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  1. Ciao ho appena modificato la mia prenotazione iniziale con auto europe perché il prezzo per la stessa auto sempre con alamo si è abbassata di circa 150€ se volete dare un occhio Inviato dal mio iPhone utilizzando Tapatalk
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  2. La cartina completa della Route 66. Le storie della Route 66 La nascita della US HIGHWAY 66 Agli inizi del 1900, con l’aumentare del numero di automobili circolanti, gli Stati Uniti d’America cominciarono a valutare la necessità di rivedere il proprio sistema autostradale con l’intento di renderlo più moderno ed efficiente. Fino ad allora le strade erano poche, spesso sterrate e la loro realizzazione era prevalentemente curata da privati. Attraverso una commissione, partecipata dai vari stati, si cominciò con la definizione degli standard e delle regole per la realizzazione di quelle che vennero definite le “Numbered highways”. La prima regola, quindi, fu quella di utilizzare dei numeri (e non dei nomi come in passato) per identificare le nuove autostrade. Un’altra di queste regole stabiliva che le Highways che andavano da nord a sud dovessero assumere numerazione dispari, mentre quelle che andavano da est ad ovest numerazione pari. Le strade più importanti poi, tipicamente quelle che attraversavano gran parte del paese (transcontinental routes), dovevano terminare con il numero 1 o il 5 (quelle da nord a sud) e con il numero 0 (quelle da est ad ovest). Inizialmente alla highway che avrebbe collegato Chicago a Los Angeles fu assegnato il numero 60. Era una “forzatura”, poiché l’ordine di assegnazione delle numerazioni doveva essere progressivo da nord a sud, e la futura US60 sfuggiva a questa regola poiché un suo tratto si trovava a nord della 50, quindi prima di questa. Il Kentucky si accorse di questa forzatura e pretese una correzione chiedendo l’assegnazione del numero 60 ad una autostrada che avrebbe collegato (in una fase iniziale) Newport News (Virginia) a Springfield (Missouri), una highway che avrebbe attraversato il suo territorio. Ne nacque un fortissimo “braccio di ferro” tra i promotori dell’autostrada Chicago – Los Angeles (con in testa Cyrus Avery, un imprenditore della Pennsylvania trasferitosi a Tulsa in Oklahoma) ed il governatore del Kentucky che lamentava il fatto che nessuna highway con numerazione zero, quindi di grande importanza, attraversava il territorio dello stato che lui rappresentava. Arrivò perfino a minacciare la commissione di lasciare l’US Highway System se il clima che lui riteneva discriminatorio nei confronti Kentucky, non fosse cessato. la fase di stallo durò diverso tempo e ciascuno dei contendenti portava avanti le proprie ragioni. In occasione di una delle riunioni tenute dalla commissione, si suggerì di assegnare il numero 60 alla highway che partiva da Newport News (quella che attraversava il Kentucky) ed il 62 alla Chicago – Los Angeles. Avery (e gli altri promotori della Chicago – Los Angeles), rifiutò categoricamente giustificandosi anche con il fatto che Missouri ed Oklahoma avevano già fatto stampare le mappe ed i cartelli stradali con la dicitura US 60. Dopo mesi densi di viaggi a Washington da parte del governatore del Kentucky e lettere durissime dei promotori della Chicago – Los Angeles, questi ultimi si accorsero della disponibilità del numero 66 e, visto che il 60 era ormai perduto, chiesero alla commissione di poterlo utilizzare al posto del 62. Il 66 era di facile memorizzazione, accattivante nella pronuncia, decisamente meglio del 62 che proprio non piaceva. La proposta venne accettata e si chiusero i lavori della commissione. Il nuovo sistema autostradale americano era pronto e, l’11 Novembre del 1926 fu costituita la strada che avrebbe