultura etiope. Dal 1980 fa parte del patrimonio culturale mondiale dell'UNESCO. Tra Hosaina e Sodo avremmo voluto fare la deviazione per le cascate di Ajora. La strada scende poco a poco nella “African Great Rift Valley” fino alla città Arba Minch (tradotto “40 sorgenti”). Siamo andati a letto solo poche ore fa, ma sono già sveglio alle 6:50 e sarebbero le 4:50 italiane. Qui siamo due ore avanti (come pure ad Istanbul) rispetto a Padova. Faccio piano piano ed alzo la cornetta del telefono per evitare che quelli della reception sveglino Cele di soprassalto; mi fiondo in doccia. Veloce e calda…ah…mi sento in forma…ma non so fino a quando. Apro la porta del bagno e ….appena in tempo. Bussano alla porta: ringrazio il ragazzo della reception, salito per vedere che cosa era successo al telefono, tutto preoccupato; un po’ mi spiace per lui. Cele credo fosse già mezza sveglia e con il ticchettio si alza rapidamente. Il cambio è quasi immediato: sistemiamo lo zaino per il giorno di viaggio di oggi e prendo le scarpe per “camminare. Speriamo di fare il trekking delle cascate, delle AJORA FALLS, ma non ho idea del tempo di percorrenza del lungo tratto da Addis Abeba fino ad Arba Minch ed in particolare del traffico. O meglio guardando Google Maps faccio delle ipotesi, poco credibili poi vista la situazione delle strade. Oggi è sabato 28 dicembre. Con Cele andiamo alle 7:30 per la nostar prima colazione etiope, vediamo un po’! Nur ci sta spettando, bene; buona la puntualità. Ha già concluso e mangia pochissimo o niente ed è magro come un’acciuga. Ci saluta e va ad organizzare prima il check out e poi l'auto. Prendiamo due hommelette, tè e caffè, bello forte questo etiope. Un po’ di delusione però: per il resto la offerta della colazione è poco più che minima. Segue un veloce salto in camera e subito scendiamo con i bagagli pronti. Mentre Mule li carica noi ci accordiamo con Nur per comprare il prima possibile parecchie bottiglie di acqua per il viaggio Chiedo a Nur anche di comprare una SIM per il secondo cellulare. Nur mi comincia a piacere, anche se Mule dice che assomiglia alla Gioconda di Leonardo. Mah. Evidentemente ci trova qualche cosa di strano. Nur è apparentemente strano, ma èefficiente e lo dimostra subito. Si è già organizzato e mi dà un suo cellulare, non uno smartphone, ma uno “vecchio stampo”, ma utilissimo per chiamare con la SIM etiope in Italia ad un costo decisamente contenuto. Alè!, finalmente si parte!!! Nonostante sia sabato mattina e relativamente presto, il traffico c'è ed a noi pare apocalittico. Siamo fermi o procediamo alternando piccole accelerate a pause e rallentamenti continui. Ci sono molte auto, ma soprattutto tanti, tantissimi tuk-tuk. Ad Addis Abeba non ci sono invece moto, non ci sono scooter, non ci sono biciclette, in compenso c’è un bel casino. Compriamo in un market lungo la strada una scheda sim, l’acqua ed anche delle ottime banane, perfette per integrare la modesta colazione. Lentamente usciamo dalla bolgia di Addis Abeba senza prendere la piccola autostrada, l’unica in questa parte di Etiopia e che porta a costeggiare i laghi verso sud. Mule confabula ogni volta con Nur sul percorso migliore e prende una serie di stradine interne che finalmente ci portano fuori città. Ma non è che la situazione migliori poi di tanto. La velocità media varia tra i 30 ed i 40 km/ora ed è e sarà la caratteristica dei tempi di movimento di ogni singolo tratto di strada. Sempre. Il kilometraggio non conta. Contano le buche per terra, gli animali che non si spostano, l’attraversamento delle cittadine. Cerchiamo di raggiungere Tiya per vedere le tombe e le stele, Patrimonio dell'Unesco. Passiamo tra i vari paesi sempre sperando di riuscire a fare in tempo a vedere le cascate Chiacchieriamo per ora allegri e belli gasati; la schiena stranamente sta bene; la strada comincia ad essere finalmente meno trafficata ed ai lati della strada comincia a manifestarsi la vita. E noi cominciamo a scoprire la vita qui in Etiopia, perché la vita è proprio quella che si può vedere o voler vedere ogni metro che passa, da entrambi i lati della strada; e cambia di continuo.. La strada è la vita con i suoi come ed i suoi perché; flussi di persone ferme o che camminano ovunque; vecchi e studenti, bambini dappertutto e poi animali; c’è chi lavora, chi cammina, chi raccoglie e trasporta acqua nelle solite taniche gialle, chi ha sulle spalle cataste di legna, chi si carica in testa di tutto e di più, chi corre sopra un carretto, chi va a comprare o portare prodotti al mercato, chi…. chi…. chi…. quanti chi!!! Tantissimi chi da provare a capire, ma al momento ci frenano la corsa. Solo dopo mi renderò conto di tutto, ma adesso mi stanno costringendo forse a rischiare di non vedere le cascate a cui tengo tantissimo. E condizionano il passaggio, come i pascoli. Ho sempre creduto che gli animali pascolassero sui prati o nei campi. Invece no, Qui gli animali, che siano capre o pecore, asini o muli, zebù o mucche tutti hanno lo stesso DNA sincronizzato. Sono diventati praticamente una componente delle strade. Asfalto o polvere