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Domenica 18 agosto 2019 Dopo che la valigia non è arrivata, dopo che la russona ha cercato di rubarmi maritone e di uccidere una malgascina piccola piccola in coda al Litige baggage, dopo che i fari della nostra jeep non volevano saperne di accendersi in aeroporto, dopo che gli omini che ci hanno aiutato a caricare l'unica (sigh) valigia hanno estorto a Paolo una mancia scandalosa ... sono in Africa, e va tutto bene! Il viaggio notturno per le vie di Tana mi riporta indietro di cinque anni, quando sono arrivata a Entebbe nel cuore della notte ed ho avuto un primo buissimo impatto con le strade ugandesi ... anche qui poche luci fioche, tante baracche in stridente contrasto con qualche costruzione moderna, rari fuochi accesi all'angolo delle strade, tanta gente in giro anche se sono quasi le tre, tutti a piedi o in bici. Una mezz'oretta e arriviamo al Sakamanga Hotel: Petit ci spiega che significa Gatto blu, mi basta quello per essere felice, e poi sono troppo cotta per preoccuparmi davvero della valigia, crollo subito abbracciata al mio amato bene nel comodissimo lettone. Al risveglio, verso le otto (orrore, non dormiamo MAI così tanto!) inizia il mesto inventario: beauty c'è - e meno male, è la prima e ultima volta che assecondo Paolo e non lo metto nel bagaglio a mano, promesso - ciabatte non ci sono (ciavate immediatamente quelle di stoffa a disposizione degli ospiti, sia lodato il Sakamanga sempre sia lodato), mutande poche, reggiseni uno, calzini insomma, pantaloni di ricambio un paio a testa, magliette tre ciascuno. Guanciale, pecorino e spaghetti dispersi, caxxo caxxo caxxo. No, non sto scherzando e non siamo impazziti ... uno dei gestori degli hotel dove alloggeremo, interpellato circa la presenza di servizio lavanderia e per consigli sull'antimalarica, ci ha risposto chiedendo se fossimo disposti a portagli a pagamento le materie prime per la carbonara. E vabbè, Paolo è abbastanza sereno sul fatto che la valigia arriverà entro oggi, io che sono al primo smarrimento ma alla quinta Africa sono meno ottimista. Dopo una sontuosa colazione, e quando dico sontuosa intendo proprio sontuosa (viennoiserie, pane e marmellata, frutta assortita, due fette di torta, un po' di formaggio, un po' di pomodori, e che non le assaggi le patate? e i succhi di frutta non li vuoi provare TUTTI?) ci spostiamo nella corte interna accanto alla piscina a godere del clima meraviglioso che ci ha accolti, per cercare di fare il punto sulla valigia e sull'eventuale mancato recupero, per tentare invano di contattare in qualche modo Kenya Airways: chat niente, mail ignorate, telefono misteriosamente in continua caduta di linea. Facciamo amicizia con due strani personaggi: il socievolissimo e spelato pappagallo dell'hotel si chiama Cocò, il fagiano scontroso è prontamente ribattezzato Mimì. Puntualissimo, prima di mezzogiorno Petit ci raggiunge e ci carica immediatamente in auto in direzione Palazzo del Re, che si trova poco fuori Tana ed è Patrimonio Unesco. Lo raggiungiamo in circa un'oretta e se Paolo inizia ad assaporare la sua prima vera Africa, io assaporo la sua faccia ... siamo ben lontanti dalla Svizzera Namibiana, questo è tutto un altro mondo, e oggi ne abbiamo un primo assaggio ... strade spesso sterrate, gente accalcata ovunque, galline, pulcini, caprette che tagliano allegramente la strada ai motorini che tagliano allegramente la strada alle auto che non si preoccupano troppo di tagliare allegramente la strada ai carretti tirati a mano o dagli zebù. Dimenticata la valigia, sono nel mio elemento, e anche Paolo se la gode, non sappiamo più dove guardare, negozi pittoreschi con quarti di bue appesi all'ammirazione del mondo, negozi improvvisati con un lenzuolo steso a terra coperto dalle merci più improbabili, dai ferodi incollati ai freni delle bici a mouse senza filo insieme a pomodori e zucchine, montagne di scarpe usate, batterie esauste ... Il Palazzo del Re è in alto su una collina - Tana molto più di Roma è tutta un saliscendi - e domina la capitale. E' ben diverso dai Palazzi reali cui siamo abituati in Europa, naturalmente, ma non meno affascinante. Lo visitiamo accompagnati da una guida locale, una signora piccolissima che parla un ottimo francese, è gentile e sorridente e rende tutto molto più interessante di quanto non lo sarebbe ai nostri occhi girando da soli. Scopriamo con un pizzico di sconcerto che la pietra dei sacrifici nella spianata davanti al castello è ancora in uso, e che proprio pochi giorni fa ne è stato celebrato uno. Parte dei malgasci pratica l'animismo, e i riti per la fertilità sono ancora molto diffusi, benché costosissimi per un popolo la cui paga base mensile in euro non supera i 50. Le corna degli zebù sacrificati sono ancora qui, in bella vista. Spero abbiano propiziato il buon fine di tutti i desideri che sono stati espressi quel giorno, da atea nutro un profondo rispetto per tutto quello in cui crede chi ateo non è, e sono sicura che la forza della fede possa smuovere le energie dell'Universo. La guida ci introduce brevemente alle vite complicate e agli intrighi di corte dei re e delle regine del Madagascar, ci accompagna in un giro di ricognizione sulle mura e poi dentro la semplicissima stanza che costituiva l'alloggio del re, con il focolare, lo spazio per gli ospiti, poche suppellettili e il letto, posto a diversi metri di altezza attaccato alla parete dal sospettosissimo sovrano, che soleva salirvi per sentirsi al sicuro, arrampicandosi su un palo con le tacche scolpite a fare da gradini. Qui si entra rigorosamente con il piede destro, e si esce all'indietro, in segno di rispetto. Ci spostiamo poi nella parte moderna del palazzo, arredata in stile vagamente europeo, con tapezzerie provenienti dall'Italia e mobilio francese e spagnolo. Sul retro degli edifici riposano le tombe regali, sulle quali nessuna delle porte del Palazzo si apre, perché porterebbe male mancare di rispetto ai defunti. Dall'alto si vede bene l'ampiezza della pietra dei sacrifici: Facciamo anche un breve giro nel parco, e dei simpatici incontri. E' la nostra prima visita guidata, e ci siamo dimenticati di chiedere a Petit qualche indicazione sulle mance, non abbiamo la minima idea di quanto dare per non