collegato Chicago a Los Angeles, la US Highway 66. I nicknames della Route 66 Mother Road, The Great Diagonal Way, Main Street of America, Will Rogers Highway, e perfino Bloody 66. Questi sono alcuni dei soprannomi che negli anni sono stati attribuiti alla US Highway 66. La US 66 è “The Great Diagonal Way” per il suo avanzare in diagonale da Chicago ad Oklahoma City, a differenza di gran parte delle altre highway “est-ovest” che solitamente correvano dritte e parallele. La US 66 è anche “The Main Street of America” ovvero il nome utilizzato da Cyrus Avery per la promozione dei viaggi sulla US 66 negli anni successivi alla sua costituzione. Avery era un imprenditore nativo della Pennsylvania, trasferitosi successivamente a Tulsa in Oklahoma, ed è considerato il padre della US 66, colui che volle fortemente un’highway da Chicago a Los Angeles e colui che scelse il 66 come nome. Costituì, dopo la nascita della US 66, un’associazione (la US Highway 66 Association) che inizialmente si occupava di seguire la pavimentazione completa della strada (pavimentazione terminata alla fine degli anni 30) e successivamente di promuovere i viaggi lungo di essa pubblicizzandola, appunto, come “The Main Street of America”. La US 66 è la “Will Rogers Highway”, in onore di un attore e comico americano che viaggiò molto sulla 66, lungo la quale ha anche organizzato alcuni suoi spettacoli. Una targa in suo ricordo è presente a Santa Monica, tra la Ocean Ave. ed il Santa Monica Blvds. E’ stata anche, in alcuni suoi tratti, la “Bloody 66” a causa dei frequenti incidenti che si verificavano. Con l’enorme aumento del traffico automobilistico negli anni 50, alcuni tratti della US 66 divennero estremamente pericolosi e densi di incidenti. Spesso i viaggiatori “ingaggiavano” piloti esperti per la paura di percorrere quei tratti di strada (ad esempio il tratto nella foto che va da Kingman a Oatman, nello specifivo dopo il Sitgreaves Pass). Ma il più importante, il più noto e forse il più caro al popolo della Route 66 è “Mother Road”, Strada Madre. La US highway 66 è stata la strada che ha “condotto” verso la California migliaia di Okies, così venivano definiti, con disprezzo, coloro che fuggivano dalla miseria durante il dust bowl, le terribili tempeste di sabbia che colpirono negli anni 30 gli stati delle grandi pianure. La gente fuggiva dalla propria terra natia ed andava verso ovest alla ricerca di un futuro migliore e la US 66 si prendeva cura di loro. Fu lo scrittore John Steinbeck ad attribuirgli quel soprannome, Strada Madre appunto. Nel suo “Furore” (“The grapes of wrath”), il romanzo che raccontava questa grande e terribile migrazione, Steinbeck scriveva: “La Route 66 è la principale strada migratoria. La 66, lungo sentiero d’asfalto che attraversa la nazione, serpeggiando dolcemente su e giù per la carta, dal Mississippi a Bakersfield, attraverso le terre rosse e le terre grigie, inerpicandosi su per le montagne, superando valichi e planando nel deserto terribile e luminoso, e dopo il deserto di nuovo sulle montagne fino alle ricche valli della California. La 66 è il sentiero di un popolo in fuga, di chi scappa dalla polvere e dal rattrappirsi delle campagne, dal tuono dei trattori e dal rattrappirsi delle proprietà, dalla lenta invasione del deserto verso nord, dai turbinosi venti che arrivano ululando dal Texas, dalle inondazioni che non portano ricchezza alla terra e la depredano di ogni ricchezza residua. Da tutto ciò la gente è in fuga, e si riversa sulla 66 dagli affluenti di strade secondarie, piste di carri e miseri sentieri di campagna. La 66 è la strada madre, la strada della fuga.” Il Dust Bowl Una delle pagine più amare del grande libro della Route 66, è quella che racconta la grande migrazione verso il west negli anni 30 del secolo scorso. La