è indifferente, come fossero osmoticamente legati alla strada. Non si spostano, mai!! Camminano o stazionano stabilmente in mezzo senza nessuna preoccupazione e il rumore del clackson o i contatti con il paracarro non portano a nulla. E non è il caso di ammazzare un animale, sacri non come in India, ma quasi e che soprattutto sono patrimonio dei pastori. e guai a fare inc…. i pastori, che da sotto la coperta che li avvolge o che hanno appoggiato sulle spalle tirano fuori un bel kalashnikov Arriviamo a Tiya. Tiya è un piccola città del sud del'Etiopia, nella provincia di Gurage. La sua importanza è dovuta alla presenza di un sito archeologico, costituito da 36 monumenti, inclusi 32 stele che racchiudono un complesso cimiteriale di epoca preistorica e che contengono delle incisioni. Il sito di Tiya è ritenuto il più importante dei 160 scoperti nella regione di Soddo, a testimonianza della centralità che l'Etiopia ha avuto nello sviluppo della civiltà umana. Nel 1980 il sito è divenuto Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Il sito, scoperto nel 1935 da una spedizione etnografica tedesca, è ancora oggi oggetto di studio, perchè l'origine e l'interpretazione dei disegni è ancora lontana da essere spiegata. I monoliti, altri tra 1 e 5 metri, sono tutti incisi con grafiti di diverse categorie, tra cui spade e disegni antropomorfici. I corpi sepolti sono stati datati al radiocarbonio tra il XII e il XIV sec. e sembrano appartenere a guerrieri morti in battaglia. Dedichiamo 20 minuti, ma il sito è piccolo. Nur è molto preciso. Sotto il sole fa bello caldo, anche se siamo ancora vestiti un po’ pesantini! Alla fine, vicino al piccolo park c’è una capanna – market. Mi trovo a contrattare prima una statuetta, poi anche un bel poggiatesta in legno, ma abbiamo fretta e lascio poco convinto; un po' mi spiace, ma con il senno di poi qui hanno prezzi elevatissimi ed ho fatto bene. Ripartiamo e cambia il paesaggio. Ma anche la strada cambia…..in peggio; le buche sono ovunque e gli slalom si alternano a frenate, sono una determinante del percorso obbligato e che si sta allungando a dismisura, non certo come chilometraggio!!!!! Sono le 12 passate ed abbiamo fatto solo un piccolo pezzo del percorso previsto per oggi. Ci fermiamo per un pranzo-jet a Butajira, al REDJET Hotel. Incontriamo le cinque jeep di altri tour, anche loro con noi a Tiya. Speriamo si mangi bene. Mule si raccomanda che si riparta presto; non c'è problema per noi, anche se è necessario almeno sgranchirsi un pò. L’l'obiettivo comune è quello di accorciare i tempi il più possibile. Il posto è carino e ci sediamo ad un piccolo tavolo sul terrazzo, piccolo ma comodo. Questo è l'unico ristorante di un certo livello nella zona, visto il target di persone che lo frequentano, e sono soprattutto locali, e vista la quantità del personale disponibile. Ordiniamo injera, riso e carne, poi riso con verdure e poi del caffè che qui servono come al solito all'interno di bellissimi bricchi di terracotta, ma in questo locale rigorosamente accompagnato da popcorn dolce. L'injera è il tipico pane etiope. Si presenta come una grande crêpe scura e spugnosa, con un gusto acidulo che difficilmente si può definire gradevole per un palato abituato al pane! Nei ristoranti tradizionali vale la pena ordinare il baya-ynatu: su un grande cesto in vimini, chiamato mesob, viene messo un piatto con due grandi injere sovrapposte e rimboccate lungo i bordi. Al centro si versano piccole porzioni si salse e cibi etiopici: il wot (salsa piccante), il doro wot (spezzatino di pollo), il kai wot (spezzatino di carne), verdure e aib (formaggio fresco). Tutti i cibi sono piccanti o comunque molto saporiti. Si strappa un pezzetto di injera e con esso si prende il cibo e lo si porta alla bocca. Accompagnata al gusto piccante di questi cibi, il sapore acido dell'injera non si avverte e risulta un'ottima alternativa alla forchetta. In alcuni casi l'injera viene servita in una sorta di rotolo che, come fa notare la Lonely Planet, assomiglia incredibilmente alle salviette calde servite sugli aerei. L'injera è preparata con il teff, un cereale che cresce sull'altipiano e che è ricchissimo di ferro: come tutti i cereali contiene calcio, potassio, proteine ed è ricco di carboidrati. Il teff ha una particolarità: la sua buccia, un po' come l'uva, contiene una sorta di lievito naturale, di conseguenza nella preparazione dell'injera non si aggiunge lievito. Il teff viene macinato e con la farina si prepara un impasto che viene lasciato fermentare per qualche giorno. La farina di teff viene poi impastata con acqua e sale e cucinata in un piccolo forno: il mafade, un disco di terracotta chiuso da un coperchio mobile, che viene sistemato direttamente su un fornello di fango e argilla. Oltre al teff l'injera può essere preparata con mais, miglio, sorgo o riso ma in questo caso assume un colore diverso. Alle 13 siamo di nuovo seduti in auto ...............................................................................................................
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