essere offensivi in un senso o nell'altro ... la guida, gentilissima, ci dice che la mancia è rapportata alla nostra soddisfazione e non obbligatoria, ma questo non ci aiuta. Ci buttiamo con 6000 ariary, a me sembra un po' poco ma la signora non fa una piega, forse ha ragione Paolo ... comunque meglio essere preparati per il futuro! Petit ci aspetta all'uscita, si informa sulla nostra soddisfazione e propone di avviarci all'aeroporto, tra un paio d'ore dovrebbe arrivare un volo da Nairobi e con lui, si spera, la nostra valigia. Sono circa le due, e la sontuosa colazione è ormai un vago ricordo ... un collaudato scambio di sguardi, di quelli con cui abbiamo iniziato a comunicare dal primo istante come una coppia prossima alle nozze d'oro, persuade maritone a dedicarsi per prima cosa al nutrimento dell'amata (ma più ancora, affamata) consorte. Petit è preso alla sprovvista, pensava fossimo "già mangiati" e non ha indirizzi sottomano, per cui ci dirigiamo tutti e tre - ma lui ci farà solo compagnia - a un ristorantino in posizione strategica lungo la scalinata che porta a Palazzo. Per la principesca somma di 52.000 ariary compresa la mancia (poco più di dodici euro in due, sarà uno dei pranzi più cari del viaggio) gustiamo una coscia di pollo ai ferri, un piatto di ravitoto, un chilo di riso di accompagnamento, carote julienne, ananas e banane. Il ravitoto, una delle specialità della cucina malgascia, è un buonissimo stufato di maiale con germogli di manioca, lo prenderemo ancora più volte. Approfittiamo dell'attesa per chiedere a Petit qualche indicazione sul discorso mance, e quando ci dice che se si è contenti di una guida in genere si parte dai 10.000 ariary (2.40 euro) ci vergogniamo come ladri ... ma per fortuna siamo ancora qui, e di tornare indietro per arrotondare no, non ci vergogniamo neanche un po'. Anche solo perché ho capito quasi tutto, in francese, e per la prima volta in vita mia [emoji4] Ci godiamo anche un breve spettacolo, turisticissimo ma va bene così, di canti e danze tradizionali durante il pranzo. Un'oretta ancora di viaggio tra le risaie e le capanne della periferia ed eccoci di nuovo in aeroporto, dove il serafico addetto alla sorveglianza ci fa, semplicemente, passare agli arrivi e direttamente all'unico nastro consegna bagagli, dove stanno girando proprio in questo momento le valigie arrivate con il volo da Nairobi. Ci mettiamo in prima fila a sperare, ma ... come ieri sera, siamo rapidamente delusi. Il gentilissimo addetto del Litige baggage ci consiglia di salire al primo piano e chiedere agli uffici della compagnia, dovrebbero almeno saperci dire dove si trovi la fuggitiva. Non c'è nessuno, all'ufficio accanto ci dicono di aspettare il responsabile, tra un rimpallo, un'attesa e una pipì (indovinate di chi) perdiamo un'ora inutilmente. Il buio si avvicina rapidamente, Petit decide di riportarci in albergo, vedremo domattina il da farsi. Ceniamo al ristorante dell'hotel, che troviamo al primo piano dopo averlo cercato invano nella sala colazioni ... non una cena indimenticabile, ma nonostante il drammatico dramma del bagaglio ce la godiamo: petto d'anatra per me e spiedini misti con zebù per Paolo, e due birre piccole minuscole: 25 cl! La storia della valigia comincia a rodere un pochino, soprattutto il fatto di non avere idea di dove sia mentre la compagnia continua ostinatamente e allegramente a ignorarci ... avevamo qualcosina nel bagaglio a mano, ma nella valigia che è arrivata ci sono solo un quarto di cose mie, un quarto di Paolo e l'altra metà è piena di vestiti per i bimbi di Suor Eni, esattamente come la valigia dispersa ... ed è quello che mi fa più rabbia e più dispiacere, sia per lei che per le persone che generosamente ce li hanno regalati. Cerchiamo però di non farci innervosire troppo, e decidiamo che se domani mattina ancora non si saprà nulla chiederemo a Petit di portarci in un posto dove sia possibile trovare qualche maglietta anche per Paolo ... sì, perché i malgasci "grossi" sono più o meno la metà di me, figuriamoci quanto sarà facile trovare una taglia Pandone! Ma fa niente ... siamo in Africa! Buona notte, Tana.4 punti
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Sabato 06/07 e Domenica 07/07 Ci svegliamo nel tepore (leggi condensa) della nostra stanza verso le 7:30, ieri abbiamo concordato con Lucinda di fare colazione alle 8. La servono nella veranda che fa già parte della casa dove vivono i proprietari: troviamo la stufa a legna accesa e una bella atmosfera casalinga. La colazione è davvero ben allestita, ancora una volta apprezziamo l’infinita cura delle guest house sudafricane che coccolano l’ospite dall'inizio alla fine, indipendentemente dallo standard più o meno alto della struttura. Beviamo un buon caffè americano e mangiamo yogurt con frutta, frutta fresca tra cui kiwi, fragole e ciliegie. Nel piatto che ci servono ci sono addirittura affettati, formaggi e uova sode. Pienamente soddisfatte torniamo in camera dove sistemiamo i borsoni e gli zaini. I sacchetti a tenuta sottovuoto si sono rivelati utilissimi per non ritrovarsi con i vestiti raddoppiati di volume alla fine del viaggio. Svuotiamo anche le varie cianfrusaglie che avevamo in macchina facendo attenzione a non dimenticare nulla in qualche vano porta oggetti. Saldiamo il conto e approfittiamo della gentilezza del proprietario per stampare anche le carte di imbarco. Ieri sera infatti, rientrate da cena, abbiamo fatto subito il check in online per assicurarci i posti vicini. Come all’andata, nessun problema di assegnazione: ci siamo limitate a spostarci sul ponte superiore dell’enorme A380! È la prima volta che voliamo su questo gigante e non potevamo esimerci dal tentare di accaparrarci due posti in alto! Ci mettiamo in auto alle 10:00 con tutta calma e percorriamo la bella strada che collega Graskop a Sabie, la R37, per poi prendere la R539 fino alla N2, autostrada a tre corsie dove però troviamo non pochi lavori stradali che ci costringono a velocità ridotte e continui cambi di carreggiata. A circa 250 km dall’aeroporto ci fermiamo a sgranchirci le gambe e a pranzare da Milly’s, un’area di sosta super attrezzata con ristorante, caffetteria, negozio di souvenir, benzinaio. Per essere praticamente l’unico stop lungo la N2, insieme