fuga di migliaia di persone dagli Stati Uniti centrali verso la California in cerca di un lavoro e di un futuro migliore. John Steinbeck, che ha ambientato il suo romanzo “Furore” in quegli anni, ha raccontato la terribile condizione di vita di quella gente, descrivendo la fuga verso ovest della famiglia Joad. Una fuga attraverso quella che lui per primo definì la “Mother Road”. Per identificare quel terribile periodo si usa il termine Dust Bowl. Ma cosa è stato il Dust Bowl? Il Dust Bowl, (letteralmente “Ciotola di polvere”) identifica, negli anni 30, un periodo durato circa 10 anni, durante i quali il territorio delle grandi pianure fu colpito da una terribile siccità e da frequenti tempeste di polvere. Gli stati principalmente coinvolti furono il Colorado, il Kansas, il Texas, l’Oklahoma ed il New Mexico. A causa di una sbagliata applicazione delle regole base dell’agricoltura, della mancata rotazione nelle colture e dello sfruttamento estenuante del terreno, questo divenne talmente arido da trasformarsi in sabbia. La domanda di grano era in forte crescita dopo la prima guerra mondiale e conseguentemente sempre più appezzamenti delle verdi praterie, solitamente dedicati al pascolo, venivano arati e coltivati a grano. L’erba veniva sistematicamente sradicata e non vi erano più radici a trattenere quel terreno. La siccità ed i forti venti che colpirono quelle zone generarono, con una frequenza impressionante, delle vere e proprie tempeste di sabbia. Tutto veniva costantemente inghiottito dalla polvere e non c’era modo per sopravvivere se non abbandonare la propria casa e fuggire. Non era più possibile mangiare, bere e perfino respirare in quelle condizioni. Sono molti i video e le foto disponibili in rete che documentano la catastrofe ambientale di quegli anni. Per avere un’idea di quello scenario apocalittico si può vedere l’inizio del film di fantascienza “Interstellar” del 2014, poiché il regista si è apertamente ispirato al Dust Bowl. Ma ovviamente la situazione degli anni 30 fu terribilmente più drammatica. La gente in fuga (gli Okies, termine dispregiativo con il quale questa gente veniva solitamente chiamata), con mezzi di fortuna e le poche cose che riusciva a portare con se, intraprendeva un viaggio di sofferenza e di dolore in direzione ovest lungo la Main Street of America. Un viaggio lungo, estenuante, in condizioni atmosferiche spesso proibitive e con una US 66 ancora non del tutto confortevole. Il loro sogno di rinascita passava attraverso quel lembo di asfalto e terra e gli atti di grande umanità del popolo che viveva lungo quell’autostrada. Il "BUNION DERBY" Dopo la nascita della US Highway 66, Cyrus Avery, il padre della nuova autostrada, costituì un’associazione, la “US Highway 66 Association”, il cui scopo era di accelerare la sua pavimentazione e, contemporaneamente, di promuovere i viaggi attraverso il suo percorso. Vennero finanziate importanti campagne pubblicitarie, utilizzando lo slogan “The Main Street of America”, ed organizzati diversi spettacoli nei paesi attraversati dalla neonata autostrada. Furono tante le iniziative che l’associazione supportò per dare la spinta alla Mother Road e per convincere gli americani a superare la paura dei lunghi viaggi in automobile. Tra queste iniziative, nel 1928, ce ne fu una decisamente bizzarra ed inusuale: una gara podistica. Una gara che da Los Angeles, attraverso il percorso della US 66 fino a Chicago, avrebbe condotto i partecipanti a New York. 5.507Km, 65Km al giorno di media per 84 giorni, attraverso il terribile deserto del Mojave, le montagne, il caldo torrido ed il freddo, seguendo un percorso prevalentemente sterrato e non certo confortevole. Un’iniziativa stravagante che avrebbe avuto un’eco enorme, proprio quello di cui la nuova autostrada aveva bisogno. Le piccole comunità lungo la US 66 sarebbero state avvolte dal clamore richiamato da un evento di tale portata. Fu coinvolto nel progetto un famoso impresario sportivo dell’epoca, al quale fu demandato il compito di organizzare la corsa. 