alla Alzu Petrol Station (quest’ultima famosa per i bufali, struzzi e gazzelle tenuti in semi in cattività nei pressi del distributore) non è affatto male. Ci sediamo alla caffetteria perché siamo ancora piuttosto sazie dalla cena della sera prima e dalla colazione di questa mattina. Ordiniamo le solite insalate greche che, oltre a essere tra le nostre preferite, sono davvero ben fatte qui in Sudafrica: probabilmente merito di una loro versione di Feta molto meno pesante di quella originale. Dopo un caffè espresso ci rimettiamo in macchina, io sono ancora un po’ disturbata da una lievissima ma persistente sensazione di mal di stomaco che, fortunatamente, svanirà poi nella notte. Percorriamo gli ultimi km della N2 che ci separano dall’aeroporto OR Tambo tra un lavoro stradale e l’altro. Facciamo anche la figura delle turiste da agenzia quando, all'ultimo casello, non riusciamo ad arrivare alla cifra richiesta per il pedaggio dal momento che abbiamo completamente esaurito i contanti. Nessuna delle nostre carte sembra essere accettata ma per fortuna il casellante, impietosito, ci lascia passare facendoci uno sconto di 20 Rand, l’equivalente di 1,2 € circa. Arriviamo all’aeroporto senza ulteriori ritardi, dopo un assaggio del traffico di Johannesburg a quest’ora piuttosto congestionato. L’aeroporto è ben segnalato ma siamo costrette a fare un giro dell’oca per raggiungere l’unico benzinaio del complesso dove rabbocchiamo il serbatoio del nostro (orma ancora per poco) SUV di qualche centinaio di rand. Giungiamo infine al parcheggio P2 dove troviamo subito le indicazioni per il drop off Hertz, un addetto ci indica dove parcheggiare e, mentre noi scarichiamo i bagagli assicurandoci per l’ennesima volta di non dimenticare, nulla, controlla per filo e per segno la vettura. Ieri il ragazzo al distributore di Phalaborwa è stato davvero bravo e l’auto sembra (quasi) appena lavata! Ci fanno cenno che va tutto bene e non ci rilasciano alcun tipo di ricevuta, nonostante la nostra richiesta. Speriamo! Fortunatamente, dopo una settimana circa dal nostro rientro, arriverà via mail la fattura che confermerà che la differenza dovuta per il noleggio è pari a zero, senza spiacevoli sorprese. Prendiamo l’ascensore fino al terminal delle partenze. Sono le 16:00 e siamo in perfetto orario: il decollo del nostro volo è previsto alle 19:20 con procedure di imbarco che iniziano quasi un’ora prima. Ci colleghiamo al WI-FI dell’aeroporto e avvisiamo casa che il nostro on the road in terra africana si è concluso nel migliore dei modi. Non avendo bagagli da stiva e con le carte di imbarco già stampate ci dirigiamo direttamente ai controlli di sicurezza e in un attimo siamo nel terminal A delle partenze internazionali. Gironzoliamo per una mezz’oretta da Out Of Africa, un bel negozio di artigianato tipico (più o meno autentico) dove facciamo gli ultimi acquisti e poi facciamo anche un veloce passaggio al duty free dove vorremmo razziare tutte le bottiglie di Amarula che hanno, limitandoci però ad acquistarne due! Non ci resta che andare al nostro gate, che è già stato chiamato, dove troviamo pronto ad attenderci il gigantesco A380 che brilla sotto gli ultimissimi raggi di sole. Assistiamo alle buffe manovre del personale di terra British Airways che, poco prima dell’imbarco, si mette a spostare tutte le panche e sedili del gate per ricreare una sorta di recinto/percorso in modo da incanalare i passeggeri del ponte superiore, dividendoli da quelli del ponte inferiore. Dopo un’ulteriore verifica passaporto/biglietto ci imbarchiamo dalla porta giusta che ci porta direttamente in cabina: come siamo in alto! I posti sul ponte superiore sono ottimi, decisamente più larghi: le file laterali ne ospitano solo due quindi saremo completamente autonome nel muoverci. Lato finestrino c’è anche un comodo vano porta oggetti dove riusciamo a far stare tranquillamente uno zaino. Partiamo in perfetto orario senza vedere alcunché dal momento che a quest’ora, come abbiamo bene imparato, è buio pesto. Ci servono la cena appena dopo il decollo (cibo dimenticabile e quindi dimenticato) e facciamo un po’ di “zapping” con l’intrattenimento di bordo. Memori dell’effetto soporifero dell’andata verso le 21:30 ci sintonizziamo sul canale musica classica e ci addormentiamo felicemente. Ci svegliamo alle 4:30 del mattino circa, abbiamo incredibilmente dormito 7 ore e la soluzione volo notturno ci sembra sempre più vincente. La quasi totale mancanza di fuso orario tra Sudafrica e Londra (appena 1 ora) ci fa sentire tutto sommato riposate e ci pappiamo la colazione, questa volta “uova e prosciutto” invece che “omelette e fagioli”! Atterriamo a Londra in orario e sbarchiamo ritrovandoci nel medesimo terminal gigantesco dell’andata. Passiamo i rigorosissimi controlli di sicurezza dove le bottiglie di Amarula vengono lungamente scandagliate dal personale ma alla fine restituite! Facciamo poi una seconda colazione da Starbucks con cappuccino e muffin in attesa del nostro ultimo volo per Milano. Partiamo in orario alle 7:50 e durante il volo per lo più sonnecchiamo. Ci avevano avvisato di possibili turbolenze dovute a passaggi temporaleschi sulle Alpi ma per fortuna non avvertiamo nulla e atterriamo puntuali dopo due ore esatte. A Malpensa ci accoglie una calura indicibile e pare sia nulla in confronto al caldo da Valle della Morte che hanno affrontato i torinesi l’ultima settimana di giugno! Non dobbiamo recuperare i bagagli e ci avviamo leggere uscendo in corrispondenza dell’uscita 6 da cui chiamiamo il servizio navetta del parcheggio a pagamento e torniamo alla nostra macchina. Passiamo il viaggio sulla Torino – Milano al telefono con amici e parenti a raccontare, esaltate, queste incredibili due settimane e arriviamo a casa nel primo pomeriggio. Attacchiamo una gigantesca lavatrice e la sera guardiamo La Mia Africa su Netflix mangiando la pizza! E ora...? Nei giorni successivi inizio a covare, come una malattia, quella sottile ma inesorabile sensazione di mancanza, di privazione e di assenza a cui hanno dato il nome di mal d’Africa che si traduce nel cercare oltre il finestrino quegli uomini e quelle donne che camminano sorridendo, nel sognare ad occhi aperti un branco di elefanti che ti attraversa la strada, nel desiderare di ammirare di nuovo un sole gigantesco che affonda in uno specchio d’acqua, mosso solo dagli ippopotami che lo abitano. L’Africa è stata per me vera essenza: della natura, della terra e del viaggio. Nonostante sia stata, immagino, un’Africa “facile” e “comoda”, probabilmente diversa da quella più autentica e disagiata, per me ha rappresentato davvero la fonte delle emozioni. Durante il viaggio abbiamo maturato una considerazione che, almeno per noi, è veritiera: gli USA, che probabilmente offrono tra i paesaggi più incredibili e sorprendenti del mondo, si lasciano sì ammirare e vivere ma per lo più come da una cartolina. L’Africa, invece, a noi ha dato la sensazione di essere completamente inglobante verso il viaggiatore che glie lo permette. Ti fa vivere dentro di sé, in mezzo a sé, ti circonda completamente ed è stata una sensazione meravigliosa mai provata prima. L’Africa mi si è insinuata dentro già dopo i primi giorni, ha smosso quello che Pascoli definiva il “fanciullino”, una dimensione dimenticata che grida al sogno, alla meraviglia, alla scoperta, alla curiosità. Tutte le volte che mi accorgo che quel “fanciullino” tace, per colpa delle centinaia di cose inutili a cui ostinatamente diamo importanza nel nostro quotidiano, rileggo questo diario e scorro le fotografie degli elefanti, delle giraffe, dei ghepardi, delle tre leonesse tanto attese e di quel leopardo sfuggente, padrone della notte. Per adesso, a distanza ormai di qualche mese dal rientro, l’effetto benefico che tutto questo ha avuto su di me ancora persiste e quando la voglia di tornare sarà più forte dei ricordi, allora torneremo, torneremo sempre. Syiabonga Africa!4 punti
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Intro Arrivederci, Madagascar. Questo è il titolo scelto da Paolo per il nostro diario ... così potete smettere subito di chiedervi se gli sia piaciuto e quanto sia disposto a tradire ancora gli amati USA in futuro per i posti sporchi, brutti e cattivi che piacciono a me Io sono stata in Uganda qualche anno fa, è un viaggio per molti versi simile, ma da Paolo stavolta non sapevo bene cosa aspettarmi ... della Namibia ci siamo innamorati perdutamente, tanto da metterla al primo posto tra i viaggi del cuore. Il Marocco, così pieno di contrasti, ci è piaciuto un sacco. Il Madagascar è un'altra Africa, una realtà diversa, un modo di viaggiare diverso, un mondo alieno e imprevedibile che desideravamo da tanto conoscere ma non era mai entrato veramente in lista per il costo proibitivo dei voli, mai sotto i mille euro a testa. E allora che ci facciamo a Fiumicino con le solite SCEMAGLIETTE, stavolta a tema lemuri? Il 17 gennaio 2019 siamo tornati dal Giappone formulando il fermissimo proposito di non comprare voli per un po' ... naturalmente eravamo entrambi in preda al panico: neanche un volo prenotato, neanche un aereoplanino piccolissimo da prendere, un orizzonte vuoto e desolato davanti a noi, il viaggione annuale già dietro le spalle Sciagura, disperazione, tristezza ... fino al 30 gennaio, quando QUALCUNA giocando con skyscanner si trova, tra i voli per OVUNQUE, un FCO-TNR a 462 euro a testa, un solo scalo, bellissimi orari ... oddio, la Kenya Airwys, sarà uno scassone da paura, peccato però, guarda Pandino, sarebbe un ottimo prezzo ... ah, dici che i 787 sono per forza nuovi? Eh sì, peccato davvero che non possiamo prenotare ... poi chissà quando mi danno le ferie, ho già preso due settimane per il Giappone, che peccato, poi figurati, costerà un patrimonio il giro laggiù, pipipì e popopò Davvero devo raccontarvi come è andata a finire? Con l'ultimo barlume di saggezza rimastoci, prima di strisciare l'Amex abbiamo chiesto qualche preventivo per il giro, illudendoci a vicenda sul fatto che sarebbe stato sicuramente fuori budget e avremmo potuto rinunciare con animo sereno. PURTROPPO non era fuori budget, ed eccoci felici proprietari di due biglietti Roma-Nairobi-Antananarivo il 5 febbraio. [Intervallo il racconto con qualche foto da cellulare in ordine sparsissimo per non annoiarvi troppo, quelle vere arriveranno con le prossime puntate ] Abbiamo deciso subito di rivolgerci a un'agenzia locale, perché penso che il turismo sia potenzialmente una grande opportunità per i Paesi in via di sviluppo se i soldi che il turista spende vanno realmente alla popolazione e non a qualche pur blasonato tour operator del primo mondo. A onor del vero, tanto per fare paragoni, abbiamo contattato anche una o due agenzie gestite da italiani, tra cui quella con cui è partito poco prima di noi il nostro amico Riccardo, ma trovandoli simpatici come la sabbia nelle mutande siamo infine serenamente approdati alla Madagascar Circuit Tours, la prima a risponderci, la meno insistente, la più pronta nell'adeguare il programma alle nostre esigenze e al dissuaderci dalle idee meno brillanti. Non è un viaggio semplice, non si può fare da soli (e questo era l'aspetto che più mi preoccupava per Paolo, che di certo non ama essere accompagnato), le strade sono terribili e comunque non è un Paese dove si possa girare senza conoscerlo e senza sapere come comportarsi, dove andare, come attraversare i fiumi e cosa assaggiare. E' un viaggio scomodo, sporco, polveroso, faticoso, pesante. E' un viaggio nel tempo, è un Paese che ci ha fatto il cuore a coriandoli e se li è tenuti laggiù. E' un viaggio che è volato tra una sterrata e un sorriso, tra un fossa e un baobab, tra un lemure e un pacco di biscotti regalato. E' un viaggio che chiede cuore e mente aperti, voglia di conoscere e di parlare, sensibilità e durezza insieme, perché il mondo non lo salvi da solo, ma quando sei là ... vorresti, e non puoi farti spezzare il cuore a ogni passo. Parliamo entrambi francese, e Paolo lo capisce anche ^^ così scegliere una guida locale non è stato un problema. Il tour è stato benissimo organizzato da Nirina e ancor meglio gestito da Petit, il nostro fantastico autista dal nome impronunciabile e lunghissimo, che è stato il nostro angelo custode e il nostro amico per i sedici giorni di una convivenza che poteva rivelarsi difficile ed è stata invece leggerissima. Non sapevamo bene cosa inserire nel giro, le uniche certezze erano lemuri e baobab, abbiamo studiato un po' e alla fine abbiamo aggiustato il primo itinerario proposto tagliando e cucendo a nostra misura. Ne è uscito un giro affrontabile, certo non leggero fisicamente, ma rifaremmo ogni singolo passo e ogni singolo giro di ruota. Abbiamo conosciuto persone bellissime, abbiamo chiacchierato con tutti, abbiamo giocato con i bambini e sorriso con gli adulti. Abbiamo ascoltato storie bellissime e strazianti, conosciuto la speranza e la rassegnazione, ci siamo innamorati di un popolo mite e sorridente che ai nostri occhi merita tutto il bene del mondo. Un po' di numeri . 