199 furono i partecipanti, ognuno dei quali pagò 25 dollari, più 100 come deposito, per rincorrere il sogno di afferrare i 25.000 dollari garantiti al vincitore. Una cifra considerevole per quegli anni. La prima “Transcontinental Foot Race”, più conosciuta come “The Bunion Derby”, la gara dei calli, partì il 4 marzo del 1928 dall’Ascot Speedway di Los Angeles. Gli atleti provenivano da ogni parte del mondo, c’erano canadesi, europei, sudamericani, ma anche afro-americani e nativi americani. C’erano professionisti, recordmen ma anche atleti improvvisati. Alcuni dei partecipanti erano ricchi e molto noti all’epoca e la loro presenza serviva esclusivamente a scopo pubblicitario. Prese parte alla gara anche un atleta italiano, di Trieste, Giusto Umek. Fu un’impresa durissima per tutti, per via della distanza, per le condizioni climatiche, per la polvere che avvolgeva i partecipanti, per il fango, per la carente organizzazione che costringeva gli atleti a pernotti disumani in tende da campo e, per gli atleti di colore, anche per gli attacchi razziali di cui furono vittima in alcuni degli stati attraversati. La corsa era strutturata in tappe giornaliere e ad ogni tappa venivano presi i tempi. Durante la gara cominciò a farsi largo un giovane sconosciuto di origine Cherokee, Andrew Payne. Un diciannovenne di Foyil in Oklahoma, trasferitosi in California in cerca di lavoro, un ragazzo che non si era mai cimentato in gare di questa portata. Nonostante la fatica e gli acciacchi, Andy continuava di tappa in tappa a rimanere in testa alla gara, seguito da veri professionisti della corsa. Quando gli atleti entrarono in Oklahoma, Andy fu scortato da automobili, bande musicali e persone festanti che celebravano il loro, fino ad allora, sconosciuto connazionale. Tutti i giornali cominciarono ad interessarsi a questo giovane atleta che in una delle tappe fu anche accolto da Will Rogers, il famoso attore americano come lui di origine Cherokee e come lui dell’Oklahoma. Nel frattempo la gara consumava la resistenza degli atleti, furono in molti ad abbandonare a causa della fatica e degli infortuni. Il 26 maggio del 1928 la grande corsa si concluse al Madison Square Garden di New York con Andy vincitore. Dei 199 atleti ne giunsero al traguardo solo 55, tra questi anche il nostro Giusto Umek che ottenne un onorevolissimo 5° posto. I 25.000 dollari del primo premio furono utilizzati da Andy per tornare nel suo Oklahoma, per pagare il mutuo della fattoria di famiglia e per sposare la sua ragazza. Una statua in onore di Andy Payne è oggi visitabile a Foyil in Oklahoma, suo paese di origine. Il Bunion Derby fu forse l’evento più stravagante organizzato per pubblicizzare la nuova autostrada, non fu un successo dal punto di vista organizzativo, ma senza dubbio è passato alla storia per la portata dell’impresa sportiva e per aver segnato l’inizio della grande storia della US Highway 66. I tributi alla Mother Road La Route 66 è stata una strada di successo, un’importante fonte di ispirazione per canzoni, libri e film. Molti artisti hanno narrato le loro storie intrecciandole con quelle della vecchia autostrada. “Get your kicks on Route 66”, di Bobby Troup, ad esempio, portata al successo da Nat King Cole, una vera e propria colonna sonora della Strada Madre. Molti sono stati gli artisti che l’hanno riproposta adattandola al proprio stile, da Chuck Berry ai Rolling Stones fino ai Depeche Mode. Anche il cinema ha pagato il suo tributo alla Strada madre. “Cars”, il film di animazione della Pixar, un vero e proprio omaggio alla gente della Route 66. Gran parte delle costruzioni della sua Radiator Springs trovano una reale collocazione lungo la Mother Road ed i personaggi stessi richiamano persone reali che vivono lungo la vecchia autostrada. E “Bagdad Cafè” della metà degli anni 80 di Percy Adlon, interamente girato nel Sidewinder Cafè di Newbery Springs nel tratto desertico della Route 66 in California. Un film stupendo che racconta l’amicizia tra due donne completamente diverse tra loro. Successivamente, a questo piccolo locale nel deserto “from Vegas to nowhere”, è stato dato il nome utilizzato nel film, Bagdad Cafè appunto. Oppure “The Hitcher – La lunga strada della paura”, girato, in alcune sue scene, nel Roy’s Cafe di Amboy in California. Anche in letteratura si è spesso fatto uso della 66 per raccontare delle storie. Jack Kerouac nel suo “On the road” fa percorrere al protagonista (che poi in realtà è lui stesso) tratti della 66, durante il suo peregrinare su e giù per gli Stati Uniti. Ma l’opera più importante è senza dubbio “Furore” (“The grapes of wrath”) di John Steinbeck del 1939. La Route 66 è stata, negli anni della grande depressione e del Dust Bowl, testimone di storie di ordinaria disperazione ma anche di straordinaria umanità. Dal romanzo (vincitore del premio Pulitzer), John Ford, il mitico regista di tanti western, ne ricava uno splendido ed amaro film, con uno straordinario Henry Fonda nel ruolo di Tom, il giovane ed irrequieto componente della famiglia Joad. Tra l’altro “The ghost of Tom Joad” è anche il nome di un album e di una canzone del “Boss”, Bruce Springsteen. Informazioni generali La Route 66 è una strada dismessa nella metà degli anni 80. A partire dagli 60 è stata progressivamente sostituita dalle nuove Interstates. Sono 5 le Interstates che l’hanno sostituita: I55, I44, I40, I15 e I10. Durante i 20 anni nei quali la Route 66 è stata progressivamente smantellata, il suo inizio e la sua fine hanno subito delle variazioni rispetto alle sue origini: Nel 1985 la Route 66 fu definitivamente rimossa dalle mappe autostradali degli Stati Uniti, per poi ritonare, sottoforma di "Historic Route 66", nel suo percorso classico (da Chicago a Santa Monica) I Motels Viaggiare lungo la Route 66 è un po’ come viaggiare nel tempo. Si incontrano vecchie automobili, vecchie stazioni di servizio e paesi dove il tempo sembra essersi fermato. Si incontrano diversi motels storici lungo il percorso della Strada Madre, motels che hanno fatto la storia della US Highway 66. Un viaggio lungo la Route 66 senza fermarsi a dormire in almeno uno di questi motels è un viaggio a metà. Tutto in questi motels è legato agli anni d’oro della Route 66: l’arredamento, il portachiavi, il rapporto con i gestori ed anche l’incontro con gli altri viaggiatori. Alcuni di questi motels si possono prenotare tramite booking, la maggior parte ha siti web propri dai quali si può verificare la disponibilità ed effettuare la prenotazione. Non sono ovviamente lussuosi, ma sono sempre puliti, curati ed i gestori sono sempre estremamente amichevoli. Non è strettamente necessario prenotare tutti i motels quando si intraprende un viaggio lungo la Route 66 (nel mio primo viaggio prenotai lo stretto necessario, ma principalmente mi regolai sul posto), ma i motels storici è bene sempre prenotarli prima, soprattutto se il viaggio ricade nei mesi più intensi (ad esempio d’estate). Hanno poche camere e quindi il rischio di non trovare posto è abbastanza alto. Quello della foto non è più un motel “attivo”, era l’Henning Motel a Newberry Springs (accanto al Bagdad Cafè). Motel Località Route 66 Hotel and Conference Center Springfield, Illinois Best Western Route 66 Rail Haven Springfield, Missouri Wagon Wheel Motel Cuba, Missouri Munger Moss Lebanon, Missouri Boots Motel