962 euro in due per il volo (abbiamo esitato e il prezzo è salito, ma poco) . 1365 euro a testa per 15 pernottamenti, quasi tutte le colazioni, l'autista/guida (con relativi vitto e alloggi), tutti gli ingressi e le guide . 2,93 euro in tre compresa la mancia per il pasto meno costoso . 34 euro in due per la cena più cara . 2 passaggi dalle suorine di Betafo . 1 valigia smarrita e poi felicemente ritrovata . 3000 chilometri percorsi, a spanne . 5 gli anni passati pucciosamente insieme . svariate centinaia i sorrisi che ci portiamo nel cuore . 4000 ariary circa il cambio con 1 euro . 5 i pallocchi di fuagrà che si è pappato maritone sotto il mio sguardo inorridito . non contati i pesci, le carni e i frutti assaggiati per la prima volta Questo è l'itinerario finale, ora lascio la parola a Paolo che oltre a dare inizio al diario vero e proprio aggiungerà tutto quello che mi sono dimenticata tra una ciancia inutile e l'altra 17 agosto: FCO - Antananarivo 18 agosto: Antanananarivo 19 agosto: Antanananarivo - Ampefy 20 agosto: Ampefy - Antsirabe 21 agosto: Antsirabe - Morondava 22 agosto: Morondava - Kirindy Forest 23 agosto: Kirindy Forest - Bekopaka (e cinque anni insieme!) 24 agosto: Bekopaka 25 agosto: Bekopaka - Morondava 26 agosto: Morondava - Ambositra 27 agosto: Ambositra 28 agosto: Ambositra - Andasibe 29 agosto: Andasibe 30 agosto: Andasibe - Palmarium Reserve Manambato 31 agosto: Palmarium Reserve 1 settembre: Palmarium Reserve Manambato - Antananarivo 2 settembre: Antananarivo - FCO Non è un viaggio lineare a causa dello stato delle strade, o della mancanza di strade, spesso bisogna ritornare sui propri passi, non è possibile fare un giro ad anello. Qualcuno potrebbe trovarlo noioso, io invece ho amato tornare negli stessi posti con una luce diversa, ritrovare una costruzione familiare, rivedere al tramonto una strada percorsa al mattino. "Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito." Non saprei trovare parole migliori di quelle di Saramago per raccontarvi cosa mi ha lasciato questo Paese: una gran voglia di tornarci. Ciao Mada, a presto.1 punto
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Grazie ad entrambi allora mi metto all'opera con cartina alla mano e poi tornerò sicuramente alla carica!1 punto
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Manca la camminata sul Ponte di Brooklyn!! quella non può mancare 😍...senza contare le viste meravigliose sullo skyline. Se devi recuperare un po' di tempo puoi rinunciare alla crociera (anche se a me è piaciuta molto), lo skyline di lower Manhattan lo vedi anche andando a Ellis/Liberty. (prendete la prima partenza del mattino per recuperare tempo e fare le visite con meno folla) Vessel e High Line li lascerei nell'itinerario. Il Vessel è davvero particolare e le foto che ho visto sono molto belle. A dicembre non me lo lascerò scappare! La High Line permette vedute molto suggestive dato che sei all'altezza dei primi piani degli edifici. Il Museo 9/11, secondo me, è irrinunciabile. E' una parte molto importante della storia della città (e di tutto il mondo). Aiuta anche a capire un po' meglio NY e le sue mille sfaccettature. Sul Museo di Storia Naturale ho letto pareri discordanti e credo che si possa saltare come prima visita di NY. Se volete inserire un museo opterei per il MET. Per velocizzare la visita di Central Park potete noleggiare le biciclette. Le distanze sono enormi...ed il parco è in leggera salita andando verso nord...le mie gambe se lo ricordano ancora, ma all'epoca non c'erano le bici elettriche! Il suggerimento di @pandathegreat è fondamentale, bisogna mettere i punti di interesse su una mappa ed ottimizzare l'itinerario in base alle zone.1 punto
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È una di quelle sistemazioni da un milione di stelle... Pochi fronzoli, tende fisse con bagno privato, anche quello sotto le stelle (fare i bisognini en plen air è meraviglioso), niente elettricità, se non per qualche ora e solo alla reception, cena e colazione all'aperto, spartano ed essenziale, te lo consiglio se sei adattabile. Ha anche delle piazzole per tende o camper, anche quelle con il bagno privato. Inviato dal Millennium Falcon1 punto
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Non si dorme in vacanza, abbiamo un'eternità per riposare! :) Secondo me, è un po' denso, ma con le giornate estive e organizzando per zone, è un itinerario fattibile. Considera che per la Intrepid ti ci vuole la mattina (apre alle 10, potrete dormire!), per Ellis Island e Liberty Island mezza giornata, la messa ti impegna per la mattinata e nel pomeriggio puoi arrivare al museo di storia naturale e da lì, attraversare Central Park. Inviato dal Millennium Falcon1 punto
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Curiosissima di leggere il vostro diario!! La valigia che non arriva è uno dei miei incubi peggiori..1 punto
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Rileggendo il diario mi sono accorta che di avere fatto confusione con i giorni della settimana che riporto insieme alle date quindi, facendo ordine, oggi è … Mercoledì 03/07 La sveglia suona prestissimo, ora capisco perché l’ottimale conclusione, dopo due settimane di safari, sarebbe stata una terza settimana di relax al mare in Mozambico! Invece questo è praticamente il nostro terzultimo giorno in Africa e l’ultimo pieno al Kruger. E non siamo ancora riuscite a vedere i leoni anche se abbiamo dedicato gli ultimi due giorni a percorrere le strade e le aree più papabili, adocchiando con una certa invidia le puntine rosse apposte dagli altri visitatori sulle mappe dei Rest Camp. Ci proviamo con il safari all’alba che parte davanti alla reception di Satara alle 4:45. Noi ci svegliamo alle 4:20 circa, giusto il tempo per indossare quanto di più pesante abbiamo, compresi cappelli, scaldacollo e guanti di lana ma dimenticandoci scioccamente di portare qualcosa da mangiare: i safari guidati durano la bellezza di tre ore quindi è sempre buona norma portarsi qualcosa con sé. Raggiungiamo in due minuti il ritrovo e parcheggiamo la macchina, troviamo già un piccolo gruppo di persone: metà di loro parteciperà al safari con noi (una famiglia di californiani ed un ragazzo di New York) mentre l’altra metà si avventurerà in una bush walk guidata. In meno di cinque minuti arriva la nostra camionetta e le guide che procedono a fare l’appello e a ritirare i moduli che abbiamo nel frattempo compilato. La nostra guida è un ranger enorme che indossa pantaloni corti, camicia e cappello da pescatore in cotone, nonostante a quest’ora faccia un freddo glaciale. Si presenta e ci fornisce qualche breve indicazione a proposito delle norme di sicurezza durante il safari e poi ci fa salire sulla camionetta che, in confronto a quella utilizzata a Mkhaya, è altissima. Mentre ci dirigiamo verso il cancello in uscita non manca di ricordarci che durante i safari vige quella che lui chiama “la legge del bush” ovvero che alcuni fortunati riescono a vedere tutto anche solo in occasione di una sola uscita mentre altri non vedono niente. Cerchiamo di non farci scoraggiare da questi oscuri presagi sperando che questa sia davvero la volta buona. Appena usciti dal campo, la guida accende due poderosi fari laterali posti in alto, circa a metà del mezzo, che fanno una discreta luce a bordo strada. Parallelamente chi siede nei sedili in fondo è dotato di due torce, alimentate direttamente dalla camionetta, in grado di proiettare un discreto raggio di luce anche a distanze elevate. Ed è così che imbocchiamo una stradina sterrata riservata solo ai mezzi autorizzati prima della svolta sulla H7 che collega Satara a Orpen: semi avvolte da una delle coperte di pile in dotazione, macchine fotografiche in pugno e attentissime ad eventuali bagliori di occhi o movimenti. Vediamo dopo pochissimo tempo uno sciacallo e una bella giraffa: avvistare gli animali con il buio dà completamente un’altra sensazione rispetto a quando si guida in pieno giorno. Forse per il fatto che non ci troviamo propriamente dentro un veicolo, che sentiamo il freddo, il vento, gli odori della notte appena trascorsa e che l’alba è ancora lontana almeno mezzora, ma le sagome di quello che si scorge oltre i confini della camionetta hanno un aspetto subito più misterioso e ignoto. Ad esempio individuare la forma altissima di una giraffa di notte, ferma in mezzo alla strada, e riconoscere il muso solo con la luce di una torcia è decisamente più sconcertante che di giorno, quando si possono indovinarne i movimenti e le intenzioni più chiaramente. Proseguiamo perdendoci in una pista che si addentra nella savana: è buio pesto e non scorgiamo quasi nulla a parte altri erbivori. Raggiungiamo, quando inizia ad albeggiare, la Girivana Waterhole, una pozza che avevo letto essere piuttosto frequentata dai felini, ci sono infatti già qualche macchina in appostamento ma non c’è traccia dei grandi gattoni. Vediamo in compenso un bellissimo esemplare di elefante maschio adulto che fotografiamo in mezzo all'erba alta con una luce incantevole. Torniamo verso Satara e raggiungiamo quello che dovrebbe essere il letto del fiume N’wanentsi. Qui la guida esita più di una volta, vediamo chiaramente che sta guardando le tracce e, in effetti, le vediamo anche noi sporgendoci dal mezzo: orme di leoni ma non sappiamo assolutamente dire se sono fresche oppure no e non sembra sicura neanche la nostra guida. Guadiamo il fiume in un punto davvero dissestato (African Massage!) e lo costeggiamo fino a ritornare nei pressi della asfaltata H1-3 dove ci imbattiamo in un gruppo di impala a bordo strada che si comportano in modo strano guardando tutti nella stessa direzione. È questione di un momento: vediamo gli impala scappare tutti verso la nostra sinistra mentre sulla destra arriva sparato qualcosa al galoppo: è un ghepardo! È da solo, e quando arriva nei pressi del mezzo si ferma di scatto, forse deluso della preda mancata, ma poi riprende a trotterellare in mezzo all'erba a meno di 10 metri da noi. È bellissimo e sinuoso e sembra abbastanza a suo agio mentre lo seguiamo a distanza di sicurezza. In questa occasione dobbiamo ammettere che il ranger è stato piuttosto bravo ad individuare la situazione e a non perderlo mai di vista. Siamo tutti in piedi dentro la camionetta per fotografare, lo accompagnammo per un tratto così lungo che ho anche tutto il tempo di posare la macchina fotografica e godermi lo spettacolo “dal vivo”. Non sarà il Re, ma è sicuramente un animale molto attraente. Ad un certo punto lo vediamo distintamente fiutare qualcosa di suo interesse ed ecco che si allontana fino a sparire in mezzo alla savana. Magnifico! Nel frattempo, arriviamo nei pressi dell’albero sul quale ieri sera abbiamo avvistato l’impala ucciso dal leopardo. Questa mattina la preda è sparita, probabilmente consumata durante la notte. C’è una macchina appostata che ci dice che c’è qualcosa in mezzo all'erba ed in effetti si intravede una schiena che si muove ma è talmente fugace e l’erba talmente alta in quel punto che distinguiamo soltanto un’ombra per qualche secondo. La nostra guida è sicura si tratti del leopardo ma ci spiega che è un predatore estremamente timido e li accucciato nell'erba è praticamente impossibile individuarlo. Ci troviamo nei pressi della N’wanetsi Road, il sole è ormai alto e proviamo a percorrerne un breve tratto ma non avvistiamo nulla ad eccezione di gnu e una (inutile) mangusta. 