Carthage, Missouri Skyliner Motel Stroud, Oklahoma Route 66 Inn Shamrock, Texas Big Texan Amarillo, Texas Fabulous 40 Motel Adrian, Texas Blue Swallow Motel Tucumcari, New Mexico Safari Motel Tucumcari, New Mexico Monterey Non Smokers Motel Albuquerque, New Mexico El Rancho Gallup, New Mexico Globetrotter Lodge Holbrook, Arizona Wigwam Motel Holbrook, Arizona Historic Route 66 motel Seligman, Arizona Supai Motel Seligman, Arizona Stagecoach 66 motel Seligman, Arizona El Trovatore Kingman, Arizona Route 66 Motel Barstow, California Wigwam Motel San Bernardino, California I Diners Ci sono tantissimi diners lungo il percorso della Route 66, alcuni storici (l’Ariston Cafè di Litchfield ad esempio), altri più recenti ma il cui arredamento richiama gli anni d’oro della Strada Madre. Di seguito ne riepilogo un po’: Diners Località Cozy Dog Drive Inn Springfield, Illinois Palms grill cafè Atlanta, Illinois Ariston Cafe Litchfield, Illinois Route 66 Diner St Roberts, Missouri Elbow Inn Bar & BBQ Devil's Elbow, Missouri Cars on the Route Galena, Kansas Marathon Gas Station - Dairy King Commerce, Oklahoma Clanton's Cafe Vinita, Oklahoma Hank's Hamburgers Tulsa, Oklahoma Tally's Good Food Cafe Tulsa, Oklahoma Pops Arcadia, Oklahoma Lucille's Roadhouse Weatherford, Oklahoma Rock Cafe Stroud, Oklahoma Big Texan Amarillo, Texas Midpoint Cafe Adrian, Texas Kix On 66 Tucumcari, New Mexico 66 Diner Albuquerque, New Mexico Galaxy Diner Flagstaff, Arizona Museum Club Flagstaff, Arizona Miz Zip's Flagstaff, Arizona Delgadillo's Snow Cap Seligman, Arizona Mr. D'z Kingman, Arizona Oatman Hotel Oatman, Arizona Roy's Motel and Cafe Amboy, California Ludlow Cafe Ludlow, California Bagdad Cafe Newberry Springs, California Emma Jean's Holland Burger Cafe Victorville, California Quando partire: Il periodo migliore è da maggio ad ottobre. È il migliore perché le giornate sono più lunghe (viaggiare di notte sulla Route 66 non avrebbe senso) ed il clima è tendenzialmente più clemente (anche se a maggio si è nel periodo dei tornado nelle zone della “Tornado Alley”, Missouri ed Oklahoma e qualche rischio si può correre). Va considerato che la Route 66, in alcuni dei suoi tratti, è isolata e non ci sono molte macchine che la percorrono e quindi, nel caso il tempo non prometta nulla di buono, non è proprio sicurissimo percorrerla. I tratti sterrati vanno comunque evitati durante le giornate di pioggia. Quanto stare. La Route 66 è una strada lunga quasi 4000 Km (4 volte l’Italia) è pertanto molto difficile vedere tutto. Io l’ho percorsa interamente due volte (alcuni tratti anche 3 volte) ma scopro sempre cose che mi sono sfuggite. Ovviamente più tempo si ha a disposizione è più ce la si può prendere “comoda”, ma per quanto sia lungo questo periodo, sarà comunque insufficiente a vedere tutto quanto la Mother Road ha da offrire. Si cercano quindi dei compromessi dando precedenza alle “Icone” classiche della Mother Road. Per questo, escludendo l’eventuale sosta nelle grandi città attraversate si possono calcolare un minimo di quindici di giorni di solo viaggio. Vanno aggiunti ovviamente dei giorni a Chicago (che merita) ed a Los Angeles, perché è abbastanza “pesante” partire on the road subito dopo l’arrivo negli USA e ripartire per l’Italia il giorno dopo la fine del viaggio sulla Route 66. Va detto che le grandi città attraversate dalla Route 66 (Santa Fe, St. Louis, ecc.), seppur belle, raccontano in genere molto poco della Mother Road, la cui vera anima la si può trovare nei piccoli paesi, dove non c’è bisogno del monumento o della ricostruzione postuma per raccontare cosa la Route 66 sia stata e cosa sia significata la sua dismissione. In genere è sempre buona norma organizzare delle tappe che non superino i 300/400 km.
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