😒 Torniamo a Satara con ancora negli occhi la magnificenza del ghepardo a caccia ma ancora all'asciutto per quanto riguarda i leoni. Non è accettabile essere arrivate fino a qui senza averli visti e quindi, appena scese dalla camionetta, decidiamo di partecipare anche al safari del tramonto che parte intorno alle 16.00. I safari guidati al Kruger costano a testa l’equivalente di 24€, cifra che li rende assolutamente abbordabili, quindi facciamo la spesa a cuor leggero e con tante aspettative. Una volta pagato il safari e ricevute le informazioni circa l’orario (occorrerà essere davanti alla reception alle 15:45) andiamo, con ancora indosso i cappelli di lana, a fare colazione al Tindlovu Restaurant dove ordiniamo due belle tazze di caffè, un piatto con yogurt e granola e un muffin gigante, che dobbiamo difendere da uno “Zazu” piuttosto battagliero e, da vicino, dotato di un becco affilato di tutto rispetto. Ci rilassiamo e ne approfittiamo per riscaldarci al sole: il safari del mattino si rivelerà indubbiamente più freddo di quello del tramonto probabilmente per il fatto che l’ambiente si è raffreddato durante la lunga notte mentre al tramonto la terra è calda della giornata appena trascorsa. Compriamo al fornitissimo negozio del campo degli snack e della frutta per pranzo e torniamo alla nostra rondavel dove ci cambiamo e rilassiamo ancora per un po’. Siamo effettivamente un po’ deluse perché speravamo tanto di avere l’opportunità di vedere i leoni all’alba: domani sarà la nostra ultima giornata al Kruger e passeremo la notte già fuori dal parco senza possibilità di altri safari al tramonto quindi ci giochiamo tutto tra oggi e domani. Riposate e di nuovo determinate ci mettiamo in macchina verso le 10:00: seguiamo il consiglio del ranger di questa mattina e proviamo a percorrere nuovamente la N’wanetsi Road dal momento che, alla nostra domanda su quale fosse la strada con la più alta possibilità di vedere leoni, ci ha risposto che era proprio quella. Il percorso in effetti ha tutte le caratteristiche per essere il loro habitat ideale poiché si perde letteralmente nella savana senza mai allontanarsi troppo dai corsi del fiume Sweni e N’wanetsi. Vediamo molti erbivori, due bufali che brucano vicinissimi alla macchina, un raro waterbuck e alcuni uccelli particolari: l’Otarda Kori e il Bucorvo Cafro (Ground hornbill) caratterizzato da un sotto becco rosso accesso. Vediamo anche impronte e non ci sono dubbi a chi appartengano ma purtroppo restano solo orme sulla sabbia. Otarda Kori Bucorvo Cafro La strada è comunque molto bella perché si avvicina anche alle scure e rocciose Lebombo Mountains che segnano il confine con il Mozambico e l’inizio del Parco Nazionale del Limpopo, formando un unico gigantesco ecosistema con il Kruger. Rientrate sulla strada asfaltata, continuiamo a fare numerosi incontri di erbivori ma ormai nulla che attira davvero la nostra attenzione. Dal momento che siamo vicinissime al campo e già affamate, decidiamo di rientrare a Satara per pranzo e approfittare del bagno della nostra casetta. Superata l’ora più calda della giornata, intorno alle 13:30 e con due ore scarse davanti prima del safari guidato ci rimettiamo in macchina decidendo di provare l’asfaltata H7 che collega Satara a Orpen. Ci mettiamo in marcia con l’idea di percorrerla “alla cieca” per circa un’oretta e poi tornare indietro in tempo per le 16:00. Mi metto alla guida mentre Chiara si riposa: la strada è molto bella perché il paesaggio qui è un po’ più verdeggiante grazie alla presenza del vicino Timbavati River, anche se in questa stagione lo troviamo praticamente in secca. Avvistiamo per lo più erbivori, in particolare un grosso elefante che decide di coprire, con una bella quanto improvvisa rincorsa, l’altezza che separa la carreggiata dal fosso sottostante, a pochi metri da noi. La particolarità di questo tratto, guidando in direzione Orpen, è proprio il fatto che la strada scorre particolarmente “sopraelevata” rispetto al fiume, i cui argini ripidissimi scendono bruscamente verso il letto, offrendo sempre una discreta visibilità. Arrivate nei pressi del Timbavati Viewpoint, vediamo proprio in un punto del letto del fiume una incredibile aggregazione di animali, probabilmente attirati dalla vegetazione che in questo tratto è davvero lussureggiante: ci sono molte zebre, gnu e gli onnipresenti impala. Ci fermiamo e scattiamo solo qualche fotografia più che altro per la scena insolita di trovare così tante specie le une vicine alle altre. È purtroppo ora di rientrare e percorriamo qualche centinaio di metri fino al punto panoramico vero e proprio dove facciamo inversione per rientrare a Satara. Ritornando in corrispondenza del tratto dove eravamo poco prima, vedo una camionetta di un lodge privato ferma con le persone tutte in piedi. Il guidatore, un giovane ragazzo sudafricano, si fa passare il binocolo da un turista e guarda con insistenza. Ci avviciniamo abbassando il finestrino e gli chiedo cosa stiano guardando e lui, con nonchalance, mi risponde “There is a male lion. Un leone maschio.” COOOOSA? Per tutta risposta ripeto la sua frase all’interrogativo e lui mi risponde di sì: c’è un leone maschio ma si è nascosto nel bush dall’altra sponda del fiume e non sa quanto tempo dovremo aspettare prima di, eventualmente, riuscire a vederlo. Ci augura buona fortuna e rimette in moto, noi lo ringraziamo e prendiamo il suo punto di osservazione. Siamo determinate ad aspettare a costo di andare a tavoletta all’appuntamento con il safari del tramonto! Il leone maschio, effettivamente, non riusciamo a vederlo ma nel giro di pochi minuti, praticamente a sorpresa, compare sul letto del fiume una leonessa! È a caccia! Nel frattempo, infatti, tutti gli erbivori che avevamo avvistato qualche minuto prima sono spariti: resta solo qualche esemplare di impala mentre ci rendiamo conto che le leonesse sono tre: una che cammina sul letto del fiume e due più in alto in mezzo alla vegetazione, sull'argine opposto a dove ci troviamo noi. Disteranno meno di cinquanta metri. La scena si fa davvero interessante quando compare un piccolo impala che si dirige pericolosamente verso la leonessa sul letto del fiume che, dopo avere avanzato quasi pancia a terra, si è acquattata nell’erba sopravento rispetto a lui. L’impala le si avvicina, senza notarla, a meno di un metro e a quel punto vediamo la leonessa fare un balzo verso di lui che, però, si mette a correre piuttosto velocemente. Tutta la scena dura qualche secondo e, incredibilmente, riusciamo ad immortalarla. L’impala è salvo e non riusciamo più a vederlo mentre la leonessa resta a bocca asciutta e si avvicina alle altre due che nel frattempo si sono appostate più in basso. Non crediamo i nostri occhi, a quello che abbiamo appena visto: tutta la frustrazione di questi giorni si è improvvisamente dissolta davanti a questa meravigliosa scena che avevamo visto solo nei documentari! Siamo davvero entusiaste e incredule! Stiamo ancora a lungo a fotografare e osservare il terzetto che si è radunato per una pausa dalla caccia: l’impala sembrava così vicino eppure è riuscito lo stesso a mettersi in salvo e questo ci fa riflettere su quanto sia davvero incerto il fragile equilibrio tra prede e predatori. Le leonesse sono calme ora ma noi non verremmo più via però il tempo stringe e, esaltate da questo insperato avvistamento, rientriamo verso Satara per tentare nuovamente la fortuna al tramonto durante il safari. Per arrivare in tempo superiamo ampiamente i limiti di velocità dei 50 km/h, fortunatamente senza conseguenze, e alle 15:45 spaccate siamo al parcheggio dove molliamo l’auto e ci fiondiamo sulla camionetta. Il safari del tramonto è, rispetto a quello della mattina, decisamente più “commerciale”: ad eccezione di qualche coppia più o meno giovane sono tutte famiglie con bambini, alcuni con i classici frigo da spiaggia. L’avvistamento fortunato di prima ci ha fatto scendere drasticamente l’adrenalina e ci permette di goderci con maggiore serenità e spensieratezza questo bel giro. Apprezziamo in particolar modo la bravura della guida che, forse per il fatto di avere così tanti ragazzini a bordo, si dilunga in spiegazioni sugli animali e le loro caratteristiche. Apprendiamo, ad esempio, che gli elefanti sono dotati di eccezionale intelligenza: durante l’inverno, stagione secca nella quale tutti gli erbivori entrano in crisi alimentare, spezzano volutamente i tronchi degli alberi per cibarsi delle radici. Durante la stagione delle piogge, invece, tornano nel punto esatto dove avevano spezzato gli alberi e, essendo gli unici con una mole tale da spostare nuovamente il tronco, si possono nutrire con l’erba più tenera che nel frattempo è cresciuta sotto. Durante il safari percorriamo più o meno le strade già battute questa mattina. Vediamo quasi tutti i piccoli erbivori, tra cui un gruppo particolarmente fotogenico di impala femmine con un unico maschio che bada a loro e l’Afrikaans steenbok (una minuscola antilope con due cornetti che non avevamo ancora visto). La guida ci indica anche un'aquila, appollaiata su un alto ramo di acacia, e, poco distante, posato sulla rete di confine di un recinto ormai in disuso un pappagallo verde. Più avanti, con la luce rosata del tramonto, fotografiamo anche un albero carico di nidi di grifoni e da uno di essi vediamo chiaramente spuntare la silhouette di un piccolo con il minuscolo becco. Fotografiamo E' davvero stupefacente l'incredibile diversità che offre questo parco per gli appassionati di avi-fauna. Ad un certo punto, una signora provvista di un potentissimo binocolo riesce a scorgere, purtroppo lontanissimi, altri due leoni sdraiati al fresco sul letto del fiume! Secondo la guida uno dei due è un giovane maschio, che non ha ancora il collare completamente formato. Non saremo però mai certe dal momento che, sfortunatamente, non vi era alcuna strada percorribile che ci potesse far avvicinare alla coppia. Peccato! Proseguendo incrociamo una timidissima giraffa che non sa se scappare o rincorrerci e un bel gruppo di elefanti intenti ad abbeverarsi nei pressi di una cisterna artificiale. Il sole è ormai tramontato e istantaneamente inizia a fare piuttosto freddo, obbligandoci ad indossare felpe, giacca e cappelli. Oggi tocca a noi utilizzare una delle due torce della camionetta e ci divertiamo a puntare il raggio sulle alte chiome degli alberi e spazzare i tratti di savana che vediamo dal lato in cui siamo sedute. Avvistiamo altri due sciacalli, che ci ricordano tanto i coyote della Death Valley, e, grazie ad un'altra signora particolarmente attenta, su di un albero riusciamo a distinguere il manto ma non il muso di una genetta, un piccolo quanto timido carnivoro. Ormai è buio pesto e capiamo che ci stiamo dirigendo verso Satara per la conclusione del nostro safari, non sappiamo però che la fortuna ci riserva la sorpresa più grande della giornata. Tornati sulla asfaltata che porta al campo ci troviamo nuovamente nei pressi dell’albero del leopardo e, grazie ad un tempismo incredibilmente favorevole ma soprattutto grazie alla nostra attentissima guida che lo individua per prima e ce lo indica, lo vediamo! La guida è molto capace e cerca di seguirlo procedendo in retromarcia: il leopardo cammina parallelamente alla strada, si sposta piuttosto lentamente ma compare e scompare in continuazione nella vegetazione ed è difficile tenerne traccia illuminandolo con la torcia. Siamo però fortunate perché per qualche secondo attraversa una piccola radura libera di vegetazione e riusciamo a immortalarne il profilo, nonostante la poca luce. Quando sparisce definitivamente dalla nostra vista riprendiamo tutti a respirare! È stato a dir poco incredibile e totalmente inaspettato! Eravamo già pienamente soddisfatte per le leonesse di oggi pomeriggio e sul leopardo non nutrivamo grandi speranze invece... possiamo considerarci tra le fortunate che sono riuscite ad avvistare tutti e cinque i big five! Di lì a poco rientriamo tutti al campo e, ringraziata la guida, andiamo affamatissime al Tindlovu Restaurant dove festeggiamo con un piatto di costine di maiale e un burger con pollo e morogo, gli spinaci africani che ci dividiamo. Accompagniamo il cibo con altre due ottime birre della Karoo Craft Breweries, una Impala e una Jackal: naturalmente stasera brindiamo ai leoni e ai leopardi! Andiamo a dormire veramente soddisfatte della giornata, la lunga attesa di questi giorni è stata ampiamente ripagata dalle nostre tre meravigliose leonesse e con l’avvistamento del leopardo non possiamo più davvero lamentarci. Senza contare il magnifico ghepardo all’alba! Satara è stata certamente all’altezza della sua reputazione! Questa è l’ultima notte che passeremo all’interno del parco e ciò significa che il nostro bellissimo viaggio in terra africana volge al termine. Domani sera usciremo, infatti, dal gate Phalaborwa e dormiremo in una guest house nell’omonima cittadina. La giornata sarà comunque ancora dedicata ad esplorare il Kruger, in particolare la panoramicissima zona di Olifants. Buonanotte Satara e lunga vita ai tuoi meravigliosi felini!1 punto